Only ITA - CONSIDERAZIONI SULL'ARTE [by voiceoff]

in #ita6 years ago
Ho deciso di raccogliere tutti i racconti passati che ritengo più interessanti in un luogo unico e di pubblicarne di nuovi, così da tener traccia, nella continua e ossessiva opera di riordinamento che riempie le mie giornate, di ciò che ne è degno.

Ogni traduzione è un tradimento, a maggior ragione se la lingua di approdo non è conosciuta perfettamente. Qui si scriverà solo in italiano.





Considerazioni sull'Arte




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Centre Le Courbusier, Zurigo [immagine di pubblico dominio]

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Oggi alcune considerazioni sull'Arte contemporanea (ai tempi dei social network), partendo dalla sintesi di un breve articolo di Cesare Brandi del 1951, L'arte d'oggi. Il testo a cui ci si riferisce è La fine dell'Avanguardia, edito da Quodlibet nel 2008. Le citazioni riportate sono tratte dallo stesso.
Mi è capitato di imbattermi in esso qualche giorno fa e mi sono ritrovato a riflettere su alcune cose che credo siano tremendamente e drammaticamente attuali.


L'arte d'oggi (1951)


Ogni epoca dell’uomo può riconoscersi in una categoria di macchine utilizzate o inventate nella stessa epoca. Fino a tutto l’Ottocento si tentava di ornare tali macchine in maniera che fossero inclini e non contrarie ai canoni estetici dell’epoca, poiché la macchina, in fin dei conti, tende ad essere un prolungamento dell’uomo e della sua coscienza; ciò richiede che la macchina stessa non sia urtante alla percezione dell’uomo durante il suo esistere nel mondo. E’ quindi ovvio che questa volontà di orpellare la funzione, di mascherarla, di nasconderla, può sussistere solo nel caso in cui l’uomo che la utilizza abbia dei canoni estetici ai quali rivolgersi e coi quali avvolgere la macchina in questione; ma se tali canoni vengono a scadere per chissà quali motivi e non vengono sostituiti da null’altro cosa potrebbe accadere?

[…] allorchè questa tensione estetica si rilascia nella risacca del vecchio che muore o del nuovo che non riesce a nascere, […] ecco che si fa valere il lato astrattizzante, quello che veramente è consustanziale all’esistenza della macchina.


Così sarà in quel momento che la funzione si sostituirà alla bellezza, non essendovi altro a cui rivolgersi la funzione sarà ciò in cui tutti finiremo per riconoscere la bellezza; l’estetica diventa subordinata alla pratica. Tuttavia la coscienza estetica non può rimanere ancorata alla pratica; tende per natura a ricercare ciò che ha a che fare con la contemplazione, finendo per accantonare l’aspetto pratico della funzione, compiendo quindi l’astrazione di un’astrazione. Resta quindi un’immagine-macchina che si regge su uno schema non-significante con il risultato che la stessa immagine viaggia alla deriva:

[...] imbarca quel che ognuno ci vuole mettere, accetta quel che ognuno le affida: sbatte, naufraga, s’arena.


E’ comunque questo ciò che sta alla base del dilagare dell’Astrattismo: l’insofferenza formale odierna derivata da quel che già è stato detto. Fatto che non è dipeso da una qualsiasi evoluzione del gusto, ma da un cambiamento di prospettive che hanno spostato l’attenzione sul piano della realtà esistenziale. Complementare alla diffusione dell’Astrattismo è il successo avuto in patria e fuori dal Neorealismo cinematografico italiano che si può dire riempia i vuoti che il primo lascia, in una ricerca che può essere considerata agli antipodi. Il dialogo fra queste due grandezze genera una fissazione del processo creativo che rischia di permanere per un lungo periodo.

Così gli elementi e gli indizi che ci fanno capire la nuova coscienza artistica comune andata a crearsi possono essere trovati dappertutto, anche nelle mostre e nei musei, ad esempio nella sempre più crescente ripugnanza verso le cornici delle pitture, poiché isolano l’opera cercando di esaltarne l’unicità, cosa che naturalmente è in contrasto coi prodromi dell’uomo moderno; egli ha lo scopo di “democratizzare” l’arte, farne cosa di tutti i giorni, della quotidianità, non preoccupandosi del fatto che così facendo essa finisce per perdere per strada tanti valori.

Naturalmente anche in Architettura il macchinismo ha influito nell’elaborazione di nuove forme, e in un Le Corbusier che definisce la casa, appunto, “machine a habiter”. Concetto che trova le sue più esagerate rappresentazioni nelle casette nordiche, fianco a fianco, tutte uguali, o nella monumentalità dei grattacieli. La realtà paritetica che poi fornisce il cinema Neorealista, nel concetto che già è stato espresso a proposito della volontà di democratizzare, può essere ritrovato nell’Architettura organica, nella casa,

[...] nella sua preoccupazione di inserirsi naturalisticamente nella natura, la sua intenzione di ricevere una conformazione generata dalla stessa funzione in atto.


Macchinismo e volontà di democratizzazione hanno invaso ogni campo dell’arte; pensando al teatro e alla musica (con le canzonetta o con l’edonismo insito nel Jazz), alla poesia e alla letteratura in genere (nella ricerca del linguaggio parlato, del vernacolare talora). La crisi dell’arte, che discende dalla poca capacità di riuscire a sviscerare la forma ancora “non-nata” (accontentandosi poi di ritrovarla in un edonismo, nella ripetizione di un qualcosa che già è stato), è sinonimo della crisi di civiltà che investe l’uomo del Novecento, bloccato e fossilizzato negli anni ’50 fra i due blocchi (Americano e Sovietico) che non possono dialogare fra di loro.

Secondo Brandi l’unico veicolo per una nuova organizzazione capace di produrre una nuova civiltà, risiede nella possibilità europea di mediare fra le sue due periferie.

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Considerazioni


La prima cosa che salta all'occhio nella disamina di Brandi è la contrapposizione fra funzione e tensione estetica; la macchina che non deve essere urtante ma mascherata dai canoni estetici dell'epoca. Cosa vi viene da pensare se dovessimo considerare il "social network" come la macchina della nostra epoca? Interessante. Ma la cosa ancora più interessante è che in questo caso funzione e canone estetico finiscono per coincidere come mai lo era stato prima d'ora (credo)! Nel senso che la funzione del social è profondamente correlata al canone estetico. Essa può essere individuata nella promozione di se stessi ed è ovvio che se questo è lo scopo il veicolo visivo (o altro) da utilizzare non può certo essere urtante determinate cose; la morale comune? il politically correct? la mancanza di tette voluminose? o magari di una barba intensamente virile? Poiché sono queste e non altre le bassezze che costituiscono ciò che può assurgere a ruolo odierno di "canone estetico".

Passando ora a un'altra questione. Sembra che il social risolva le problematiche di democratizzazione dell'arte. Tutti possono fare arte e avere una possibilità. Cosa impensabile prima dell'avvento di internet e dei social network. Ma questo fatto, se da un lato può sicuramente essere considerato una conquista, dall'altro lato genera mostri incontrollabili e inestirpabili. Ricordiamo le parole di Umberto Eco: Con i social parola a legioni di imbecilli. All'epoca venne attaccato parecchio il grande studioso, naturalmente oggi la pensano un po' tutti come lui, o meglio, dicono di pensarla come lui.

Nelle epoche passate vi erano correnti di pensiero che tendevano a schematizzare determinate visioni anzitutto filosofiche, poi artistiche; le torri d'avorio spesso intese in maniera dispregiativa dove gli intellettuali si rinchiudevano per elevarsi dalla massa. Oggi non è più così, è un labirinto dal quale è impossibile uscire. Non esistono più le guide, siamo in un pantano, una jungla dove vige la legge del più forte. E chi è il più forte? Dipende dal social in questione ovviamente; ad esempio qui su #steemit il più forte è quello che ha più soldi, più Steem Power. E' una cosa molto triste, è lo svilimento completo dell'Arte, pratica che a mio avviso trova nel social network il suo punto più alto; l'apice di un'operazione iniziata già da qualche decennio, forse ancor prima della diffusione mainstream di internet.

Il nodo fondamentale è che l'arte "buona" finisce per essere quella che ottiene più like, e questo significa che è quell'arte che può essere colta da tantissime persone, dalle masse. E' compresa dalle stesse, in maniera inequivocabile perché è un'arte povera di tutto. E' qualcosa di puramente istintivo non suffragato da conoscenze, studi, elaborazioni fini e brillanti, considerato il fatto che tutto ciò non sarebbe comprensibile alle masse e dunque destinato al dimenticatoio del web. Questa visione ha terribili implicazioni che inevitabilmente conducono alla morte dell'Arte; essendo essa univoca e non ammettendo repliche esclude il dubbio, l'indagine (che è già fatta e ha prodotto già le sue conclusioni), con l'ovvia conseguenza che un'opera, una volta fruita, ha già estinto il suo motivo di essere ovvero, è morta.

Non so vedere una soluzione, se non quella di lanciare qualche improperio ogni tanto nei momenti più tristi, o di farmi qualche risata qua e là quando sono di buonumore, con buona pace di tutti coloro che truffaldinamente (o inconsapevolmente poiché imbelli) si riempiono la bocca di parole come "qualità".


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