Contest FotoStoria: Una donna notevole

in #ita7 years ago (edited)

Un racconto, una storia traendo ispirazione da una foto della nostra @heidi71.
voiceoff PRESENTE!

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CONTEST >>>>>

I contrasti saranno il mio tema: luce e ombra, vecchio e giovane, interno e esterno... a corollario di un flusso visivo da e per; due punti di fuga che si guardano. Questa foto ha evocato certe atmosfere particolari, da Poe a Conrad. Misteri.
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Qui morì mia madre. Qui sono nato io. Ma sarebbe del tutto ozioso affermare che non fossi vissuto prima di allora, che l'anima non abbia avuto una esistenza antecedente. Potete negarlo?


Da Berenice, E.A. Poe
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Una donna notevole


Dalla terrazza è possibile vedere tutta la parte bassa del paese. Quando mi ci ritrovo è inevitabile non rimanere attratti dalla particolare prospettiva con cui si mostra la strada che conduce al portone di casa, per poi scorrere più in su, per luoghi nascosti dalle mura dei vicini. Se la percorro all’inverso, di sotto, dall’altra parte, sulla destra, le tegole adiacenti di un tetto a falda invitano e guidano lo sguardo verso la via, che sbocca più in là in una piccola piazzetta. Una parete si erge di fronte, ricoperta da quel vecchio cemento fangoso molto comune nei vecchi centri storici della zona; per l'appunto, si sbriciola sempre più alle pallonate dei ragazzi che quando possono giocano nello slargo, quando lo spazio non è occupato dalle auto parcheggiate.

Sulla sinistra una strada; ombreggiata di giorno e buia di notte. Larga più o meno tre metri offre vari spettacoli a seconda della giornata, dell’ora, di quanto abbia voglia di mostrare le sue particolarità agli occhi del sottoscritto. Talvolta se si presta attenzione è possibile notare la discrezione di oggetti luccicanti persi da chissà chi, oppure, qualora il vento sia sufficiente, cartacce o buste di plastica che fluttuano nell’aria rompendo di tanto in tanto il silenzio, in seguito posandosi per un attimo. Potrebbe anche sfoggiare le carcasse in via di decomposizione di gatti o cani randagi adagiati sul suolo nelle più svariate posizioni, se è più ardita del solito, per tutta la sua lunghezza, che ti risucchia e ti trascina senza timore alcuno, senza dare il tempo di soffermarsi sulle facciate laterali dei fronti abitati - “abitati” si fa per dire! - peraltro nascosti dalla prospettiva, a eccetto di un piccolo spicchio comunque inafferrabile e indistinguibile.

Così un giorno la corrente visiva mi costrinse a soffermarmi sulla fine della via dove, antistante un piccolo incrocio, stava la facciata di una casa fino allora sfitta, che finalmente sfoggiava dall’apertura dell’unica finestra un bagliore di luce indicante la presenza di qualche affittuario. All’interno, sullo sfondo, si poteva distinguere la linea di un angolo di muro, che con le imposte serrate sarebbe stata celata e silenziosamente coperta dall’aggancio centrale delle due ante. L’angolo divideva la veduta del fondale in due parti: da una parte, sulla destra, un corridoio che conduceva a una porta chiusa, dall’altra, sulla sinistra, uno spazio che sembrava essere più ampio; forse una stanza da letto da quella parte, nonostante fosse impossibile vedere porte che introducessero alla stessa.

Non saprei dire perché, eppure, per i miei occhi risultava alquanto scontato come là dietro dovesse necessariamente esserci qualche altro locale; non saprei dire neanche il motivo per il quale mi soffermo ora su questo particolare, sarà forse il sentore di un certo fittizio in questa implicita convinzione, che per inciso non sbarrava la strada alla fuoriuscita di un chè di misterioso da quel mondo. Non ho ancora detto delle difficoltà per decifrare lo sfondo descritto visibile dall’apertura della finestra, derivate dalla presenza sotto le due ante di una scrivania piena di carte, alla quale era seduta volgendo il viso verso di me, una magra persona: Berenice.

Seppi del suo nome qualche giorno dopo averla notata, dalle solite voci di vicinato che ad ogni nuovo avvenimento prestavano una considerevole attenzione; non di meno io stesso che ne prestai parecchia, tanto da escogitare un nuovo passatempo durante le sere di quell’estate, sedendomi alla terrazza a interrogarmi su quella persona. Non posso dire se il tram-tram quotidiano la conducesse in quel punto solo durante le ore notturne, non saprei da che momento e fino a quando; era per un paio d’ore ogni giorno che mi lasciavo rapire da quella figura. Lavorava? Leggeva qualche particolare libro? Era interessata profondamente a ciò che faceva? Era solo un modo per distogliere l’attenzione da altro? Perché non le interessava trovare uno spazio meno esposto, più ricco d’intimità casalinga? Queste e altre questioni mi angustiavano. Angustiavano: parola forse non adatta, forse enfatizzante del concetto perché alla fin fine tutte le domande lasciano il tempo che trovano, eppure non vedo di meglio; sarà, con le riserve del caso, un’intuizione letteraria molto legata a quel senso che ogni tanto ci assale, di giustificare l’indifendibile, di negare l’evidenza, o molto più semplicemente di bendarci gli occhi, di coprirceli con la mano, rigorosamente aperta a forbice fra medio e anulare.

Devo dire di come durante quei giorni cercai di sapere molto su Berenice, ponendo varie domande ai vicini che apparivano interessati o comunque, chissà per quale motivo, più informati di me, e come si sa, quando l’oggetto delle discussioni è una persona schiva come quella con cui si aveva a che fare, molte sono le cose che si dicono senza sapere mai quanto ci sia di vero in ogni affermazione alla quale di volta in volta si presta orecchio. Per fare un esempio: alcuni dicevano fosse arrivata in paese per attendere un certo Marlon, che chissà per quale motivo doveva anch’egli sopraggiungere fra non molto - i più, facenti parte a questa fazione, sostenevano si trattasse d’un ricco inglese che aveva sposato da poco tempo - altri invece, dicevano del prossimo arrivo di un suo parente stretto americano, di nome William o Willard, o qualcosa di simile. Insomma, l’unica cosa certa, se così si può dire, stava nel fatto che comunque sia Berenice attendeva, seppure non si sapesse bene cosa o chi, attendeva. A questo è possibile aggiungere un altro fatto sufficientemente attendibile: le sue origini centroeuropee, e per la maggiore, si diceva più precisamente come si trattasse di una giovane giramondo nata chissà quanti anni fa in qualche piccola cittadina tedesca.

Ben presto rinunciai a saperne di più; era chiaro che l’unico modo sarebbe stato quello di avvicinarla e sentire dalle sue labbra la sua storia, ma se lei già di per sé era una persona ben attenta ai propri segreti, io a quei tempi non lo ero da meno. Si trattava quindi di due muri che molto difficilmente avrebbero potuto incontrarsi: uno appartenente alle pietre di granito che tenevano su la terrazza di casa, l’altra appartenente a quel mondo nascosto, che trovava un piccolo binario verso l’esterno solo attraverso l’apertura di una finestra in quell’anonima facciata di casa non troppo vecchia.

Certo è che tale stato di fatto risultava essere semplicemente un altro modo per gustare il passatempo, ed è chiaro di come il fatto fosse alla base delle numerose falsità che si andavano dicendo a proposito di Berenice, per bocca di coloro che non riuscivano a discernere fra la verità e le proprie fantasie, escogitate all’istante per dare risposta a tutte le domande che si affollavano. E’ abbastanza comprensibile come la cosa, quando pregna di un leggero svolazzare misterioso, sia sempre più gradita e sempre più stimolante per chi abbia voglia di non ancorarsi ad appigli troppo certi, se non altro, soltanto considerati tali; ovviamente tenendo conto delle differenze che sussistono fra reale e irreale. Ad onor del vero è opportuno tenere presente la fragilità del suddetto confine, che mi condusse persino alle soglie di non dare troppo affidamento alle voci che mi avevano portato a conoscenza del suo nome, ponendone in forse la veridicità.

Questa presa di coscienza diede il là al continuo crogiolarmi e sguazzare nelle sfumature più recondite di questo confine, stando però ben attento nel tenere per mio personale uso i risultati di tali, molto speciali, esperienze mentali.
Così costruivo i miei castelli, magari partendo da un punto, che poi si dileguava in lontananza nel percorrere correnti a volte contrarie, per svoltare di qua o di là, giungendo infine a dimenticarmi da dove ero partito. Ora che ci penso la maggior parte delle volte mi piaceva congetturare di come lei fosse una donna notevole, fatta di gambe perfette - le gambe erano un punto di grande stimolo per la fantasia, poiché non era possibile vederle - e di capacità intellettive mai conosciute prima, di come lei probabilmente, nel suo girovagare per il mondo, fosse venuta a conoscenza da varie fonti sia scritte che orali, di cose inimmaginabili per me o per i miei compaesani.

Ma cosa scarabocchiava su quei fogli? Altro mistero che non ebbi la possibilità di approfondire troppo, data la sua partenza dopo una quantità di tempo che ora non saprei determinare. Lettere, numeri o musica, disegni o che altro? Sicuramente superficie di profondi studi comunque… ma, dicevo, giunse il momento della sua partenza, e da un giorno all’altro non vidi più il bagliore di luce artificiale attraverso la finestra; le persiane chiuse erano segno inequivocabile di ciò che era successo. Ricordo quell’immagine nitida come poche altre e notai per la prima volta il fatto che i vicini di casa, alle mie spalle - considerando l’attenzione che nutrivo verso la parte di paese opposta - avevano deciso di costruire un altro piano sul tetto; già bell’e finito. La cosa mi sfuggì, stranamente, giacchè il nuovo ampliamento tinteggiava di diverso tutta la panoramica che si poteva godere dalla terrazza.

Tornando a quella giornata; presumo la difficoltà in un prossimo futuro, di vivere una seconda volta quei momenti, quegli attimi di stupore; come quando notai l’effervescenza della luna piena di quella notte, che mai avevo visto così grande, delle stelle inoltre, mai così grosse e vicine, che illuminavano quasi a giorno tutto il paese. Ma la sensazione che più s’impresse nella memoria, riguardante la luce, tutta quella moltitudine di bianco, fu relativa alla netta impressione che, nonostante l’intero abitato risultasse avvolto senza differenze, da vetta a buco, porta o muro, tegola o pilastro, albero o cespuglio; la sensazione dicevo, fu che tutta quella luce a tratti si incanalasse in un fascio luminoso distinto, che senza timore alcuno dirigeva deciso su un solo punto, su una sola casa, riflettendosi quindi, sulla finestra sprangata, quella che in quel preciso istante sembrò ribadire con chiarezza e in continuazione il fatto della giornata: la partenza di Berenice. Tale fu lo sgomento, da alimentare la nascita di un nuovo dubbio ricordo, a proposito di quale fosse la vera fonte luminosa, se quel piccolo cantuccio di facciata di casa non troppo vecchia, oppure il firmamento. Riuscii anche a immaginare un’altra possibilità: di come forse non esistesse una vera fonte, o che tutte e due lo fossero in egual misura; talmente atroce il dubbio da indurmi a cercare la via più accomodante sulla quale tutti gli infiniti sbocchi potessero coincidere, pensando magari a un possibile dialogo fra le due entità, fatto di voci sussurrate o di chissà qual’altri espedienti comunicativi.

Ora, ormai in pieno inverno, se mi affaccio alla terrazza il gelo fra queste montagne non può che agghiacciare ulteriormente il mistero; letteralmente ghiaccia l’aria in cubetti, ed è talmente pesante questa impressione, che quando piove mi devo affrettare nel tornare al coperto, per evitare ennesimi ricordi da accatastare, sottoforma magari, di cicatrici successive a molto probabili urti che potrebbero conservarsi sulla fronte, immuni allo scorrere del tempo fino al giorno in cui tutto avrà fine - sempre che ci sia differenza fra il punto di morte e il punto di vita. Tuttavia rimane qualche dubbio sulla bontà di tale scelta: l’interno non è poi così diverso dall’esterno, e per avvalorare tale ipotesi, seppure in un certo qual modo capziosamente, si potrebbero considerare le varie percentuali di gas che compongono l’aria: identiche in ambedue i casi. Forse l’unica differenza sta nel fatto che dentro non piove, anche se alzando lo sguardo all’angolo della camera esposto a nord-ovest - ed ora siete liberi di credere o meno a ciò che sto per dire - le prime avvisaglie di un neretto-verdognolo essenzialmente muffoso, fanno presagire qualcosa di diverso per il futuro.
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Sort:  

Un racconto molto scritto bene, hai creato qualcosa di diverso da tutti gli altri non incentrando la storia su persone. Bravo.

Ti ringrazio!

Grazie di aver partecipato al contest!

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