La Bestia dagli Occhi di Ghiaccio - Romanzo | CAPITOLO 16 [ITALIAN Language]

in Italy11 months ago

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Ciao!

Come spiegato in un precedente post, quello che trovi di seguito è un romanzo che scrissi alcuni anni fa e che ho deciso di revisionare negli ultimi mesi. Il titolo dell'opera è: La bestia dagli occhi di ghiaccio. La versione completa è disponibile su alcune piattaforme online in formato e-book o in cartaceo. Si tratta di un thriller ambientato in Italia, tra le pendici delle Alpi Apuane, che tocca altri generi come l'horror e il fantasy. Ci sono alcuni temi abbastanza forti, per cui consiglio la lettura a un pubblico di età adulta (over 18).

Cliccando sulla corrispondente parola in colore azzurro, puoi trovare:

il PROLOGO | il CAPITOLO 1 | il CAPITOLO 2 e il CAPITOLO 3
il CAPITOLO 4 e il CAPITOLO 5 | il CAPITOLO 6 e il CAPITOLO 7
il CAPITOLO 8 | il CAPITOLO 9 | il CAPITOLO 10 e il CAPITOLO 11
il CAPITOLO 12 | il CAPITOLO 13 | il CAPITOLO 14 | il CAPITOLO 15

oppure puoi proseguire nella lettura del post per trovare il CAPITOLO 16.

Buona lettura!


Copyright © 2013 Davide Simoncini
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LA BESTIA DAGLI OCCHI DI GHIACCIO

Romanzo

Proprietà letteraria riservata. È vietata la modifica, l'utilizzo e la riproduzione, in qualsiasi formato, su qualsivoglia mezzo digitale, cartaceo o di qualunque altra natura, senza il permesso esplicito dell'autore, a eccezione della personale consultazione.

Edizione Modificata e pubblicata nuovamente nel mese di Maggio 2023.

Questo romanzo è un'opera di finzione.

Il contenuto di questo romanzo è quasi interamente fittizio. Ogni riferimento (persone, luoghi, oggetti, avvenimenti, usanze, eccetera) è fittizio o casuale. Per ulteriori informazioni sarà possibile consultare la nota d'autore che verrà pubblicata dopo l'epilogo del romanzo.


CAPITOLO 16

Oggi, Fociomboli e Col di Favilla

«Ho preso un abbaglio.»
La voce di Daniele risuonò nelle sue orecchie come una lamentela forzata.
Gli doveva delle scuse: era questo a turbarlo. Non tutte quelle morti, non il fatto di aver perso gli amici di una vita come granelli di farina da un pacco bucato. Lo turbava il dovere delle scuse.
Ottavio riusciva a capirlo sempre meno. «Ascoltami», gli disse senza guardarlo. «Non è necessario scusarsi. Non mi sono offeso per le tue accuse.»
«Dannazione.»
Una buona risposta, ma Ottavio avrebbe gioito per un semplice “grazie”. Anche lui gliene doveva uno. Quell'uomo gli aveva salvato la vita estraendo una pistola e facendo fuoco. Non aveva colpito la bestia ma almeno l'aveva costretta a fuggire. Non sapeva che Daniele avesse con sé un'arma, eppure gli sembrava il male minore in tutto quel putiferio.
Allungò la mano con frettolosa disattenzione, cercando la porta. Daniele era troppo arrabbiato per poterlo aiutare. Varcarono l'ingresso cigolante come se stessero eseguendo la marcia di un funerale. Ottavio teneva Linda per la vita, un braccio attorcigliato a mo' di amo da pesca. Lo sguardo vacuo della ragazza impattava sul pavimento.
Linda era sconvolta.
Ciò che si era consumato dinanzi ai loro occhi aveva dell'incredibile. In quella macabra vacanza, aveva dovuto affrontare una sorpresa dopo l'altra. Che cosa stesse accadendo, ancora non lo aveva realizzato appieno. Anche l'ultimo membro del gruppo di Jack se n'era andato. Strappato alla vita da una furia che Ottavio aveva paura di ricordare. Una... cosa. Una bestia possente che il suo cervello provava a negare di aver visto davvero.
Percepiva il confine labile che lo separava dalla pazzia. Parlavano di pizze con gli amici e spettacoli al cinema fino a pochi giorni prima. E ora? Erano lì, alle prese con uno spettacolo talmente raccapricciante da non riuscire a descriverlo.
Ottavio stava perdendo la calma. Era stato l'ennesimo cadavere di quei lunghissimi tre giorni a costringerlo in quella situazione. Non riusciva più a capire, non riusciva più a pensare.
Sentì una mano legarsi intorno al suo petto. Sentì il calore di un corpo stretto al suo.
Già, pensò confortato.
L'unico appiglio che aveva era quello che teneva sotto braccio.
«Fai attenzione, Linda. Appoggiati qua.»
Fece un passo avanti verso una delle sedie. Lasciò che il corpo di lei scivolasse pian piano, come un filo d'olio che fluiva fuori dalla bottiglia del contadino. Era molto diversa da come la conosceva: la sua amica era solita sprizzare vita come una fontana a getto. Era lei ad aiutare il mollaccione Ottavio. Mai aveva incontrato una situazione che dicesse il contrario. Quella terribile vicenda gli aveva dimostrato che anche lei non era immune ai contraccolpi della vita.
Si alzò, ruotando la spalla all'indietro per sciogliersi i muscoli. Daniele lo tirò per un braccio. Lui si voltò. L'uomo stava indicando il corridoietto che dava all'esterno. Ottavio mimò una protesta, nella speranza che l'uomo sapesse leggere il labiale.
Daniele insistette.
Uscirono dalla stanza, mentre Ottavio gettava un'ultima occhiata all'amica. Era distrutta, però poteva farcela. Qualche istante da sola non sarebbe stato una tragedia.
Una volta fuori, Daniele richiuse la porta alle spalle.
«Sai di non poterla trattare così», cominciò brusco. «Non le fa bene.»
Rimase spiazzato da quelle parole. Non ne intuiva il senso. Anzi, gli sembrarono del tutto fuori luogo. «Che stai dicendo?»
«Ha bisogno di reagire, non di avere un cascamorto intorno che cerca di farla stare meglio.»
«Io non sto...»
«Smettila.» Il tono duro, Daniele appariva risoluto. Lui sapeva bene ciò che stava dicendo, anche se Ottavio non riusciva a capirlo.
«La tua è insensibilità allo stato puro», protestò. «Non conosci Linda. Lei è forte, oggi ha reagito in una maniera che non avevo mai visto. Deve aver toccato il limite.»
«Su questo non ho niente da eccepire.»
«E allora cos'hai? Che diavolo ti prende? Non capisco nemmeno perché tu mi stia facendo perdere tempo qua fuori con questa paternale.» Lanciò uno sguardo alla porta. «Anzi, sai che ti dico? Io torno dentro.»
«No.»
«Ha il diritto di essere aiutata.»
«Esatto, ha il diritto di essere aiutata. Io lo sto facendo, tu no.»
La frustrazione e la rabbia stavano uscendo fuori. Ottavio cominciava a risentire dei bollori che cercava di reprimere. Era come una pentola a pressione: sapeva di non poter reggere all'infinito.
«Togliti di mezzo, o sarò costretto a usare le maniere forti.»
Daniele accennò un sorriso, scuotendo l'indice davanti al suo naso. «Le minacce non servono, amico. Sto solo cercando di farti comprendere il tuo errore.»
«E quale sarebbe, di grazia?»
«Quello di voler cambiare le cose anche quando non è richiesto farlo.»
«Sta male.»
«Anche tu, a quanto vedo. Però sei qui a parlare con me. E te la sei portata in spalla da laggiù in fondo fino a questa catapecchia vecchia quanto i miei trisavoli.»
Cercò di respirare, attenuando la tensione. Sapeva che Daniele aveva in parte ragione. Forse persino più di una parte, ma era difficile da accettare.
«Abbiamo cose più importanti a cui pensare, ora come ora. Fai due passi», gli suggerì Daniele. «Lasciala là dentro. Deve sbollire e tu devi fare altrettanto. Capisco che tu le voglia bene, capisco che vorresti evitare di vederla soffrire.» Notò quegli occhi farsi determinati, più di quanto non li avesse visti finora. «Ma lei deve soffrire. Quando si troverà di fronte quella... cosa, lei non avrà pietà di Linda. Non deciderà di risparmiarla perché troppo compassionevole. Sai anche tu ciò che accadrà.»
Ottavio annuì, nonostante non volesse immaginarsi la scena. Mantenne il silenzio e continuò ad ascoltare il monologo di Daniele.
«L'unica maniera per riuscire a evitare un altro dramma è che Linda riesca a dominare i suoi sentimenti. Non può lasciarsi sconfiggere senza opporre resistenza. Deve mantenere il sangue freddo e ragionare. È l'unico modo per portare a casa la pelle.»
Guardò ancora verso la porta di legno. Il suo corpo era lì fuori, con Daniele. La sua testa, invece, era là dentro, con Linda. Sperava soltanto che tutto quello che stava accadendo potesse finire il più in fretta possibile. Nel frattempo, doveva riacquistare la sua lucidità.
«Che cosa vuoi che faccia?», disse in un getto di frustrante impotenza. «Me ne dovrei stare qui fuori a girarmi i pollici?»
«Te l'ho già detto. Fai due passi intorno alla casa, controlla che quella cosa stia alla larga da qui. Cerca di sbollire un po'. Intanto rimarrò io con Linda. Mi assicurerò che non le manchi niente. Però non sarò lì a consolarla, se è questo che vuoi sapere. Se tu rimanessi, sarebbe inevitabile. È un gesto istintivo. Accade, quando si ama una persona.»

* * *

Jack tentò di aprire l'ingombrante portone. Prima con le buone maniere, spingendolo soltanto con le braccia. Visti gli scarsi risultati, provò con una spallata ben assestata: la forza bruta mancava di rado il bersaglio. Quella fu una delle poche volte.
I battenti non si mossero di un millimetro.
La chiesa di Col di Favilla faceva sfoggio di una bellezza tutt'altro che malvagia. Poteva solo sognarsi gli sfarzi di cattedrali o di chiese di città, ma possedeva comunque degli esterni dall'aria dignitosa. A parere suo, era la parte meglio mantenuta di tutto il paesino. Nonostante ciò, non si aspettava una resistenza del genere. La vecchia entrata sarebbe dovuta cadere giù con la forza di uno starnuto.
Qualcuno aveva ristrutturato la chiesa, era l'unica spiegazione. Almeno per quel che concerneva l'ingresso, considerato quanto erano diventati solidi i cardini murati nel cemento.
Aveva commesso uno sbaglio.
Già in tempi remoti la chiesa era stata vittima di vandali e sciacalli. Immaginava che quel tipo di problema fosse peggiorato con l'abbandono del centro abitato. Piccoli ladruncoli con troppa paura per cercare fortuna nelle città ben più popolose e che decidevano di assiepare la montagna e svaligiare ciò che restava prima che finisse in pasto al degrado.
Jack si immaginò sorridere, nonostante la sua bocca non tradisse emozione. Lui non era quel tipo di persona, non era uno sprovveduto.
Infilò una mano nella tasca e prese il piccolo fermaglio per capelli che portava sempre di scorta. Si abbassò sulle ginocchia, infilando le due sottili forcine all'interno della toppa. Vi entrarono con facilità, come se fossero state fatte su misura. Jack cominciò a muoverle con parsimoniosa attenzione. Udì un primo scatto, poi un secondo. Al terzo, la porta scivolò di un paio di centimetri in avanti.
Era riuscito ad aprirla.
Si rialzò, sospingendo l'imposta. Riconobbe le lastre di marmo rovinato del pavimento, le solite che aveva lasciato tanti anni prima. Osservò i contorni del portone rinforzati dall'interno, i cardini all'apparenza nuovi.
Avanzò lungo la stretta navata centrale, l'unica offerta da quell'edificio sacro. Superò una dopo l'altra le panche di legno, sorrette a lato direttamente dalle mura della chiesa. Dieci metri più tardi, raggiunse il punto che cercava.
La porzione che ospitava l'altare era sempre stata il piatto forte della chiesa. Avevano fatto una buona scelta, lasciandola com'era. Imperniato su assi di legno, attendeva umilmente ai piedi del tabernacolo, un composto blocco che Jack non sapeva se fosse di metallo prezioso o semplicemente di legno. Poggiava su un ripiano in muratura, tutto apparecchiato e corredato di alcune defunte candele. Una serie di immagini appese ai muri lo fissavano con silenziosa apatia.
Era lì che Jack voleva arrivare.
Si inginocchiò a terra. L'aria umida della chiesa penetrò nelle sue narici. L'odore di stantio lo accompagnò, incrociandosi a un fetore del passato che riusciva a stento a sopportare.
Jack si fece forza. Era lì per un motivo. Ad anni di distanza, stava per compiere ciò che aveva lasciato in sospeso.
Scalzò il tappeto al davanti del tabernacolo, poco dietro l'altare. Una nube di polvere si alzò intorno a lui, posandosi sui vestiti. Tossì e si scrollò le maniche per ripulirsi, poi guardò a terra.
Togliendo il tappeto, aveva rivelato qualcosa. Un piccolo sportellino di legno rinforzato da due chiavistelli di ferro.
Una botola. Una minuscola botola.
Mancando di serrature, aprirla e prendere ciò che gli serviva sarebbe stato più facile del previsto.
Spostò i chiavistelli. Il ferro rugginoso sbraitò contro quel movimento, sferragliando contro gli archetti che lo tenevano in sede. Poi, Jack tirò verso di sé.
Chissà per quanto tempo il tesoro era rimasto nascosto.
Fece un lungo respiro, guardando all'interno dei venti centimetri cubi di apertura.
Poi imprecò.
Lì dentro non c'era niente.
Quello scrigno scavato nel terreno non era altro che una farsa. Era stato fregato. La lettera che aveva ritrovato e letto anni prima era soltanto una balla, una falsa pista con cui convincerlo a mettere le mani dove non avrebbe dovuto.
Rimise a posto il tappeto, quindi si alzò. Poi si fermò, lisciandosi il pizzetto con le dita.
Poteva anche essere andata in un altro modo.
Forse qualcuno aveva spostato ciò che stava cercando. La lettera non era un falso, ma qualcun altro l'aveva letta e aveva ripulito il nascondiglio prima di lui. Sì, così doveva essere andata. Se lo sentiva.
Il problema, ora, era capire chi diavolo fosse colui che si era messo involutamente sulla sua strada. Con tutta probabilità, quell'errore gli sarebbe stato fatale.
Richiuse e rimise a posto il tappeto. Si strinse i lacci delle scarpe, sbuffando. Stava per voltarsi, quando una voce echeggiò nella chiesa.
«Jack!»
Lui trasalì, conscio di essere stato colto sul fatto.
Ma forse poteva rimediare.

* * *

Daniele aveva ragione? Era veramente così?
Accade, quando si ama una persona.
Non aveva mai pensato a Linda in quei termini. La vedeva da sempre come un'amica, una compagnia ideale con cui condividere le proprie giornate. Considerarla l'amore della propria vita, quasi lo faceva rabbrividire. Non perché fosse schifato, era ovvio. Linda era stupenda, sia caratterialmente che fisicamente. Non avrebbe certo avuto problemi a trovarsi un partner. Eppure, per qualche ragione, non poteva ammettere a se stesso l'ipotesi di un legame più grande; forse perché avrebbe dovuto confessare di aver commesso un errore madornale.
La ragazza aveva scelto di trascorrere il proprio tempo con Ottavio. Non si era cercata un compagno. Mai. Era rimasta al suo fianco fin da quando l'aveva conosciuto, irraggiandolo con il suo buon umore.
Che non fosse un gesto casuale? Che potesse significare qualcosa che finora lui era stato così ostinato da non voler intravedere? Si ricordò delle domande in gioventù, quelle del “può esistere l'amicizia tra uomo e donna?”. Gli suonavano un po' infantili eppure erano forse più attuali ora che al tempo in cui se le era poste.
D'un tratto si sentì uno stupido.
Nel frattempo, aveva continuato a camminare, bloccandosi all'improvviso di fronte all'entrata della chiesa. Il portone dischiuso lo aveva incuriosito e spinto a sporgersi sulla navata. In quel momento aveva visto un uomo: era Jack.
Si fermò sulla soglia. «Jack!», lo chiamò a gran voce.
L'uomo si voltò. Lo riconobbe e cercò di sorridergli. L'espressione che ne uscì assomigliava a un sorriso tanto quanto un candelabro a una civetta. Con tutto ciò che avevano passato, non poteva aspettarsi altrimenti.
«Che stai facendo?», domandò Ottavio.
«Che sto cercando, più che altro», lo corresse Jack, percorrendo la navata verso di lui. «La pala che abbiamo usato prima per scavare la fossa è troppo rovinata. Mentre scavavo ho trovato un masso di roccia. Ho provato a cambiare posto ma ne ho incontrato un altro. Sono venuto a vedere se quaggiù c'è qualcosa che possa essermi d'aiuto.»
Ottavio gli andò incontro. «In una chiesa?», domandò ironico. «Saresti dovuto venire a cercarla vicino all'abitazione. Dubito che in sacrestia tu possa trovare qualcos'altro oltre a un vecchio ostensorio.»
«In verità era proprio in sacrestia che volevo cercare. Quando abitavo qui, ricordo che il sacerdote teneva degli attrezzi in un ripostiglio.»
«Davvero?»
Jack indicò uno sbocco pochi passi alla loro sinistra. «Poco prima di uscire al sole. A volte serviva qualche attrezzo per piccole riparazioni. Il sacerdote li ha accumulati con il tempo. All'inizio li lasciava fuori dall'edificio, poi qualche furbacchione ha fatto man bassa e da allora ha deciso di tenerli là dentro. Usava una vecchia apertura nel muro come sgabuzzino.»
«Le hai trovate?»
«No. A quanto pare sono cambiate molte cose da quando ho lasciato questo posto.»
«Probabilmente il sacerdote le ha portate via quando se n'è andato.»
«Già, penso anch'io. Andrò là fuori e cercherò un altro punto dove scavare.»
«Non c'è due senza tre.»
«Se toccasse a te scavare, la penseresti diversamente.»
Certe volte quell'uomo aveva delle uscite davvero spigolose. Come il suo amico Daniele, anche Jack aveva un caratterino difficile da decifrare.
L'uomo oltrepassò Ottavio, andando dritto verso l'ingresso. Uscì dalla chiesa senza fermarsi, sparendo oltre il varco. Da lì, sottili raggi di luce penetravano all'interno: l'unica illuminazione di quel luogo così tetro.
Ottavio si guardò attorno. Le braccia distese lungo i fianchi, osservò la minuscola navata. Non era molto fatiscente, ma conservava il proprio perché. Le finestre erano coperte da uno strato di polvere che conferiva loro un color grigio cenere. Passò lo sguardo sulle mura interne, scarne ma prive di muffa. Qualche ragnatela di varia dimensione attecchiva al soffitto a mo' di ventosa.
Poi i suoi occhi si posarono sull'altare.
Si avvicinò fin quasi a sfiorare le murature e infine il tabernacolo. Le sue dita erano attratte da quell'oggetto come una calamita.
«Sono contento che le piaccia.»
Ottavio trasalì, mentre la voce risuonava intorno a lui. Il timbro asciutto lo colse completamente alla sprovvista. Si voltò, i battiti del cuore lenti ma terribilmente pulsanti.
Sulla soglia, un uomo. In contrasto con la luce alle sue spalle, Ottavio non riusciva a carpirne le forme del viso. E nemmeno il timbro di voce gli diceva nulla. Pensò di non conoscere quella persona.
«Sono davvero contento che le piaccia», ripeté l'uomo. Lo vide fare un passo avanti, cominciando a marciare lungo la navata nella sua direzione. Adesso il suo volto divenne visibile: era quello di un anziano. «Se vuole potrei anche spiegarle come è nato e da dove proviene.»
Ottavio rimase spiazzato. Non riuscì che a sillabare qualche convulsa frase che nemmeno lui capì, prima di essere zittito dalle nuove parole del vecchio.
«Tuttavia, dovrà darmi prima lei delle spiegazioni.» L'uomo lo raggiunse. Aveva un portamento regale, seppur minato dai chiari segni del tempo. Lo guardò di sottecchi. «Mi deve spiegare perché è entrato forzando la mia proprietà.»

Sort:  

wow here is another part of your regular Novel. I wish I have a brief of this story because its hard for me such loooong stories. I hope you don't mind me saying this. Thanks for the story !

No worry, maybe I'll publish a small brief after the end of the story. I understand reading the whole novel is hard, also because it's a different language to read. Thank you for stopping again Shohana, have a nice week :)

Nella storia ho letto la parte che dice, questo accade quando ami qualcuno, qualcosa di molto reale nella vita, abbiamo degli amici e ad un certo momento ci rendiamo conto che il tuo amico non è solo questo, che in qualche modo provi un sentimento molto diverso per lei, ma il problema appare quando pensi, non voglio perdere l'amicizia, ma sento qualcos'altro, è un dilemma che cambia tutto

E' un evento destinato a ripetersi ancora chissà quante volte nel mondo reale :D
Grazie per esserti fermato a leggere la storia anche questa settimana! :)

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