La Bestia dagli Occhi di Ghiaccio - Romanzo | CAPITOLO 6 e CAPITOLO 7 [ITALIAN Language]

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Ciao!

Come spiegato in un precedente post, quello che trovi di seguito è un romanzo che scrissi alcuni anni fa e che ho deciso di revisionare negli ultimi mesi. Il titolo dell'opera è: La bestia dagli occhi di ghiaccio. La versione completa è disponibile su alcune piattaforme online in formato e-book o in cartaceo. Si tratta di un thriller ambientato in Italia, tra le pendici delle Alpi Apuane, che tocca altri generi come l'horror e il fantasy. Ci sono alcuni temi abbastanza forti, per cui consiglio la lettura a un pubblico di età adulta (over 18).

Cliccando sulla corrispondente parola in colore azzurro, puoi trovare:

il PROLOGO | il CAPITOLO 1 | il CAPITOLO 2 e il CAPITOLO 3
il CAPITOLO 4 e il CAPITOLO 5

oppure puoi proseguire nella lettura del post per trovare il CAPITOLO 6 e il CAPITOLO 7.

Buona lettura!


Copyright © 2013 Davide Simoncini
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LA BESTIA DAGLI OCCHI DI GHIACCIO

Romanzo

Proprietà letteraria riservata. È vietata la modifica, l'utilizzo e la riproduzione, in qualsiasi formato, su qualsivoglia mezzo digitale, cartaceo o di qualunque altra natura, senza il permesso esplicito dell'autore, a eccezione della personale consultazione.

Edizione Modificata e pubblicata nuovamente nel mese di Maggio 2023.

Questo romanzo è un'opera di finzione.

Il contenuto di questo romanzo è quasi interamente fittizio. Ogni riferimento (persone, luoghi, oggetti, avvenimenti, usanze, eccetera) è fittizio o casuale. Per ulteriori informazioni sarà possibile consultare la nota d'autore che verrà pubblicata dopo l'epilogo del romanzo.


CAPITOLO 6

Oggi
Fociomboli

Il paesaggio metteva i brividi. Le nuvole facevano da involto ai pendii scoscesi, determinate a reclamare il loro momento. Le depressioni lungo le pareti, classico alloggio della neve invernale, raccoglievano la pioggia che batteva i boschi da quasi quarantotto ore. L'acqua partiva con le sembianze di un rigagnolo, per confluire in torrenti occasionali destinati a precipitare sui sentieri. Sembrava che avesse un obbiettivo da raggiungere, una destinazione disegnata dalla casualità del destino e che l'attendeva sul fondo della vallata.
Gli animali della foresta aspettavano silenziosi nelle loro tane. I loro abbozzati pensieri non riuscivano a comprendere la parola scopo*. La loro unica parvenza di scopo era quella con cui la natura imponeva il proprio dominio sull'universo: la sopravvivenza. Conoscevano due soli obbiettivi: vivere e sopravvivere.
Gli animali della foresta ignoravano il significato della parola emozione. Provavano a malapena sensazioni. Ed erano quelle sensazioni, sviluppate e tramandate nel corso di migliaia e migliaia di anni, che permettevano loro di aprire gli occhi ogni giorno.
Per chi voleva sopravvivere nella foresta, così stavano le cose.
Anche per lei.
Mentre avanzava, la bestia non udì il solito scricchiolare sotto i propri piedi. Inzuppati come castori dopo un lungo bagno, i rami secchi calpestati non emettevano alcun suono. Sotto quella tempesta, nessuno avrebbe potuto accorgersi di lei.
Gli occhi vitrei spuntarono tra gli alberi, a trecento piedi di distanza dalla casetta. Là dentro, un fuoco scoppiettante ardeva sugli ultimi ciocchi di legna. Fuori, invece, un fuoco ben più grande singhiozzava tra le raffiche di pioggia.
La rabbia della bestia non aveva limiti.
Perché, come tutti gli animali della foresta, anche la bestia era cresciuta in quell'atmosfera. C'era stato un tempo in cui anche lei aveva provato emozioni. Perché lei poteva. Ma in un giorno lontano, nascosto nel suo passato, aveva spento quelle emozioni, tradendo la sua natura. Non c'erano più ricordi che gli appartenessero davvero.
O quasi.
Un ricordo c'era. Uno, uno soltanto. L'unica cosa in grado di riportarla indietro di anni, quando ancora in lei non si era avverata la profezia del fato. Era questo che faceva la differenza tra lei e un qualsiasi altro animale che viveva nella foresta: lei aveva avuto quella capacità, negata invece agli esseri con cui condivideva la propria dimora.
Ma com'era vero che la bestia aveva spento le emozioni, era anche vero che avrebbe potuto riaccenderle. Non sapeva come fare, ma quello che era accaduto gli aveva dimostrato quanto quell'eventualità fosse concreta.
Nella sua testa era tornato con prepotenza quel ricordo. Quell'unico frammento di un passato lontano. Irraggiungibile, ma anche incancellabile. La bestia non voleva rinunciarci. Voleva che rimanesse un punto fermo della propria esistenza.
Grazie a quel ricordo, la bestia era maturata più degli altri animali. Aveva preso possesso di qualcosa capace di distinguerlo da un piccolo pettirosso: aveva acquistato la capacità di provare un'emozione.
Era per quell'emozione, che lei viveva; per quell'emozione, che aveva trovato davvero uno scopo, un obbiettivo che andasse al di là della mera sopravvivenza.
Digrignò i denti, mostrando un paio di canini affilati come coltelli.
Questa volta avrebbe chiuso i conti. Doveva solo dire grazie all'unica emozione che fosse stata in grado di provare.
Nei suoi occhi vitrei ardevano le fiamme. Fiamme che venivano dritte dall'inferno che era stata costretta ad affrontare.
I suoi occhi tradivano l'unica emozione che avesse mai provato.
Odio profondo.


CAPITOLO 7

Alcuni anni prima, 2 Luglio 1995
Retignano, Alta Versilia

La valle del seravezzino prendeva il nome dal centro cittadino che faceva da roccaforte all'ingresso della strada che si incanalava tra le montagne: Seravezza. Le vie costeggiavano alcuni corsi d'acqua destinati a raggiungere il mare dopo essere sfociati nel fiume Versilia. Radi grappoli di abitazioni incorniciavano il torrente principale, inerpicandosi sui pendii e salendo verso la Garfagnana. Uno di questi era Retignano, il luogo in cui sua madre lo aveva messo alla luce.
Cosimo non poteva descrivere come fosse il mondo al di là della pianura a valle: non aveva mai lasciato la sua casa da quando era nato. Aveva subito le ingiustizie di una vita di sacrificio con poche ricompense. Una scuola terminata per gli sbagli di qualche giullare investito della carica d'insegnante, poi il lavoro. Le sue giornate erano diventate un monotono intercalarsi di notti di riposo e mattinate di fatica.
Due flebili raggi di sole gli solleticarono la pelata, mentre si accingeva a chinarsi su un groviglio di rovi. Mise mano al taschino dei pantaloni, estraendo un vecchio coltellino privo di affilatura. Cercò di mietere i ramoscelli per arrivare a un corposo fungo su cui i suoi occhi erano inciampati. Si avvicinò, lo osservò. Capì che almeno oggi avrebbe avuto un pasto in garanzia.
Sollevandosi da terra, alzò il fungo celebrandolo con un'occhiata tronfia. Ripulì la cappella dalle foglie e il gambo dal terriccio. Uno splendido esemplare di porcino. Poco comune, in quella stagione.
Non poteva certo lamentarsi. In un modo o nell'altro, Cosimo riusciva sempre a mettere qualcosa sotto i denti. Il suo lavoro era semplice e si riassumeva in una parola: pastorizia. Gli piaceva, doveva essere sincero. Partiva al mattino e tornava spesso la sera, ma si godeva i sentieri tra le montagne come una nobildonna un prelibato dessert. Allevava capre: solo e soltanto capre. Erano gli animali più adatti su quei terreni, zeppi di impervie salite cosparse di punti rocciosi poco consoni a vacche o maiali. Partiva dalla sua casa a Retignano o dalla capanna che si era costruito più su, in vicinanza del Passo Croce, salendo poi verso il Rifugio Del Freo. Ma quel rifugio non era l'unico che aveva conosciuto: a diverse decine di minuti di cammino, svettava un rifugio ufficializzato da poco, La Fania, una vecchia catapecchia all'ombra di un gigantesco faggio che era stata rimodernata e presentata solo una manciata di anni prima. Era passato in prossimità del posto anche quella mattina, prima che le capre cominciassero a marciare sul solito sentiero.
«Dannate bestiacce», si sfogò.
Non che qualcuno potesse sentirlo: il suo solo compagno era Oreste, il cane pastore e unico amico fedele che avesse mai avuto. Nella sua vita non c'era stata traccia di relazione umana, solo una lunga, inseparabile solitudine. Non era ciò che lui stesso avrebbe definito un bell'uomo, con una pelata che svettava tra gli alberi d'inverno e un grosso neo sulla guancia destra, abbinati a lineamenti smussati e particolarmente tozzi. In aggiunta, la vita trascorsa a giornate fuori di casa non aveva aiutato. Da quando aveva lasciato la scuola, la sua vita sociale era stata seppellita assieme ai libricini che poco aveva usato.
Capre. Capre e soltanto capre.
Inutile negarlo, quella era la sua vocazione e l'unico ambito in cui potesse avere qualcosa da dire. Ma anche l'unico che lo faceva imbestialire, esattamente come in quel momento, quando vide uno degli esemplari più piccoli che si allontanava dal gregge, seguendo un abbozzo di sentiero per i fatti propri.
Con un fischio, lasciò in consegna il grosso del gregge al suo amico Oreste. Il cagnone si mise sull'attenti e si spostò sul fondo del gruppo. Il lungo pelo oscillò nell'aria, perdendo zollette di terra accumulate durante la giornata.
Cosimo approcciò con calma l'inseguimento alla capretta. Succedeva spesso, specialmente con le più giovani. Le più vecchie erano abituate al percorso che ormai ripetevano da mesi, ma le nuove arrivate avevano bisogno di più tempo per essere avvezze. Di norma seguivano i genitori, ma poteva succedere che un rumore o un movimento le facesse incuriosire o spaventare e la soluzione era una soltanto: toccava al pastore metterci una pezza o perdere la bestiola.
Certo, ma i minuti passavano.
Aveva sotto tiro la capretta: la vedeva. Era là, non più lontana di trenta piedi. Eppure non dava segno di voler fermarsi, continuava per la sua strada. Sperò soltanto di incappare in un ostacolo, magari un tronco caduto l'inverno passato. Quell'imprevisto lo stava costringendo a un ritardo sulla tabella di marcia.
Per fortuna, il sentiero virò verso il basso e poi di nuovo all'insù, seguendo un tracciato quasi ad anello. Quando la capretta si fermò, attratta probabilmente dall'odore dei propri consanguinei, il gregge non distava molto. Cosimo la raggiunse e mise la mano sul suo collare, afferrandolo con forza. Le prime fioche dita della sera stavano già sfiorando gli alberi. Doveva sbrigarsi a riprendere il gregge e tornare all'ovile.
Incappò fortunosamente in una scorciatoia. La inforcò, raggiungendo il suo amico Oreste e il resto della truppa, seguito dalla capretta fuggiasca.
«Andiamo, amico mio. L'ora è tarda.»
Indirizzato da un nuovo fischio, Oreste riprese la propria posizione sulla cima del gruppo, mentre Cosimo rimaneva nelle retrovie mantenendo lo sguardo attento. Tuttavia, il bastone sembrava diventare più pesante ogni minuto che passava. Le gambe cominciarono a fare male molto prima del solito. Ma non c'era granché da fare, doveva tornare a casa senza fermarsi.
Dopo una mezz'ora o più, Cosimo notò un rallentamento del gruppo, seguito da degli strani fruscii. Essendosi distratto per la fatica, pensò immediatamente alla capretta e mise in moto la manovra d'emergenza. Il solito fischio e la solita puntuale risposta del suo amico Oreste.
Mentre il cane si posizionava di nuovo sul fondo del gruppo, lui seguì il fruscio tra una folta vegetazione: dapprima con lo sguardo, poi in prima persona.
Trascorse cinque minuti buoni cercando di capire dove potesse essere andata la capretta. Aveva visto la vegetazione muoversi, ma non riusciva a scorgere nessun segno dell'animale. Che fosse un'altra bestia non era da escludersi, ma gli sembrava strano. Anche se la loro presenza non era un mistero, lupi e cinghiali non si erano mai avvicinati così tanto al luogo in cui lui viveva. Doveva essere la capretta.
Un altro fruscio, poi un nuovo rumore: scricchiolio di legna.
Quando il suo sguardo si poggiò su un masso grande quanto una botte, affranto, si abbandonò all'ennesimo fallimento. Niente, non c'era niente.
Finché non lo vide.
Lì, c'era qualcosa.
Che non era un qualcosa: era un qualcuno.
Spostò le ultime due fronde che lo separavano dalla roccia e osservò il bambino accucciato ai piedi del monolite in miniatura.
Non sapeva che cosa potesse farci un bambino lassù, ma soprattutto non sapeva come potesse esserci arrivato.
Cosimo non aveva mai dovuto affrontare una situazione del genere, nemmeno nei suoi sonni più vivaci.
Cosa diavolo faccio, adesso?

Sort:  

Sempre più intrigante...forse la bestia anni prima era umana...
Inoltre mi piace come usi la personificazione degli elementi naturali in alcuni passaggi!

Non ho capito se il libro che hai già pubblicato è uguale a questo e stai solo raffinando la stesura, oppure stai apportando modifiche sostanziali alla trama o alla struttura?

Quello che pubblicai anni fa seguiva questa trama ma mancava di alcuni capitoli. Le ultime modifiche sono invece piccole correzioni di ortografia o riscritture di alcune frasi.

grazie

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