La Bestia dagli Occhi di Ghiaccio - Romanzo | CAPITOLO 9 [ITALIAN Language]

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Ciao!

Come spiegato in un precedente post, quello che trovi di seguito è un romanzo che scrissi alcuni anni fa e che ho deciso di revisionare negli ultimi mesi. Il titolo dell'opera è: La bestia dagli occhi di ghiaccio. La versione completa è disponibile su alcune piattaforme online in formato e-book o in cartaceo. Si tratta di un thriller ambientato in Italia, tra le pendici delle Alpi Apuane, che tocca altri generi come l'horror e il fantasy. Ci sono alcuni temi abbastanza forti, per cui consiglio la lettura a un pubblico di età adulta (over 18).

Cliccando sulla corrispondente parola in colore azzurro, puoi trovare:

il PROLOGO | il CAPITOLO 1 | il CAPITOLO 2 e il CAPITOLO 3
il CAPITOLO 4 e il CAPITOLO 5 | il CAPITOLO 6 e il CAPITOLO 7
il CAPITOLO 8

oppure puoi proseguire nella lettura del post per trovare il CAPITOLO 9.

Buona lettura!


Copyright © 2013 Davide Simoncini
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LA BESTIA DAGLI OCCHI DI GHIACCIO

Romanzo

Proprietà letteraria riservata. È vietata la modifica, l'utilizzo e la riproduzione, in qualsiasi formato, su qualsivoglia mezzo digitale, cartaceo o di qualunque altra natura, senza il permesso esplicito dell'autore, a eccezione della personale consultazione.

Edizione Modificata e pubblicata nuovamente nel mese di Maggio 2023.

Questo romanzo è un'opera di finzione.

Il contenuto di questo romanzo è quasi interamente fittizio. Ogni riferimento (persone, luoghi, oggetti, avvenimenti, usanze, eccetera) è fittizio o casuale. Per ulteriori informazioni sarà possibile consultare la nota d'autore che verrà pubblicata dopo l'epilogo del romanzo.


CAPITOLO 9

Oggi, Fociomboli

Pietre sciatte si alternavano ad alcune sporgenze di legno. Ottavio lasciò che le sue dita vagassero sul pavimento, tastandone i particolari. Lo udì crepitare appena, prima che l'umidità attutisse ogni rumore. Una zaffata di muffa lo avvolse, uno straziante pizzicotto che lo riportò alla realtà, facendogli riprendere rapidamente i sensi. Aprì gli occhi, trovandosi a tu per tu con la sua amica Linda, inginocchiata a un passo da lui.
«Buongiorno», gli sussurrò, sorridendo.
Ancora intorpidito dal sonno, attese qualche momento per trovare la lucidità. Poi le mise una mano sul fianco, tirando dolcemente verso di sé. Fu un gesto istintivo, fatto con l'innocenza dell'inconscio. Ne lui ne lei se lo aspettavano.
«Che fai?»
«Mi prendo la mia rivincita», le rispose.
«Perché?»
La guardò per un secondo, dritto negli occhi. Sorrise. «Perché esisti», confessò.
«Oh, che sdolcinato. Sarebbe una dichiarazione?»
«No, la confessione di un tormento da cui non riesco a liberarmi.»
Linda appoggiò un braccio a terra, cercando di divincolarsi blandamente dalla sua stretta. Lo fissò, giocosa, con uno sguardo illuminato dalla malizia. «Non penso tu lo voglia davvero.»
«Forse no. Chissà.»
Quando faceva così, Ottavio la odiava. Prima o poi avrebbe ceduto alle proprie pulsioni, lo sapeva da tempo.
«Io ho sempre ragione.»
Si alzò, abbandonando la compagnia dell'amica e guardandosi attorno. Non sembrava ci fosse nessuno. Lui e Linda erano rimasti in una specie di ristretto salotto, dormendo nei sacchi a pelo riversati sul pavimento. L'abitazione aveva anche altre due minuscole camere e un corridoio a forma di esse che univa la stanza in cui si trovavano con una piccola anticamera. Da lì, una porta dava all'esterno.
Stropicciandosi gli occhi, si avvicinò alla mobilia, appena illuminata da qualche fioco raggio di luce che riusciva a penetrare le polverose tendine incollate alle finestre. Vide dei vecchi oggetti di legno di cui non capì lo scopo, prima di notare alcuni libri e dei fogli sparsi. Poggiò la mano su uno di loro, incuriosito da una strana figura disegnata sulla copertina. L'immagine era cancellata a metà, come la scritta che immaginava essere il titolo. Si leggeva soltanto “selvatico”, e anche male, se doveva essere sincero. L'animale disegnato sotto alle parole vittime del tempo aveva una folta peluria, quasi come una scimmia. Protendeva un braccio in alto, come se dovesse aggredire qualcuno. Poco più a lato, la rappresentazione di un grumo di case completava il quadretto.
«Sei un amante di vecchie leggende?» Jack era appena arrivato dal corridoio.
Ottavio ripose le carte e allontanò le braccia dal ripiano. «Scusami. Non ti avevo visto», si giustificò.
L'uomo non fece nemmeno caso alla sua risposta. Abbassò gli occhi, indicando il cesto di legna vuoto. «Abbiamo finito la scorta. Fortunatamente sembra che le cose là fuori vadano meglio.»
In effetti uno strano silenzio era calato su di loro. La pioggia era terminata.
«Questo è un miraggio.»
«Lo sarà quando uscirai da qui», lo corresse Linda, alzandosi dal proprio giaciglio. «Per adesso è solo una piacevole intuizione.»
«Purtroppo per noi, i guai non sono ancora finiti», riprese Jack. «Sono andato a dare un'occhiata sul retro della casa per prendere la legna.»
«Non l'hai trovata, a quanto vedo», disse Ottavio indicando il cesto vuoto.
«Troppo bagnata», replicò l'uomo. «Era dentro un avvallamento del terreno. Ora sembra sia stata affogata dentro il Lago Trasimeno.»
Lo vide bloccarsi per un istante. La porta della camera si aprì sotto il movimento di una mano. Il volto di Roberto sbucò dallo spiraglio, scrutandoli con occhi pimpanti.
«Siete tutti svegli?»
«Torna là dentro, vecchio imbecille», ringhiò Jack. «Non sono disposto a vedermi ballonzolare davanti quel coso. Prima di uscire abbi la decenza di rivestirti.»
Roberto si guardò per un attimo, poi annuì e richiuse la porta, portandosi dietro i ciondoli. Era disarmante quanto a quell'uomo non importasse di niente.
«Comunque sia – riprese Jack – fuori ho trovato qualcos'altro. Un brutto imprevisto.»
Linda sbuffò.
«La strada da cui siete arrivati è bloccata. Un fulmine ha colpito il castagno secolare radicato sul ciglio. È caduto giusto sullo sterrato.»
«Dannazione.»
«È un eufemismo, per caso? Io avrei usato parole più colorite.»
«E adesso?» Linda incrociò le braccia. Il suo volto si era dipinto di insofferenza. «Come faremo ad andarcene?»
«Semplicemente non possiamo. Spostare quell'ammasso di legna non è fattibile.»
«Avete controllato bene?»
«Daniele è appena uscito. Se le cose andranno come credo, dovremo aspettare i soccorsi.»
«Non c'è un modo per andarcene da qui?»
«Ci sono dei sentieri. Voi potrete passare da lì. Sarà molto più lungo, ma almeno raggiungerete la civiltà.»
Ottavio intuì le conseguenze di quel consiglio.
«E voi rimarrete qui?»
Jack scrollò le spalle. «Per forza di cose. Non possiamo lasciare l'auto. Chiameremo i soccorsi e li attenderemo. Loro saranno certamente in grado di liberare la strada.»
Ottavio lo fissò un istante, passando poi lo sguardo sul pavimento, pensieroso, prima di riportarlo infine sul pizzetto dell'uomo.
«Non possiamo lasciarvi qui da soli.»
«Che stai dicendo? Non ci sono problemi. Anzi, voi dovete...»
«No, noi non dobbiamo», lo zittì bruscamente. «Ci avete aiutati quando nessuno ve lo ha chiesto. Non mi sentirei a posto con me stesso sapendo di lasciarvi qui.»
«Sapremo cavarcela da soli.»
«Ne sono certo, ma preferisco restare. Una volta arrivati i soccorsi, ce ne andremo tutti insieme.»
«Non è necessario.»
Quella serie di blande rimostranze aveva assunto le sembianze di una lamentosa cantilena. Ottavio non aveva intenzione di lasciarli lì. Quanto avrebbero potuto impiegare i soccorsi, alla fine?
«Tranquillo Jack. Se per te non è necessario, per me sì.» Si avvicinò all'uscita. «Se qualcuno di voi vuole seguirmi, io andrei a prendere una boccata d'aria.»

* * *

Daniele coprì i pochi metri che lo separavano dalla strada. Gli uccelli avevano iniziato a cinguettare, mentre i primi raggi di luce affioravano dietro la schiena delle montagne. Deboli zone soleggiate stavano comparendo sul dorso del Pizzo delle Saette, un rilievo che saliva collegandosi alla ben più nota Pania della Croce. Quest'ultima svettava a più di 1800 metri sul livello del mare ed era la principale delle Panie. Un siluro di roccia la cui cima si poteva raggiungere praticamente da ogni versante, attraverso percorsi poco raccomandabili per escursionisti alle prime armi. Era così celebre perché non c'era luogo nel raggio di dozzine e dozzine di chilometri che potesse nascondersi al suo occhio. La Corsica e altre isole a mare, la Garfagnana e gli Appennini nell'entroterra. I più temerari giuravano che con un buon binocolo si potesse scorgere anche il Campanile di Giotto nella città di Firenze.
Il naso di Daniele gioì all'odore di primavera appena sbocciata. Si era stufato della puzza di muffa che albergava nella casetta. Era stato costretto a conviverci due giorni interi. Considerato il suo carattere, non sapeva come ci fosse riuscito. Non era famoso per la sua pazienza.
Una gamba gli cedette improvvisamente, costringendolo ad afferrare il robusto ramo alla sua destra. Riuscì a rimanere in piedi, imprecando sottovoce. Abbassò la testa per evitare dei sottili ramoscelli e si immise sulla strada sterrata.
Cento metri più avanti, un enorme castagno era crollato sulla via, impedendo il passaggio.
Sbuffò, esasperato.
Si avvicinò ciondolando le spalle. Riusciva a nascondere la sua aria piccata solo perché nessuno lo stava accompagnando. Il tronco riposava silenzioso sulle pietre. Lui allungò una mano per tastarlo, inutilmente: non era così che avrebbe trovato una soluzione per quella sciagura. Sentì la superficie irregolare, colma di scaglie marroni asperse di muschi umidi. Sul lato opposto al suo, il profilo legnoso si allargava in una voragine preceduta da una linea di confine scheggiata, nera come il carbone.
Guardò in basso. Il castagno era stato mozzato quasi alla base. Alcune radici erano infilate nel terreno, altre si protendevano verso il cielo come lunghe dita deformate dall'artrite. Poche cose erano in grado di fare uno scempio del genere, ma in montagna le opzioni venivano ulteriormente ridotte.
Fulmini.
Il caos delle città, le innumerevoli correnti elettriche e le migliaia di campi magnetici che gli apparecchi generavano avevano il vantaggio di funzionare come un tutt'uno. Costituivano un parafulmini naturale. Le saette si tenevano a distanza, scegliendo invece quegli ambienti dove simili escamotage non potevano essere messi in pratica. Mare, montagne, campagne. Gli obiettivi non avevano scampo: una volta che il voltaggio di una saetta toccava il terreno, sprigionava la sua enorme potenza distruttrice. Questo perché non tutto il terreno era un buon conduttore. Finché l'elettricità trovava il proprio percorso, i problemi non esistevano. Quando invece le veniva impedito il passaggio, si raggomitolava su se stessa. Implodeva. La scarica si manifestava in forma concreta, di solito facendo saltare in aria e bruciando ciò che le stava intorno. La sfortuna voleva che in quell'occasione fosse toccato all'albero più grande che Daniele avesse visto da quando era partito, giù a Seravezza.
Cercò di scavalcare i monconi meno ingombranti del tronco, ma desistette. Percorse invece il perimetro e arrivò sul ciglio della strada, dove i boschi scendevano a dirupo. Non avevano chance di ripartire con il loro fuoristrada. Avrebbero dovuto attendere i soccorsi.
Ficcanaso.
Un pensiero che nelle ultime ore condivideva con Jack. Agli albori sarebbero dovuti essere soltanto in due, gli unici che avevano qualcosa di davvero importante da fare. Aveva soffocato la rabbia quando i loro vecchi amici si erano intromessi, poi quando erano stati costretti a dare riparo a due escursionisti capitati da loro per caso. Adesso erano rimasti bloccati da un albero condannato al rogo dagli starnuti di Giove: che diavolo doveva accadere, ancora?
Se non altro il suo amico Jack aveva iniziato a occuparsi della questione. I primi due ospiti indesiderati, Ottavio e la sua compagna di viaggi, se ne sarebbero andati in giornata. Non sapeva se avessero intenzione di continuare la loro gita o tornare indietro fino ai piedi del Corchia, dove avevano lasciato la loro automobile. Stava giusto parlando con loro, in quel momento. Secondo la versione ufficiale, i rimanenti avrebbero invece aspettato i soccorsi, così da liberare il passaggio e poter tornarsene a casa.
Menzogne necessarie.
Daniele non aveva nessuna intenzione di chiamare i soccorsi. Non adesso, non finché non fossero riusciti a portare a termine ciò per cui si trovavano su quelle montagne. Solo una volta esauditi quei loro antichi desideri avrebbero informato le autorità e chiesto aiuto. Sarebbero quindi scesi verso Isola Santa, per lasciare infine la Garfagnana. Daniele non ci avrebbe rimesso piede mai più.
Si voltò verso la casa. Il tetto illuminato dal sole rifletteva sui suoi occhi. Dovette passarsi una mano sopra la fronte per coprirsi dai bagliori. Vide la porta ancora chiusa, oltre al vuoto di fronte a lei. Per fortuna, non era ancora uscito nessuno.
Mentre si voltava di nuovo, il suo sguardo venne attratto da un oggetto giallognolo in lontananza. Riverso sulla melmosa distesa di foglie vecchie, attendeva immobile. Molte volte i boschi facevano strani scherzi, eppure non aveva l'aspetto di una pietra.
Che diavolo era?
Si aiutò con le braccia per scavalcare un masso all'entrata del bosco. Coprì la distanza che lo separava dall'oggetto con l'attenzione di un militare. Ogni passo faceva aumentare la sicurezza che quel coso non appartenesse al mondo naturale.
Poi, quando fu a una dozzina di metri dal punto che aveva notato, il suo sguardo atterrò su un secondo oggetto.
Ingoiò un grumo di saliva. Il cuore cominciò a battere più forte.
Un cappellino.
Sul terreno inzuppato c'era un cappellino che lui conosceva bene. Lo aveva visto sulla testa di uno dei suoi amici: Andrea.
Si avvicinò e sollevò il copricapo. I suoi occhi trepidanti indugiarono un attimo prima di spostarsi sull'oggetto che lo aveva portato fin lì.
Due passi. Fu quello che gli servì per capire cosa fosse il coso giallo che aveva visto.
Era una casacca impermeabile. La casacca impermeabile di un uomo.
La casacca impermeabile che un uomo indossava.
Ebbe un tuffo al cuore.
Un corpo senza vita giaceva inerme sul terreno. Un volto sporco di sangue, gli occhi aperti. Le labbra socchiuse in un'espressione di terrore, o forse vittima di un riflesso involontario nell'esalazione dell'ultimo respiro. Il torace era inzuppato di liquido rosso bruno.
Tutto quello spettacolo, per quanto orrendo potesse essere, non era la cosa peggiore.
Un conato di vomito gli salì alla gola. Riuscì a trattenersi a stento, nonostante la sua resistenza a certe situazioni.
Quell'uomo, lui lo conosceva bene.
Andrea.
Con il fiato intriso di paura, corse indietro verso la casa.
Non era solo il suo amico. Non era solo un morto. In quella visione c'era qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere.
Tra l'ombelico e le gambe immobili, una distesa di fango imbevuto di sangue, accompagnata da qualche tortuoso viscere fuoriuscito dall'apertura.
Andrea non era stato ucciso e basta.
Andrea era stato mozzato di netto.

* * *

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Wow the story reached to chapter 9. That's great. I like suspense, thriller and horror stories but I prefer it written in my native language for understanding it well.

Yeah, it's the best way to understand a text. Thank you very much for stopping Shohana, I wish you a nice new week :)

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