La Bestia dagli Occhi di Ghiaccio - Romanzo | CAPITOLO 14 [ITALIAN Language]

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Ciao!

Come spiegato in un precedente post, quello che trovi di seguito è un romanzo che scrissi alcuni anni fa e che ho deciso di revisionare negli ultimi mesi. Il titolo dell'opera è: La bestia dagli occhi di ghiaccio. La versione completa è disponibile su alcune piattaforme online in formato e-book o in cartaceo. Si tratta di un thriller ambientato in Italia, tra le pendici delle Alpi Apuane, che tocca altri generi come l'horror e il fantasy. Ci sono alcuni temi abbastanza forti, per cui consiglio la lettura a un pubblico di età adulta (over 18).

Cliccando sulla corrispondente parola in colore azzurro, puoi trovare:

il PROLOGO | il CAPITOLO 1 | il CAPITOLO 2 e il CAPITOLO 3
il CAPITOLO 4 e il CAPITOLO 5 | il CAPITOLO 6 e il CAPITOLO 7
il CAPITOLO 8 | il CAPITOLO 9 | il CAPITOLO 10 e il CAPITOLO 11
il CAPITOLO 12 | il CAPITOLO 13

oppure puoi proseguire nella lettura del post per trovare il CAPITOLO 14.

Buona lettura!


Copyright © 2013 Davide Simoncini
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LA BESTIA DAGLI OCCHI DI GHIACCIO

Romanzo

Proprietà letteraria riservata. È vietata la modifica, l'utilizzo e la riproduzione, in qualsiasi formato, su qualsivoglia mezzo digitale, cartaceo o di qualunque altra natura, senza il permesso esplicito dell'autore, a eccezione della personale consultazione.

Edizione Modificata e pubblicata nuovamente nel mese di Maggio 2023.

Questo romanzo è un'opera di finzione.

Il contenuto di questo romanzo è quasi interamente fittizio. Ogni riferimento (persone, luoghi, oggetti, avvenimenti, usanze, eccetera) è fittizio o casuale. Per ulteriori informazioni sarà possibile consultare la nota d'autore che verrà pubblicata dopo l'epilogo del romanzo.


CAPITOLO 14

Oggi, Fociomboli

Quando Jack si svegliò, evitò di perdere tempo in chiacchiere. Si mise in piedi, pronto per una nuova giornata. Era certo che qualcosa sarebbe successo. La sera precedente non era terminata molto bene. Le parole di Daniele, poi le sue, l'indignazione di Ottavio mentre veniva accusato. Linda e Simone avevano cercato di rimanere neutrali. Poi la donna aveva preso le difese dell'amico, prima di raggiungere una conclusione davanti a un nuovo vicolo cieco. Lui si era convinto che quell'uomo non fosse colpevole. Almeno non di fronte ai loro occhi. Ma secondo un piano che aveva ideato nella sua testa, una versione dei fatti ufficiale lo avrebbe messo in luce come unico responsabile dell'accaduto.
Quello era il futuro. Il presente parlava invece di una versione reale, una versione che ancora non aveva alcun responsabile. E se non lo era Ottavio o la sua amica, chi poteva esserlo? Qualunque cosa fosse accaduta, Jack dubitava che l'omo selvatico avesse qualcosa a che fare con quell'incubo.
Si avvicinò a una delle minuscole finestre, cercando di allentare il nodo di vecchio fil di ferro che la teneva serrata. Mentre lo sfilava, il lungo serpente metallico emise un suono acuto, stridente: sembrava lo squittio amplificato di un topo. Una volta rimosso, lo lanciò a terra, scansandolo a lato con un calcio. Poi guardò fuori. Il cielo era sereno e il sole stava albeggiando dietro ai contorni montuosi tratteggiati dall'erba dei pascoli. Un nuovo giorno era alle porte. Sperò solo che fosse più produttivo dei precedenti.
Sentì un rumore alle spalle, un gemito. Mentre si voltava, vide le braccia di Ottavio che si alzavano al cielo. Cercava di rimettere in moto la circolazione dopo la dormita, si immaginò. Il pavimento era un brutto nemico da affrontare, specie in quella catapecchia.
«Buongiorno», gli disse. «A quanto sembra non hai dormito un granché bene.»
Anche la coperta di Daniele si mosse. Il suo amico spalancò gli occhi, cercando di allontanare i residui del breve sonno. Nel frattempo, Ottavio si alzò.
«Le vostre parole di ieri sera non mi hanno aiutato.»
«Niente risentimenti», puntualizzò Jack. «Non mi scuserò per aver dubitato di te. Non me ne sento in dovere. Se dobbiamo sopravvivere, è meglio cooperare.»
«Non ti sei ancora convinto della mia innocenza?»
«Per il momento è difficile dare un responso ufficiale. Sarà il tempo a decidere», mentì. «Non mi sembri il tipo, ma sappi che ti terrò d'occhio.»
«Non sono un assassino.»
«Forse sì, forse no. Meglio usare la giusta cautela. Non voglio vedere altre morti in questo gruppo.»
Ottavio scavalcò Simone. Si diresse verso la sua borsa, rovistandovi all'interno. Daniele si alzò, guardandolo intensamente. Nella sua testa doveva esserci quella voce che lo aveva portato alla rovina. Quella che diceva di mettere a tacere il sospettato prima che fosse troppo tardi.
Jack era stato chiaro: niente violenza fino a che i dubbi non fossero stati chiariti. La situazione era critica. Se avessero chiamato i soccorsi, avrebbero dovuto passare grattacapi a non finire. Le autorità li avrebbero ascoltati tutti, avrebbero voluto capire le dinamiche di quegli incidenti. Ci sarebbe stata un'inchiesta con loro seduti in tribuna d'onore. Nell'ipotesi di quello scenario, meglio evitare di aggiungere altre domande a cui dover dare spiegazione.
Ottavio riportò lo sguardo su di lui. Jack lo fissò, in attesa di conoscere i suoi pensieri.
«Che cosa vogliamo fare, adesso? Usciamo o restiamo tra queste quattro mura?»
«Se è come dici tu, allora è meglio uscire. Queste quattro mura sgualcite hanno retto a malapena la tempesta, figuriamoci una bestia come quella che hai descritto. Anche se non penso verrà qui. Se ne avesse avuto l'intenzione, lo avrebbe già fatto.»
«Se solo esistesse», commentò Daniele. La vena d'ironia lo fece sorridere appena.
Ottavio distolse lo sguardo prima di rispondere. Jack pensò che volesse evitare nuovi battibecchi. «Per adesso lasciamo perdere questa storia.»
«Bene», replicò Daniele a denti stretti. Considerando come aveva risposto, doveva aver capito che quella richiesta era rivolta a lui più che a tutti gli altri.
Jack fissò fuori dai vetri sporchi. «Che sia un animale o una persona, il nostro aggressore non si è mai mostrato alla luce del giorno. La prima volta ha attaccato al mattino presto, quando era ancora notte. La seconda, una volta calata la sera.»
Ottavio lo anticipò. «Pensi che sia un animale notturno?»
L'istinto gli disse di fare una precisazione, ma la sua volontà gli consentì di sorvolare. «Penso che potrebbe esserlo. Se questa bestia è reale, ci sono buone probabilità che durante il giorno non esca dalla sua tana.»
«In questo caso noi saremmo liberi di muoverci», dedusse Daniele. «E con il sole saremmo al sicuro da lui.»
«Già.»
«Che cosa suggeriresti di fare?», chiese Ottavio.
Jack ci aveva pensato un istante dopo essersi svegliato. Non aveva dubbi. «Voglio andarmene il più lontano possibile da qui.» Le sue parole lasciarono gli altri interdetti. Lui se ne accorse. «Non avrete pensato di rimanerci in eterno, vero?»
«Certo che no», rispose Ottavio. «Però pensavo che volessi andartene con la tua auto.»
«E lo voglio tutt'ora. Il problema è che non è possibile. Dobbiamo accontentarci di ciò che abbiamo.» Indicò la finestra. «Considerato quello che c'è là fuori, anch'io sono d'accordo con Daniele. Dico di mettere più distanza possibile tra noi e questo posto.»
Ottavio annuì, ancora un po' scettico. Daniele lo guardò. Dietro quell'espressione incerta c'era un sorriso di approvazione. Fosse stato per lui, Jack avrebbe dovuto lasciare quel luogo già da parecchio.
«Allora è deciso. Svegliamo gli altri.»

* * *

Il sole aveva scavalcato le prime rampe di basse nuvole quando il gruppetto uscì dalla catapecchia. La vegetazione accolse i sodali con curiosa indifferenza. Il cinguettio degli uccelli dava adito a splendide visioni, una litania dolce che trasportava in un'altra dimensione. Era stupenda, ma solo per chi sapeva ascoltare. E gli esseri umani, quello strano gruppo animale con una testa che sembrava un fungo, erano forse gli unici che tardavano a comprenderlo. Lo davano per scontato, senza cogliere la bellezza di ciò che racchiudeva quel concerto di versi, ripetuto ogni mattina in celebrazione del giorno.
Un giovane scoiattolo osservava incuriosito dal ramo di un albero. Nascosto tra gli anfrattuosi germogli di primavera, aspettava di capire che cosa ci facesse quella gente lassù. Il suo viso non tradiva espressioni. Era serio, coerente con la sua spiccata apatia. Per lui la vita era lotta, la lotta un mezzo per ottenere la vita. Gli umani lo avrebbero definito para-doxa. Lui no, lui era molto lontano da ciò. Era uno scoiattolo, non capiva il verso degli umani, né come si sviluppasse la loro mente. Mangiavano usando bastoncelli duri come la roccia, dormivano in alto, rialzati di mezzo metro dal terreno, su di uno strano ammasso di qualcosa che non conosceva anziché su un pagliericcio giallognolo di erba secca. Si domandava se fosse comodo.
O forse no, lui non se lo domandava affatto.
Lui era uno scoiattolo, non si faceva domande. Quella era una prerogativa umana. Farsi domande per rispondere ad altre domande. Dubitava che qualcuno avesse mai svelato a quei tipi che solo una risposta avrebbe permesso loro di uscire da un punto morto.
Ma un'altra caratteristica degli umani entrava qui in gioco.
Erano ostinati. Dannatamente ostinati.
Se le loro case venivano rase al suolo dalla terra che tremava, e se ciò si ripeteva più e più volte, loro non demordevano. Lottavano, proprio come lui. Lottavano per la vita della propria famiglia, certi che da compagni e figli dipendesse il proprio futuro.
Era quello, esattamente quello, il punto che riportava l'uomo a essere riconosciuto come animale.
Lo scoiattolo vide la porta richiudersi dietro all'ultimo del gruppo. Mentre cercava di rosicchiare la sua ghianda, i cinque uomini cominciarono ad avanzare. Passo dopo passo, si allontanarono da quella tana che risiedeva lì da tempi ormai remoti, resistente alle intemperie contro le quali si era scontrata anno per anno. Rallentarono solo più avanti, giunti a un bivio.
A quel punto, lo scoiattolo perse la pazienza. La ghianda non voleva saperne di aprirsi, così decise di cercarne una nuova. La mollò giù dall'albero, facendola atterrare sulle foglie fulgide della brina mattutina. Poi lasciò il suo posto, deciso a cominciare una nuova caccia.
Mentre la sua coda spariva dentro un umido foro nell'albero, altri occhi entrarono sulla scena.
Gli animali più grandi stavano riposando, distrutti da una notte di caccia. Loro si tenevano alla larga dagli uomini. Sapevano di non essere molto furbi, nonostante il loro possente fisico. Lupi e cinghiali la pensavano così, un po' come i cerbiatti. Avevano timore. Per questo ascoltavano i suoni intorno a loro. Cercavano di capire il punto a cui non avvicinarsi. Le loro paia di lunghe corna o gli artigli acuminati non erano un vantaggio abbastanza rassicurante. Volevano solo vivere la loro vita in santa pace, tutto qua.
Ciascuno di quegli animali era nella propria tana, occupato da un sonno ristoratore che si sarebbe protratto per diverse ore. Ciascuno dei più grandi, almeno.
Tutti, tranne uno.
La bestia era rimasta vigile.
Il tempo di riposare era terminato. Un odore inconfondibile aveva aguzzato il suo olfatto. Era accaduto giorni prima. Era rimasta nell'ombra fino a quel momento, gironzolando per la foresta come un fantasma. Gli altri animali non la conoscevano. Chi era stato così sfortunato da incrociarla era andato incontro a una pessima sorte. La bestia non socializzava mai con nessuno. Non gli interessava fare la conoscenza dei suoi simili. Anche se ne avesse avuto l'intenzione, sarebbe stato comunque impossibile.
La bestia era l'unico esemplare della sua specie. L'ultimo di una discendenza che aveva pernottato nei boschi della Garfagnana per secoli interi. Aveva trovato in quei luoghi una casa, un posto in cui mettere radici. Un luogo dove tirar su famiglia.
Fino a oggi, fino al giorno in cui tutto si sarebbe compiuto.
Mentre il gruppetto di uomini ricominciava a camminare, la bestia digrignò i denti. Le sue labbra deformate tradivano un'espressione di odio viscerale. Una sensazione che proveniva dal profondo. Incontrastabile, incontrollabile. Il carburante che per anni aveva continuato ad alimentare il suo corpo, che gli aveva permesso di lottare per la sopravvivenza.
Il motivo per cui adesso era lì.
Da quando aveva sentito quell'odore, tutto era cambiato. Riusciva a percepirne ancora il tanfo.
Ma a lei piaceva quel tanfo. Le permetteva di aggrapparsi a quell'unico ricordo che non avrebbe mai voluto dimenticare.
E quell'odore, quello del sangue caldo che scorreva nel gruppo di persone uscite dalla casa, avrebbe presto marchiato la terra su cui passeggiavano.

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Bitter truth is that we human are more ferocious than the other animals and other animals can't think and express like we human but they use their physical strength to protect themselves from we human. Anyway, it was a good read though I read some specific area of it. Thanks for sharing!

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