Room - Il mito della caverna contemporaneo

in #ita6 years ago

Nel 2015 nella quasi indifferenza generale uscì nelle sale un film che si sarebbe imposto poi come uno dei migliori di tutta l'annata cinematografica. 

Stiamo parlando di Room di Lenny Abrahamson, regista irlandese fino a quel momento sconosciuto ai più.

A suggellare il successo della pellicola arrivarono ben 4 candidature all'oscar 2016 tra cui il miglior film, la miglior sceneggiatura non originale, miglior regia e soprattutto la vittoria di Brie Larson nella categoria dedicata alla migliore performance per un'attrice protagonista.

Bastano pochi minuti per capire che quelle nomination e quella vittoria non sono state frutto del caso.

Il film è tratto da un romanzo del 2010 intitolato Stanza, letto, armadio, specchio ispirato a sua volta ad una storia vera avvenuta in Austria qualche anno fa nella cittadina di Amstetten.

Il caso di cronaca nera vedeva come vittima una donna rinchiusa e seviziata per 24 anni in uno scantinato da suo padre, il quale abusava ripetutamente di lei fino. Gli stupri continuativi diedero alla luce ben 7 figli, anch'essi vittime, anch'essi rinchiusi in quel bunker fin dalla nascita.

Il film si ispira a questa storia ma, ad onor del vero, la rievoca in maniera molto poco fedele mantenendone i tratti distintivi per partire da li in una disamina di ampio respiro sul rapporto madre-figlio in un caso cosi brutale di stupro e prigionia e soprattutto provando a vivisezionare la psicologia di personaggi vissuti in una condizione di cattività che ha fatto perdere loro ogni riferimento.

I protagonisti della vicenda sono essenzialmente loro, la madre Joy e il figlio di 5 anni Jack interpretato da un incredibile Jacob Tremblay.

Il regista è abile nel mostrarci le diverse sfumature nella psiche di 2 persone che sebbene sottoposte alla stessa barbarie trovano nella loro condizione risposte diverse, ansie e paure diverse e addirittura certezze differenti.

Se Joy è stata catapultata in una gabbia contro la sua volontà e nel bel mezzo della propria spensierata giovinezza, in seguito ad un rapimento crudele e disumano, per Jack la storia è diversa.

Il bambino è nato nella gabbia e il suo mondo è ed è rimasto per 5 anni solo quello interno alla sua stanza e quello che ha saputo crearsi nella sua testa grazie alla fantasia ispirata ai racconti della madre di un mondo che era li fuori ma che per lui era come se fosse alieno, un altro universo, un pianeta frutto appunto di fantasia.

Immagine priva di diritti di copyright

Per Jack la realtà era quella stanza di 15 metri quadri.

Non poteva rimpiangere la vita che le raccontava la madre per il semplice fatto che non aveva nulla da rimpiangere, nulla da desiderare, nulla a cui ambire.

Per Joy il discorso è sempre stato diverso.

Lei aveva una vita prima della gabbia. Aveva amici con cui scherzare, genitori con cui discutere, studi da portare avanti, sogni da realizzare, alberi da ammirare, cani da accarezzare.

All'improvviso quell'esistenza è piombata in un buco grande lo spazio di un letto, un piccolo armadio, un water e un fornello. In quel buco ha dovuto reinventarsi, ha dovuto costruirsi una nuova esistenza condita da stupri quotidiani e minacce corporali continue.

L'avvento di un figlio non voluto ha cambiato la vita di Joy e la percezione che essa aveva del suo triste e buio mondo. Le giornate procedono in loop, sempre uguali a se stesse ma adesso c'è un piccolo uomo da difendere e proteggere dall'uomo nero, quello che ogni sera alla stessa ora entra nella stanza, abbassa i pantaloni e da sfogo alla sua perversione brutale.

Joy tramanda al figlio storie di una vita che fu, storie su ciò che è reale e cio che non lo è, su ciò che esiste e cio che non esiste.

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Il figlio accetta le storie, le elabora, le interpreta ma restano soltanto storie come quelle che per noi potrebbero essere storie sugli alieni o su universi paralleli.

Joy e soprattutto Jack sembrano protagonisti di una moderna lettura del mito della caverna di Platone. 

L'essere umano tra quello che conosce e l'ignoto sceglierà sempre la prima opzione come direbbe il personaggio di Anthony Hopkins nella stupenda serie Westworld.

Jack che il mondo non lo ha mai visto come potrebbe reagire se uscisse da quel capanno dove ha vissuto tutta la vita? Il piccolo non ha mai visto la luce del sole, un albero, un cane, un essere umano che non fosse sua madre, non ha mai potuto sentire il profumo di un mattino e la pioggia battere sulla sua pelle, non ha mai assaporato il vento accarezzargli i capelli o il suon di un uccellino.

Per Jack la stanza è la sua caverna.

La seconda parte del film ci porta dentro queste tematiche e prova a proiettarci nella mente e nell'anima di chi potrebbe vivere questa situazione.

Siamo sicuri che al caldo di un camino, circondati da persone care, potendo scorrazzare su e giù per un giardino liberi e senza costrizioni ci sentiremmo davvero più liberi?

Chi ha vissuto tutta la vita in gabbia percepisce come reale e normale la gabbia e non il mondo. Il mondo a lui sembrerà quello che per noi potrebbe sembrare una gabbia o un pianeta inesplorato.

Il film pur essendo costretto ad essere drammatico e "pesante" riesce ad essere scorrevole, ad emozionare e disturbare lo spettatore tenendolo incollato davanti al teleschermo per un paio di ore di grande cinema, quello senza fronzoli ed effetti speciali che mette al centro l'umanità e gli unici protagonisti della storia del mondo: gli esseri umani, in tutta la loro crudeltà e disarmante complessità.


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L'ho visto pure io questo film. Mi è piaciuto molto.
Quando vengono trattate queste tematiche così sensibili io nei film mi ci fiondo a capofitto.
Come dicevo, mi è piaciuto e mi è piaciuta molto l'interpretazione dei personaggi ma sinceramente ho avuto attimi in cui ho sentito il clima molto "pesante".
L'hai descritto molto bene, bravo caro!

Ci hai preso secondo me, il film a tratti era pesante ma è secondo me perdonabile in questi casi perchè la pesantezza è voluta ed è sintomo di una voglia di caricare i personaggi di drammaticità anche attraverso il racconto di silenzi e spazi vuoti.
Grazie dell'ottimo commento!

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