LE STORIE DI GERARDO: Uno scippo d’altri tempi

in #ita6 years ago

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Le storie di Gerardo, i suoi ricordi, sono la nostra storia. La nostra memoria.

Sto raccogliendo i suoi racconti, le sue poesie, il vocabolario dei termini dialettali, i disegni, le foto,… per farne una pubblicazione.

Siamo al sesto racconto. Questa e forse ancora una o due anticipazioni per gli amici della nostra comunità italiana. Poi lo salutiamo.

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Se ben ricordo era l’estate del 1950.

A quei tempi il paese era pieno di gente e di attività. La piazza principale, che allora era in terra battuta, vedeva un continuo viavai di gente e di animali che andava o tornava dai campi o dalle montagne.

Gli uomini seduti all’osteria di Scrocchino, davano un’occhiata fugace, lanciando, talvolta, qualche battuta spiritosa. Se passavano animali magri e male in arnese, la battuta poteva essere “A ddo va’ co ‘ssi cancegli?!!!” …Dove vai con codesti cancelli?!!

Ma questo tipo di battuta non era mai riferita ai muli di Chiappini che erano tra i migliori del paese…

Verso sera, i mulattieri trasferivano il loro bestiame verso la parte ovest del monte Arunzo oppure in qualche prato privato o nella zona di Papacqua, che a quel tempo, non essendo rimboschita come al giorno d’oggi, offriva abbondante pascolo ed acqua.

Ogni tanto, prima di avviarle al pascolo notturno, si dava loro del sale, di cui gli animali sono molto ghiotti e che serve loro come integratore. Veniva spalmato sui muretti circostanti e loro lo leccavano…

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Quel giorno, con mio fratello Memmo ed un paio di altri ragazzi, andavamo a portare i nostri muli proprio a Papacqua. In groppa alla cavalla, io guidavo il branco, che seguiva spinto dagli altri. I muli sono un po’ mammoni. Rimangono sempre legati affettivamente ad una cavalla e la seguono sempre, dovunque vada.

Naturalmente si cavalcava a pelo, perché la sella non la conoscevamo neppure.
Da noi la sella normalmente la usavano i vergari che, quotidianamente, andavano e venivano, a dorso di mulo, dalla montagna, dove si trovavano gli stazzi con i pastori ed il gregge. Durante i mesi estivi, infatti, i pastori lasciavano la campagna romana e si trasferivano sulle nostre montagne. A quel tempo il bestiame non lo si conduceva tenendolo legato, come è d’obbligo fare ora, ma si muoveva sciolto, seguito e controllato da una o più persone.

Dopo aver abbeverato al bel fontanile di pietra, che era a lato del piazzale e che fu sconsideratamente demolito insieme al lavatoio per ricavarne un fazzoletto di giardino, ci avviammo, con scalpitio di zoccoli e suoni di campane, lasciando una scia di polvere e di odore.

Cavalcando in testa al gruppo, approfittavo per lanciarmi in qualche breve galoppata. Stando dietro al branco non era possibile, perché c’era il rischio che qualche mulo, colto di sorpresa, reagisse sculettando coppie di calci. Calci che, il più delle volte, se li prendeva la povera cavalcatura, ma potevano raggiungere anche le gambe di ci stava sopra…

Lungo i tragitto, sul terreno risuonava il cupo calpestio degli zoccoli che sollevavano la polvere, sprigionando l’odore della terra. Il sole si accingeva a tramontare dietro monte Padiglione. La strada pianeggiante ed ombreggiata lungo il castagneto di Follarano, era un invito a spronare la cavalla per una galoppata più lunga.

Un paio di colpi di tacco sui fianchi e qualche colpo di cavezza sulla groppa e la cavalla schizzò via, seguita dal branco. Eravamo un po’ tutti eccitati. Ci sentivamo come in una carica di cavalleria. Lo scalpitare sul terreno e lo scampanellio echeggiavano nel bosco.

Alcuni paesani che tornavano dai campi, si scostarono in fretta, con un po’ di timore, addossandosi contro la siepe.

Giunti a Papacqua, le bestie si abbeverarono nuovamente presso la sorgente del fiumiciattolo che sgorga ai piedi della montagna e che, attraversando la spianata, va a gettarsi nell’inghiottitoio dell’Ovido. Qui lasciammo liberi i muli e ci apprestammo a tornare in paese.

Memmo, che aveva sempre un carattere allegro e gioviale, ci rallegrava con qualche suo scherzo, quando, in lontananza, ci apparve la figura di un uomo che camminava davanti a noi, procedendo lentamente, con un pesante fascio di frasche sulle spalle. Questo tipo di scene era molto frequente a quel tempo. Chi non aveva disponibilità economiche per rifornirsi di sufficiente legna, andava a procurarsela nei boschi, trasportandosela a spalla.

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Quell’uomo là in fondo era Giovanni, il marito di Nostasìa, una persona povera e mite, priva di un braccio che aveva perduto sotto le rotaie di un tram a Roma. Quasi ogni volta che tornava dal campo, si faceva il suo fascio, la sua provvista per il fuoco, e se lo trasporta sulle spalle fino a casa.

Memmo allungò il passo, quasi volesse correre; gli arrivò dietro e “Ciao Giuvà” …e gli scippò il fascio dalle spalle.
Giovanni, colto di sorpresa: “Aoh! Che te possano benedice! Ma che fai?!..” E che altro poteva dire?!

Memmo, come un cireneo, si caricò allegramente il fascio sulla schiena e si allontanò verso il paese, salutando col braccio noi e Giovanni.

Aveva fretta lui. A Petrella, d’estate, a quell’ora, si ballava. C’era la pista da ballo dove faceva capo la gioventù dei paesi intorno.

Noi ce ne tornammo, con calma, insieme a Giovanni e arrivati in paese, al bivio della Croce, trovammo il fascio di frasche che lo aspettava.
Sua moglie, Anastasia, (per i paesani Nostasìa), non dimenticò mai quel gesto di cortesia. E quando incontrava me, che ormai ero cresciuto e avevo una certa somiglianza con mio fratello, mi chiedeva, con un’espressione dolce, sorridente e di meraviglia: “Ma tu sei quello che ha riportato il fascio a Giovanni?”

“No, non sono stato io, è stato Memmo!”
Ma mi sarebbe piaciuto tanto poter rispondere di si.

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I racconti precedenti:
I miei primi sci
Polenta e panuntella. Due pietanze, due ceti
Il nostro Natale
Primo amore, prima bugia…
Due cari compagni di giochi

Il racconto e le immagini di Gerardo sono pubblicati con il consenso della moglie. Le altre immagini sono tratte dal web e sono libere da Copyright.

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grazie per la condivisione.Seguo spesso i tuoi post... e ti faccio i miei complimenti.

Molto ben scritto complimenti

Grazie. Grazie di aver letto e dei complimenti.

Bello il respiro del racconto e il suo stile evocativo ed autentico. Vedrei bene una raccolta, un libro, ma sicuramente ci avrai già pensato.

SI, infatti, ci stiamo lavorando. Questa è solo un'anteprima...
Grazie!

Mai come oggi c'é bisogno di preservare e ricordare le nostre radici. Vi faccio il mio più grande in bocca al lupo e, se possibile, fatemi sapere quando é pronto!

Sempre post di grande livello e ben scritti, complimenti.

Grazie. I tuoi complimenti mi fanno sempre molto piacere.

ma... gli stazzi credevo stessero solo in Gallura. E le "pecore-cancello" si dice ancora oggi qua :DD Non amo troppo questo genere di racconti ma questo mi ha colpito perchè potrebbe essere stato scritto benissimo da qualche mio compaesano. Interessante questa cosa :)

Chissà perché anche io pensavo che si chiamassero stai solo in Sardegna...
Davvero si dice "pecore cancello" anche lì...??! Pazzesco!

beh in realtà "unu ganzellu" (un cancello) si usa più per i cavalli, non tanto per le pecore... facendo riferimento alle condizioni deperite dell'animale, ovviamente per sfottere il padrone :P

Hai veramente una bella mano! Pensi di pubblicarlo alla fine?

E si, è quello che voleva. Ne parlammo...
C'è un sacco di materiale...
Lui scriveva in modo ...un po' antico... e con parole antiche: "giuochi"...
Io mi diverto (davvero, mi diverto!) a dargli un ritmo più simile al mio. A quello delle mie storie. Frasi corte. Tanti punti. Lui usava tanti punti e virgola... Frasi lunghe...
E mentre taglio e cucio, la mente vaga per i meandri di quelle storie...
SI, è una cosa che faccio volentieri e spero proprio che vada a buon fine.

@marcodobrovich amazing hidden treasure found by you. Thanks for sharing. Its inspiring.

How many photos was captured at that old time is also matter of consideration.

ALways loved Gerardo

I didn´t understood all of it but thank you for sharing this with us!

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