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in #ita4 years ago (edited)

Questo racconto è stato scritto per partecipare a Theneverendingcontest n° 68 S3-P4-I2 di @storychain sulla base delle indicazioni del vincitore precedente @road2horizon

Tema: Vincita alla lotteria
Ambientazione: Paese di campagna

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Sette euro

Non avevo mai vinto niente in vita mia.
Niente.
Nemmeno un ambo alla tombola a Natale.
Nada.
Neanche un re magio al sorteggio della novena.
Si può anzi affermare che non ero certo una persona fortunata.
Cosa mi spinse quel giorno a comprare un biglietto della lotteria, non saprei dirlo nemmeno io.
Ripensandoci, forse volevo sfidare la sorte stessa, che da tanti mesi si prendeva ormai gioco di me, togliendomi una per una tutte le cose per cui avevo lavorato e lottato nella vita.
Quando mia moglie mi aveva lasciato per il mio migliore amico ancora fresco di divorzio, non riuscivo a crederci. Sparì dalla mia vita nel giro di sei mesi, risucchiando come un insaziabile buco nero soldi, sentimenti e dignità. Per lei avevo lasciato tanti anni prima il mio piccolo paese di campagna, la mia famiglia, i miei amici, il mio lavoro, trasferendomi in una lontana città, dove lei desiderava crescere nostra figlia “Per darle più possibilità”, disse. Ora capisco che la storia col nostro caro “migliore amico” affondava le sue radici molti anni addietro.

La nostra unica figlia, d’altro canto, viveva da un paio d’anni dall’altra parte del mondo, dove era stata assunta da una multinazionale.
Con la testa fracassata dai mille pensieri e gli occhi gonfi di pianto mi recavo tutti i giorni nel mio piccolo negozio di cianfrusaglie, ma ero così distratto da non riuscire nemmeno a fare i conti: la gente si portava via la merce per metà del suo valore, a volte meno, quando non la rubava sotto il mio naso senza che neanche ci facessi caso. I clienti onesti, poi, non li servivo a dovere, così che non tornavano più. In pochi mesi chiusi il negozio, assediato dai debiti e dal fisco che ipotecò la mia casa. Vivevo già in macchina quando la vendettero al miglior offerente, come fosse una vacca alla fiera e quasi allo stesso prezzo.

Proprio la vigilia di Natale, quando tutti i conti furono pareggiati, lo Stato mi restituì quel che rimaneva: 7 euro.

Mi sembrò una tale beffa del destino che le lacrime smisero di uscire dai miei occhi, forse perché erano anche terminate, e la rabbia iniziò a montare e montare dentro di me, sciogliendo il nodo che avevo perennemente alla gola e facendo affluire il sangue al cervello fino ad annebbiarmi la vista.
Non sono mai stato un gran credente, ma quella volta rivolsi al Cielo il pugno chiuso, coi sette euro in mano, senza proferir parola alcuna mentre i pensieri vorticavano e la pressione saliva al punto che specchiandomi in una vetrina vidi il mio volto paonazzo. Fu allora che mi venne in mente di acquistare il biglietto. Ero davanti a un tabacchino e mi dissi “Perché no?! Al diavolo tutto!”. Cinque euro per un biglietto della lotteria, in palio cinque milioni. Coi due euro che rimanevano comprai un panino e mi misi in macchina, diretto al paese della mia infanzia.
Guidavo e guidavo, in quella vigilia di Natale, urlando a squarciagola la mia disperazione nelle strade semideserte di campagna, diretto a casa di mio fratello Stefano. Non sapevo nemmeno se lo avrei trovato, non avevo più un cellulare per avvertirlo. Non ci sentivamo da tempo: è strano come i rapporti a volte si raffreddino senza un motivo. In effetti erano quasi cinque anni che non tornavo a casa, avrebbe anche potuto non aprire la porta.

Quando Stefano mi vide, invece, dopo sei ore di viaggio, mi gettò le braccia al collo. Certo, sua moglie non fu altrettanto lieta di vedermi, e i loro figli praticamente non mi conoscevano, ma con mio fratello era come se il tempo non fosse mai trascorso, e in un minuto ritornò la sintonia di sempre.

Era ancora presto per la cena e probabilmente non avevo un bell’aspetto, così mi fece fare un bagno e mi diede dei vestiti puliti. Quando li raggiunsi in cucina, almeno in parte rinfrancato dal calore del suo affetto e della sua acqua calda, dovevo sembrare molto diverso dal barbone che aveva bussato alla loro porta, perché persino Sonia, sua moglie, smise di avere lo sguardo accigliato e dopo un po’ iniziò addirittura a parlarmi e scherzare con me.

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Fu la vigilia di Natale fra le più belle della mia vita. Cibo, calore, amore. E poi giochi coi miei nipoti, finché verso la mezzanotte tutti si infilarono il cappotto. “Cosa fate?” chiesi incuriosito. “E’ quasi mezzanotte, Pietro. Andiamo a messa, te ne sei dimenticato?”. Ricordai in un istante un pezzo lontano della mia infanzia: quando ero bambino, la notte di Natale si andava sempre a messa, ci si ritrovava tutto il paese nella chiesetta della piazza principale, le cui campane scandivano le ore e chiamavano a raccolta tutti i fedeli. Ricordo che dopo la funzione noi ragazzi giocavamo un po’ davanti al sagrato, mentre gli adulti, senza alcuna fretta nonostante l’ora, si scambiavano gli auguri prima di tornare a casa nel freddo della notte. Un po’ brillo per il vino della cena, o forse solo ebro di allegria per quella serata così bella come non succedeva da anni, li seguii in strada, dove i miei nipoti saltellavano festosi fra le strade illuminate e gli alberi addobbati, dirigendosi verso il centro del paese. Molta gente si univa al nostro percorso, e chi mi riconosceva mi faceva una gran festa, felice di rivedermi e chiedendomi come stavo. La domanda mi rattristava un istante, ma poi la gioia di rivedere tante facce amiche era tale da scacciare i cattivi pensieri. “Quanto è diverso”, pensavo, “un piccolo paese da una grande città! Avevo dimenticato il calore della gente di qui, la loro genuina generosità e la sincera umanità con cui vieni accolto. Ho sbagliato ad andar via.”
Durante la funzione, l’euforia che mi pervadeva divenne tale che durante le preghiere dei fedeli, tradizionalmente lette da bambini che ne formulavano di loro pugno durante la novena, mi imbucai fra loro per dire una preghiera anche io. Salii sul pulpito nel mormorio generale, senza che tuttavia ci fosse alcuna malignità dietro lo stupore, e dissi: “Ti ringrazio, Signore, per questa comunità che mi ha cresciuto, per la famiglia che mi ha accolto e per la gioia di questa serata. Non ho niente per ripagare quanto ho ricevuto, mi resta solo un biglietto della lotteria, ma se dovessi vincere offrirò a tutto il paese una festa che dia la stessa gioia che hanno appena donato al mio cuore ferito. Amen!”.

Nei giorni successivi raccontai a mio fratello le vicissitudini degli ultimi mesi. Si mise a piangere come un bambino, sinceramente addolorato, rimproverandomi di non avergli detto nulla fino ad allora e rimproverandosi di avermi trascurato. Mi mise a disposizione la sua casa e mi disse che mi avrebbe aiutato a trovare un lavoro. Lui era maestro alle elementari, ma la maggior parte della gente, lì, possedeva dei terreni e di certo si sarebbe trovato qualcuno che aveva bisogno di una mano. Nonostante fosse Natale, in molti si premurarono a darmi da lavorare a giornata, permettendomi di comprare almeno un panettone per i miei ospiti e calze e mutande nuove per non doverle chiedere a Stefano. Il lavoro in campagna era duro, ma mi distraeva dai problemi e dai pensieri, anestetizzando le preoccupazioni e ridandomi speranza giorno dopo giorno. Ne venni assorbito al punto che quando mio fratello tornò a scuola, il 7 gennaio, avevo perso la cognizione del tempo e dimenticato del tutto il biglietto della lotteria. Rientrò in casa dopo le lezioni in fibrillazione. “Pietro, Pietro!” urlava concitato, “Pietro, vieni qui!”. Sventolava un quotidiano in aria, felice per chissà quale motivo. “Dove hai messo il biglietto della lotteria? E’ stato estratto un numero venduto nella tua città, proprio nel quartiere in cui vivevi e ancora non si è trovato il vincitore! Presto, controlla il tuo!”.
Col cuore in gola, andai in macchina a rovistare nel cruscotto, dove dalla vigilia di Natale il biglietto giaceva dimenticato. Poggiai il pezzo di carta comprato coi miei ultimi cinque euro sul giornale, ma avevo la vista annebbiata e le orecchie che ronzavano, per cui furono i miei nipoti a confrontare i numeri. Fu la piccola Sabina, coi suoi grandi occhioni azzurri, che prendendo la parola mi guardò e mi disse: “Ahi ahi, zietto! Mi sa che dovrai organizzare una festa bellissima adesso!”.

Sort:  

Quanto mi piace leggere i tuoi racconti...c'è sempre un emozione tra le parole che scrivi...brava davvero @piumadoro
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Ti ringrazio per il commento e sono felice che il mio racconto ti sia piaciuto. Ti invito a partecipare attivamente a questo contest scrivendo anche tu qualche bella storia: è facile, lascia andare la fantasia! Non vedo l'ora di leggerti!

Grazie dell'invito @piumadoro, mi piacerebbe molto ad essere sincero, ma lotto sempre contro il tempo...di fantasia ne ho da vendere ma non sarei mai al tuo livello.
Però dai, appena ho un pò di tempo libero provo a partecipare :)
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Sono certa che ne usciranno delle belle perle, come sempre quando qualcuno scrive. Dai, il tema di questa settimana è divertente! Lottiamo tutti contro il tempo, ahimè è la nota più dolente che ci sia. Forza!

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