La mente colorata

in #ita7 years ago (edited)

A chi tocca oggi? Dopo Ettore e Andromaca, dopo Achille, è il turno del foscoliano eroe "bello di fama e di sventura", l'errante, il Sindbad mediterraneo, il capostipite di tutti i marinai donne e guai: Ulisse, alias Odisseo.

Il titolo di questo post riprende quello di un libro di Pietro Citati di qualche anno fa ed è anche la traduzione, una delle possibili, dei vari epiteti formulari usati da Omero per il nostro: πολύτροπος, πολυμήχανος, πολυμήτις, il "multiforme" della versione di Pindemonte che i più anziani di noi hanno imparato a memoria alle scuole medie. In effetti la parola è di quelle che uno preferisce lasciare nella lingua originale, perché qualunque traduzione non esaurisce l'ampiezza dei possibili significati. Una volta spiegato ai miei studenti che tradurre è tradire, a loro infatti non sembra vero di poter azzardare ogni volta di abbandonare i tentativi su certe parole chiave della civiltà greca o latina: "Prof, non è che ὕβρις, πόλις, consilium, fas, mos e cose del genere le possiamo lasciare così come sono...?" E come no, tanto mica stiamo qui a mettere i voti sulle traduzioni. Vabbe', so' regazzini.


Quello che si dice di lui evoca qualcosa di sfaccettato, di cangiante, come un prisma che rifrange la luce producendo effetti caleidoscopici. La mente di Odisseo è capace di questo.


immagine di pubblico dominio

Le avventure che lo riguardano credo le conosciamo un po' tutti, almeno le più famose: le sirene, Scilla e Cariddi, Circe, Polifemo... I più vintage, oltre a ricordare "d'Ilion le sacre torri", avranno nel cuore anche il bellissimo sceneggiato che la RAI produsse nel 1968, che aveva tra i suoi protagonisti Bekim Fehmiu nei panni di Ulisse, Irene Papas in quelli di Penelope e una giovanissima Barbara Bach come Nausicaa:

Immagine libera
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Chi non lo avesse mai visto, nemmeno su stimolo scolastico, mi dia retta e se lo goda in streaming, con l'avvertenza che il ritmo narrativo non avrà nulla a che vedere con quello delle video clip cui ormai siamo abituati: si prepari ad abbandonarsi ad un fiume lento, alle narrazioni dei nonni prima di andare a letto. Che poi era quello che faceva il pubblico degli antichi aedi, ascoltava rapito, senza alcuna fretta.

immagine di proprietà dell'autrice
Raccontare qui tutta la vicenda del "Ritorno del guerriero" è fuori discussione, quindi rilassatevi. Sceglierò qualche situazione più significativa per dare un'idea del carattere del personaggio di Ulisse e quindi del significato dell'Odissea rispetto all'Iliade.


Iniziamo dalla Telemachia, cioè i primi quattro libri, in cui Telemaco, figlio ormai più che ventenne di Ulisse, va in cerca di notizie di suo padre perché ormai il tempo stringe e sua madre Penelope è costretta a scegliere un nuovo marito tra i Proci, i pretendenti alla sua mano e al trono di Itaca. Qualcuno ha commentato che questa parte sarebbe avulsa dal contesto, perché a nessuno importerebbe delle beghe di Telemaco a casa sua. E' una scemenza, ovviamente: intanto tre millenni di tradizione l'avrebbero fatta cadere senza troppe remore, se così fosse stato, no? E poi che cosa sta facendo questo ragazzo, che non ha mai conosciuto suo padre, che però sta difendendo il proprio status e quello della propria famiglia con tutte le sue esigue forze? Sta cercando le proprie radici e sta crescendo alla condizione adulta e, per farlo, fa ruotare tutta la narrazione intorno al nome dell'assente: di Ulisse parla Nestore a Pilo, di Ulisse parlano Menelao e Elena a Sparta. Il figlio ha bisogno di formarsi un'idea del padre per sviluppare se stesso secondo quel modello, l'esatto contrario di quanto accade nel romanzo di formazione ottocentesco, in cui i giovani eroi con i loro viaggi e le loro avventure cercano di allontanarsi dall'ombra ingombrante dei padri. In ogni caso, un rito di passaggio. E quando si incontreranno, Telemaco sarà l'unico cui il padre dirà il proprio nome senza nessun tipo di menzogna.


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Nel frattempo, come si sa, Odisseo era arrivato naufrago sull'isola dei Feaci, dove lo aveva raccolto la figlia del re Alcinoo, Nausicaa. Il discorso che rivolge a questa ragazza è una perla di oratoria, del resto lui è anche Ulisse "dalla bella parola": le chiede se sia una dea o una mortale, tanto bella gli sembra; poi celebra la felicità di suo padre, di sua madre e dei suoi fratelli, che possono vederla ogni giorno accanto a sé; la paragona ad una giovane palma vista anni prima a Delo in una delle sue peregrinazioni (bellissimo l'omaggio che Eugenio Montale farà migliaia di anni dopo a questa immagine nel suo Ripenso il tuo sorriso) e, in ultimo, con estrema discrezione, evoca la beatitudine dell'uomo che avrà la sorte di averla in moglie nella propria casa. Ed è fatta: complimenti eleganti, educazione e una bella dose di guai e Nausicaa, povera creatura, è folgorata, anche perché Atena, furbissima dea che sempre protegge l'eroe, già al mattino l'aveva fatta svegliare con un sogno pieno di promesse di nozze e di felicità. Siamo davanti ad un uomo che conosce l'arte della comunicazione, che non sfonda mura e non agisce d'impulso, un uomo che, innanzitutto, tace sempre il proprio nome. Sono passati secoli dalla forza tragica di Achille.


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L'altro episodio che vorrei ricordare è l'incontro con le Sirene. Di loro non si sa nulla, ma in Omero sono due e cantano poggiate su un prato, contornate dai cadaveri di tutti coloro che erano stati attratti dal loro canto. Canto che, in quanto divino, è insostenibile (attenzione, che nell'Odissea il canto femminile è roba pericolosa: canta Circe l'incantatrice, cantano le Sirene e canta Calipso, che vorebbe tenere Ulisse con sé per l'eternità), perché è "incessante" e l'uomo che ne ascolta la purezza e la verità tralascia ogni altra cura, anche la vita. Anche perché quel canto ha come oggetto la storia di chi lo ascolta: quindi Ulisse qui ha davanti una doppia prova, si confronta con il sovrumano e con la propria stessa storia. Questa è una delle tappe pericolose perché troppo ospitali, perché l'eroe rischia di dimenticare lo scopo per cui è in viaggio e il poeta inventa l'escamotage con cui Odisseo resiste alla tentazione, facendosi legare al palo della nave e turando le orecchie dei compagni con della cera. L'eroe anela alla conoscenza e al pericolo ma il poeta sa che la prima prova, la più difficile è quella contro se stessi.


Chiudo con la scena più struggente di tutta l'Odissea, quella più carica di intensità emotiva, l'ultimo incontro di Ulisse con il suo cane Argo.


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Il nostro eroe, come si è detto, nasconde sempre la propria identità, perché il suo ritorno è stato irto di ostacoli temibili, scagliati contro di lui dalla furia di Poseidone, signore del mare cui Ulisse ha accecato il figlio, il ciclope Polifemo. In verità è stata proprio la debolezza di rivelare il proprio nome al mostro come atto di superbia a causargli tutti i guai narrati nell'Odissea, che ha quasi per intero una struttura a flash-back. Non si rivela a Nausicaa, non si rivela al fedele Eumeo una volta tornato a casa, non si rivela nemmeno alla moglie Penelope, meta ultima di tutto il suo viaggio, costringendo il poeta a narrare la meravigliosa scena del letto nuziale; questo figlio di buona mamma non si rivela subito neppure al vecchio padre, Laerte, che dopo la sua partenza si era ritirato da solo in montagna in un podere grande come un fazzoletto e ora dispera di rivederlo mai più; anche la nutrice Euriclea, che lo aveva riconosciuto dalla cicatrice sulla gamba, riceve come saluto di ritorno una minaccia di morte, se rivelerà la verità prima del tempo. Si sa, l'abitudine a mentire è dura a perdersi e il nostro eroe è incallito assai.
Ma Argo non ha bisogno di nomi. Il poeta inverte l'ordine e di chi sia la casa non lo fa dire al servo, ma a Odisseo stesso, in modo che il cane senta la sua voce. Argo è vecchissimo, non riesce più nemmeno ad alzarsi, ma agita la coda e abbassa le orecchie perché ha riconosciuto il suo padrone, nonostante i venti anni di lontananza. Il loro colloquio silenzioso occupa lo spazio di una manciata di versi, il tempo perché l'uomo si asciughi furtivo una delle rarissime sue lacrime e Argo, sopraffatto dall'emozione, sia preso dalla Moira di nera morte.

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Leggerti è sempre un piacere.

Grazie, Dob :)

Sempre fantastica! Mi riporti indietro nel tempo, tra i banchi di scuola! E mi fai venir voglia di rileggere quelle pagine che col passare degli anni diventano ricordi un po' annebbiati.
Quel che mi resta è qualche episodio, tra questi l'incontro con il vecchio e fedele Argo è davvero toccante, proprio perché l'animale è l'unico che riconosce immediatamente il padrone, senza esitare. E il suo destino si compie, in quel momento, soprattutto perché riesce persino nell'ardua ed incredibile impresa di far versare la lacrimuccia ad Odisseo!

C'è ancora qualcosa che ricordo a memoria, nonostante tutto, con tanto di cantilena metrica:

ἄνδρα μοι ἔννεπε, μοῦσα, πολύτροπον, ὃς μάλα πολλὰ
πλάγχθη, ἐπεὶ Τροίης ἱερὸν πτολίεθρον ἔπερσεν·

Grazie, non vedo l'ora di leggere il tuo prossimo articolo, vediamo cosa ci prepari :*

Ma grazie a te, sei così gentile. Evviva la metrica 👏🏻

Che post interessante! Grazie mille @paxatis per averlo condiviso con noi :) un abbraccio

Contenta che ti sia piaciuto, nonostante la lunghezza. Grazie e un abbraccio anche a te :)

storie d'altri tempi, dove gli uomini sfidavano la morte per tramandare le proprie gesta... cosa tramanderemo dell'uomo moderno, asservito al canto mel-odioso pubblicitario, per niente smart rispetto al suo phone, naufrago VIP ma più mostruoso di un mostro con un occhio solo... e il cane di Trump, cosa penserà ogni sera al suo ritorno? Sicuramente i suoi tweet saranno più sensati di quelli del suo padrone, probabilmente qualche invocazione alla moira...

Sul cane di Trump non ho dubbi :D

E' sempre bello rivivere le storie degli aedi con cui sono cresciuta e tu li racconti magistralmente. Mi hai ricordato mio padre che mi ha tirato su a pane e mitologia, e che quando ancora non sapevo leggere mi leggeva ogni sera un capitolo del libro Quel famoso cavallo di legno.

E bravo papà :)

Amore infinito... e come non potrebbe essere così per me, dove due pezzi del mio cuore, la Sicilia e la Psicologia, sono, rispettivamente, piene di "posti" e di "complessi" mitici;
tra i miei preferiti le isolette dei ciclopi di Aci Trezza e il Complesso di Telemaco...

Oltretutto, la tua premessa:

tradurre è tradire

Quanta inesorabile verità... immagino sia duro da spiegare, ma è anche questa una delle questioni quotidiane che mi arrovella... potrei mai fare davvero il mio lavoro, che si basa sulla parola e sulle sue sfaccettature di significato all estero?
Domanda retorica...

Ad ogni modo, un paio di righe sul caleidoscopio di pensieri ed emozioni che ha suscitato a me il tuo post!
Grazie 😘

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