L'ira

in #ita7 years ago (edited)
Visto che qualcuno mi ha chiesto, bontà sua, di raccontare altre storie omeriche, oggi vi intrattengo con quella di Achille. La sua ira è la prima parola della letteratura occidentale, cioè la prima parola del primo verso dell'Iliade:

Mῆνιν ἄειδε θεὰ Πηληϊάδεω Ἀχιλῆος


Tutti, credo, ce l'hanno più o meno sbiadito tra i ricordi scolastici: "L'ira canta, o dea, del Pelide Achille". La parola è menis, che indica un sentimento sconosciuto agli uomini, che accomuna Achille piuttosto agli dei, gli unici nei poemi omerici a cui venga accostato questo termine. Infatti al verso successivo tale ira viene definita "distruttrice", οὐλομένην, perché ha causato infiniti dolori all'esercito greco, avendo provocato lo scontro tra il Pelide e Agamennone, capo supremo della spedizione. Forse qualcuno ricorderà anche i motivi di questa contesa, ma se altri li avessero persi nel dimenticatoio dell'adolescenza vi racconterò in breve l'antefatto.


La guerra di Troia, dice il mito, durò dieci anni, durante i quali Greci e Troiani si combatterono con alterne vicende, avendo ciascuno alleati vari nelle popolazioni dell'Asia Minore. In queste battaglie minori, che però lasciano echi vari nel poema, gli eroi greci avevano riportato diverse vittorie, distruggendo città e depredandole di ricchezze e degli esseri umani superstiti, che venivano resi schiavi. Come ci ha spiegato negli ultimi decenni l'antropologia, i premi delle vittorie venivano suddivisi e distribuiti in base al prestigio del vincitore: ai soldati semplici qualche sacco di granaglie o paccottiglia, ai capi i pezzi più preziosi, oggetti e esseri umani. E solo questo riconoscimento esteriore, ostentato del kléos, dell'onore, poteva avere peso in una società che faceva dell'opinione pubblica il proprio collante sociale. Quindi così vanno considerate le due schiave, Criseide e Briseide, attribuite rispettivamente ad Agamennone e ad Achille. La prima era figlia di Crise, anziano sacerdote di Apollo, che si recò al campo Acheo per chiederla in riscatto, ma fu cacciato in malo modo da Agamennone, per niente intenzionato a rinunciare al segno esteriore del suo prestigio. Ma Crise invoca Apollo in suo soccorso e gli chiede di punire i Greci per il loro oltraggio.


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Così, dice sempre il mito, essi cominciano a morire a decine e decine a causa di una pestilenza, perdendo terreno nei confronti dei Troiani, chiusi nelle loro mura. Interrogato l'indovino Calcante sui motivi di questa catastrofe, si apprende che Apollo è furibondo con il generale greco e che pretende una riparazione. Agamennone è quindi costretto dagli eventi a restituire la figlia al padre, ma pretende in cambio un risarcimento. E quale potrebbe essere all'altezza del suo rango e del suo prestigio se non il premio assegnato al più grande degli eroi, Achille? Ed è per questo, per ripristinare un equilibrio sociale infranto, che Briseide viene ceduta all'Atride. Ed è per questo che Achille, dopo aver coperto di insulti il generale che offende il suo kléos, abbandona il campo di battaglia in preda alla sua ira, intenzionato a vendicarsi di tutti causando la disfatta inevitabile del suo esercito.


Ma chi è davvero Achille?
Figlio di Peleo, un uomo, e Teti, una dea del mare, lui era IL FIGLIO per eccellenza, cioè colui che sarebbe potuto nascere da Zeus o da Posidone, se entrambi non si fossero ritratti dalle nozze con la bellissima Teti. Era stato infatti profetizzato che chiunque si fosse unito a lei sarebbe stato spodestato dal frutto di quell'unione: un figlio destinato a essere superiore a suo padre. Come dicevamo di Ettore, chi è che non si augurerebbe una sorte così? Be', è chiaro che se sei umano è un conto, ma se sei un dio e governi il cielo o il mare, è tutt'altro paio di maniche. Quindi si decise che Teti si unisse a un mortale, molto meno rischioso. E Peleo fu scelto perché era il migliore degli uomini, il più giusto e il più pio, e tutti gli dei e le dee vennero invitati a quelle nozze eccezionali, come si vede nel fregio principale del Vaso François:


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In verità non proprio tutti vennero invitati: la dea Eris, la Discordia, venne lasciata a casa e non si fatica a capire il perché (avete presente Malefica al battesimo della Bella Addormentata? Uguale). Ma quella è un'altra storia, in cui compaiono mele d'oro e concorsi di bellezza.

Tornando ad Achille, quando era ancora neonato sua madre aveva tentato di renderlo invulnerabile impomatandolo con l'ambrosia e bruciando di notte la sua mortalità nel fuoco o, a seconda delle versioni del mito, immergendolo nelle acque magiche dello Stige; nel primo caso Peleo si accorse delle pratiche non proprio ortodosse della moglie e gridò di paura, motivo per cui Teti, infuriata, gettò il bambino a terra col tallone ancora intatto e si volatilizzò PER SEMPRE (quando s'incazza una dea, state in campana); nel secondo caso, il piede sarebbe stata l'unica parte rimasta fuori dell'acqua perché era da lì che lei lo teneva appeso.


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In ogni caso, niente nella sua vita seguì l'ordine normale delle cose: dopo la scomparsa della madre, la sua educazione venne affidata al saggio centauro Chirone (avete presente i saggi centauri di Harry Potter? Più o meno un tipo del genere)


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Ma Teti vegliava. E quando arrivò il giorno che suo figlio partisse per la guerra di Troia, da cui sapeva non sarebbe mai tornato, lo nascose alla corte del re Licomede a Sciro, abbigliato da donna in modo che si confondesse tra le figlie del re. Ma Ulisse arrivò per stanarlo con uno stratagemma, poiché un oracolo aveva predetto che Troia non sarebbe mai caduta senza l'aiuto di Achille; il furbastro portò in dono alle ragazze stoffe e vesti, ma il maschio eroico nascosto nell'indomito cuore del biondo Achille ruggì e lui saltò fuori dalle gonne alla vista delle armi del compagno.

Così partì. Nel salutarlo, sua madre e suo padre gli regalarono due dei loro doni di nozze: l'armatura divina forgiata da Efesto per Peleo e i cavalli di Poseidone, Xanto e Balio, che avevano il dono della parola.


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Achille sapeva che la sua vita sarebbe finita a Troia. Lo sapeva ma scelse una sorte breve e gloriosa, la "bella morte", l'apice dell'esistenza di ogni eroe che si rispetti. Nella sua figura tutto è oltre i limiti: lo è la sua ménis, che lo possiede e lo obbliga a correre senza fiato fino al compimento del suo destino, perché è l'unico mortale ad esserne coinvolto: la sua ira funesta, che lo innalza alle altezze divine, incombe su di lui e lo perde. In lui, dicevo, tutto è esagerato. Come la sua reazione all'offesa iniziale, per la quale si siede davanti al mare, singhiozzando e invocando la madre che venga a vendicarlo. Qualcuno ha commentato con scandalo questa scena, che farebbe dell'eroe un bimbo capriccioso e viziato. Ma tutto si comprende se si pensa al kléos ferito: nessun altro eroe ama il suo onore come Achille, con la tenerezza e la devozione che si avrebbero per un figlio, perché è l'unica cosa che davvero possiede, che davvero dà un senso alla sua vita, la vita che ha scelto di perdere in quella guerra scoppiata per riprendere la moglie di un altro.

Poi l'urlo alla morte di Patroclo, ucciso da Ettore che lo credeva Achille, di cui indossava le armi per spaventare i Troiani e farli indietreggiare. Patroclo, il suo amico, il suo amato, la sua ombra bella.


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Un'altra situazione da brivido è l'incontro tra l'eroe e Priamo, il re di Troia, sceso nel campo greco di nascosto per chiedere in riscatto il corpo di suo figlio Ettore. Il vecchio padre, che ha perso molti dei suoi figli, abbraccia le ginocchia dell'uomo che quei figli ha ucciso, uno soprattutto, il più grande ed eroico; l'ha massacrato e poi trascinato per giorni nella terra, legato al suo cocchio finché non ha avuto sazietà dello scempio. E davanti a questa cosa assurda, inconcepibile, di quel vecchio prostratogli davanti, Achille ricorda il suo anziano padre, Peleo, che non rivedrà mai più. E piange. E' una delle scene più potenti di sempre:

"Immersi entrambi nel ricordo, l'uno per Ettore massacratore
piangeva a dirotto prostrato ai piedi di Achille,
mentre Achille piangeva suo padre, ma a tratti
anche Patroclo: il loro lamento echeggiava per la casa.
"

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Achille ama la vita, non ha incertezze su cosa sia preferibile, come fa capire ad Ulisse che nell'Odissea arriva a incontrare le ombre dei defunti: meglio mille volte essere l'ultimo dei vivi che il principe dei morti. Ma nell'Iliade Achille ama la gloria e per questo muore a Troia. E alla sua morte (raccontata anch'essa nell'Odissea) i Greci piangono, dal mare escono Teti e le ninfe marine gridando il proprio dolore infinito, le nove Muse intonano il lamento funebre per diciassette giorni e diciassette notti e la diciottesima, vestito con la tunica degli dei e cosparso di unguento e miele, l'eroe viene arso con pecore e buoi. Le sue ceneri vengono raccolte nel vino in un'anfora insieme a quelle di Patroclo e infine i Greci elevano su di loro un tumulo sull'Ellesponto,

"perché da lontano fosse visibile agli uomini in mare,
a quanti vivono ora e a quanti vivranno in futuro.
"


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Quanto è spesso inutile la scuola. E quanto basterebbe poco per appassionare a un racconto meraviglioso. Grazie 😊

Grazie a te, ma chère. Quando sono i grandi a parlare, c’è poco da aggiungere. A scuola faccio leggere, oltre a Omero, dei libri di commento e approfondimento sui due poemi, che in genere fanno molto effetto ❤️

Mi hai fatto piangere, come una bimba.
Ricordo ancora quando leggemmo per la prima volta i passi di quel poema a scuola: una lite furibonda tra Achille e Agamennone. Rimasi stupefatta dalle offese che venivano lanciate tra gli eroi, che si prendevano a colpi di faccia di cane come se non ci fosse un domani.

Sono lusingata, mia cara. Sì, nel mondo eroico tutto è méga ;)

Davvero molto coinvolgente ed avvincente, mi hai trascinato nei tempi antichi grazie al tuo racconto molto ben strutturato ed ottimamente corredato da indovinatissime foto poste a supporto di una narrazione molto efficace e mirata, grazie per questo tuo lavoro decisamente encomiabile

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