Eroi

in #ita7 years ago (edited)
In questi giorni torno, come quasi ogni anno, a rileggere con la classe di turno il brano meraviglioso dell’Iliade in cui si racconta dell’incontro tra Ettore e Andromaca, poco prima dello scontro fatale dell’eroe con Achille. Lo leggiamo in greco, ovviamente, almeno finché ce ne sarà data la possibilità, anche se col passare degli anni la reale possibilità diventa sempre più teorica, essendo i ragazzi sempre meno attrezzati a gestire le questioni linguistiche di base. Dell'italiano, dico, figuriamoci del greco. Ma non è dello sfascio culturale del Paese che vorrei parlarvi.


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Il passo in questione è tra i più famosi della letteratura mondiale, tratto dall'opera con cui si può dire che inizi la Letteratura stessa, almeno in occidente, e nel nostro ciclo scolastico dovrebbe essere letto almeno due volte in italiano, una in prima media, per il programma di Epica, e di nuovo al primo anno del ciclo superiore. Quindi quando uno lo riprende in lingua originale dovrebbe sfondare porte aperte, almeno quanto al contenuto e al contesto storico. Ma le cose non vanno più così da un pezzo e ci si trova a ricominciare da capo, dalla mela d’oro di Paride, per capirci. Che è come dire da Adamo ed Eva. Vabbe’, però per Omero uno fa questo e pure molto altro.

Che cosa si racconta? Siamo a Troia, le sorti della guerra sono incerte e i due schieramenti hanno deciso che debbano scontrarsi i due eroi più grandi: Achille per l’esercito greco e Ettore per quello troiano. Achille è un semidio, figlio di un mortale e di una dea, è quasi invulnerabile (a parte il famoso “tallone da killer”, secondo l’immortale definizione di una partecipante del Grande Fratello, anni fa)...

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Lo so, è una debolezza. Ma persino le prof hanno le loro, quindi vi presento pure Ettore, così dall'insulso film "Troy" abbiamo preso le due uniche cose buone e la facciamo finita qui...


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Lo so, lo so, ci sarebbe da salvare anche il Paride di Orlando Bloom, ma Paride qui ora non c'entra, quindi fatevene una ragione, ragazze.
Dicevamo che Ettore sa perfettamente di non avere alcuna possibilità di sconfiggere Achille, tanto più che il greco è una belva assetata di vendetta da quando lui gli ha ucciso l’amico e amante Patroclo (questo magari ve lo racconto un’altra volta, ma non vi fidate della bigotta Hollywood perché non erano cugini). Torna in città per chiedere alla madre, la regina Ecuba, di fare sacrifici propiziatori per il duello e, mentre corre per la strada che costeggia le porte Scee, incontra sua moglie Andromaca, che a sua volta si è gettata in preda all’angoscia in cerca di lui, seguita da un’ancella che porta in braccio il loro bambino, Astianatte. Quando si incontrano, lei lo implora di non tornare sul campo di battaglia, di avere pietà di lei e del loro figlio, ancora piccolissimo, perché senza di lui saranno preda dei conquistatori e non avranno altro futuro che la schiavitù. La risposta che lui le dà è l’unica possibile in quel tipo di contesto:

Donna, anch’io, sì, penso a tutto questo; ma ho troppo
rossore dei Teucri e delle Troiane dal lungo peplo,
se resto come un vile lontano dalla guerra.
Né lo vuole il mio cuore, perché ho appreso ad esser forte
sempre, a combattere in mezzo ai primi Troiani,
al padre procurando grande gloria e a me stesso.



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Siamo in una di quelle situazioni che gli antropologi definiscono shame cultures, “società di vergogna”: non esistono leggi scritte che regolino i comportamenti del singolo prevedendo un codice di pene (blame cultures), quindi l’unico fattore efficace è l’approvazione o la riprovazione da parte degli altri membri del gruppo sociale. In base a tutto questo, semplicemente, Ettore non può sottrarsi al suo dovere perché non avrebbe più vita possibile a Troia. Sa che quasi sicuramente morirà, ma non può pensarci in questo momento, perché davanti ha sua moglie e suo figlio e deve convincersi che esista un futuro. E' l'unica scena di intimità familiare di tutta l'Iliade, ma da sola è già un capolavoro.

Dopo aver ricordato ad Andromaca quello che lei dovrebbe sapere benissimo, si rivolge al figlioletto per prenderlo in braccio l'ultima volta, ma il piccolo si spaventa alla vista del padre armato e si ritrae sul petto della balia "bella cintura". Omero (nome tradizionale di una schiera di poeti improvvisatori anonimi, ma anche di questo magari vi parlerò altrove) per descrivere la scena dice che il bambino è

"spaventato alla vista del padre,
temendo il bronzo e il cimiero chiomato,
vedendolo ondeggiare terribilmente dalla cima dell'elmo.
"

L'espressione è già nota nell'epica, ma in contesti in cui corrisponde a "dall'alto del monte": qui ci si mette quindi dal punto di vista del bimbo, per il quale il padre col suo elmo è alto come una montagna. Poi uno si chiede che vuol dire nascere poeti.

Allora i genitori ridono di questa paura infantile e

"subito dal capo si tolse l'elmo lo splendido Ettore
e lo posò a terra, tutto scintillante.
"

Due versi interi per un gesto di empatia paterna che ha destato da secoli l'ammirazione di tanti lettori e commentatori e che trova rispondenza nella decorazione del vaso attico che apre questo post: la scena è riconoscibile proprio dalla centralità dell'elmo che l'eroe tiene in mano davanti al suo bambino, un particolare decorato con dettagli grafici che altre parti del vaso non hanno, proprio perché quello è l'elmo di Ettore. Il gesto di Ettore, che ha dato il titolo a un bellissimo libro sul ruolo paterno nell'analisi junghiana. Il gesto che permette a suo figlio di riconoscerlo e di tendergli la manina per essere preso in braccio:

"ed egli poi, dopo che baciò suo figlio e lo palleggiò tra le braccia,
disse supplicando a Zeus e agli altri dei:
Zeus e voi altri dei, concedete che anche questo
mio figlio sia, come anch'io appunto sono, in vista tra i Troiani,
altrettanto valente per forza e regni saldamente su Ilio;
e un giorno qualcuno possa dire: "Costui è molto migliore del padre",
quando torna dalla guerra; e porti spoglie cruente
avendo ucciso un guerriero nemico, e goda nell'animo la madre.
"

La preghiera di ogni padre per ogni figlio, che cresca più sano, più forte, più grande di lui e che sia la gioia di sua madre. Ettore nella scena vagheggiata, ovviamente, non compare. Tutti gli ascoltatori (l'epica in origine era recitata) e i lettori nei secoli dei secoli hanno sempre saputo che nel mito le cose non andarono così, che Ettore fu massacrato da Achille, Troia fu espugnata e data alle fiamme, Andromaca fatta schiava e Astianatte gettato da una rupe. Quindi la commozione inevitabilmente sale e il groppo in gola si stringe. Almeno a me, ogni volta che leggo questa pagina e la devo illustrare ai ragazzi.

A questo punto Ettore guarda sua moglie che sorridendo tra le lacrime si riprende in braccio il bambino e il cuore gli si stringe. Quindi l'accarezza e le dice di tornare a casa e non affliggersi troppo. Le sue parole, sembrerà incredibile, sono risuonate scandalose a qualche orecchio ottuso, o semplicemente ignorante, che in tempi di rivoluzioni sessantottine ha scatenato energie degne di miglior causa, vedendovi un sessismo inaccettabile, perché Ettore dice:

"Nessuno contro il destino mi getterà nell'Ade:
ma la Moira, ti dico, non c'è nessuno che possa evitarla,
sia valoroso o vile, dal momento che è nato.
Ma torna a casa e attendi ai tuoi lavori,
al telaio e alla conocchia, e comanda alle ancelle
di badare al loro: la guerra starà a cuore agli uomini
tutti, e soprattutto a me, quanti nacquero ad Ilio
".

Eccolo, il solito maschio che tratta la donna come la solita casalinga, povera idiota che non deve occuparsi delle cose essenziali della vita. Quindi sfatiamo il mito di Ettore marito tenero e premuroso? Nemmeno per sogno. In verità quello che il poeta fa dire qui al personaggio è che l'unica cosa saggia da fare contro il destino, contro la morte, contro la sciagura, è continuare l'esistenza, tenerla stretta nelle pieghe della quotidianità, ognuno la propria. Il vero eroismo, più che il bagliore delle armi e dei gesti eclatanti, è sorridere alla vita negli occhi di un figlio, è la normalità di tutti i giorni, anche quando sembra impossibile.


immagine pixabay.com

Sort:  

Fantastico! Che dire, ricordo ancora l'odiato Omero dai miei compagni e compagne di classe... perché solo a me piaceva? Perché mi suscitava passione, ancora di più l'Odissea rispetto all'Iliade. Qui ho letto un bellissimo risvolto di Ettore, credo in contrapposizione con la personalità di Ulisse...ci fai un post su di lui Prof? 😁 Grazie per avermi fatto tornare nel tempo 😊

Ettore è l’alternativa ad Achille, in verità. Ulisse è già un altro mondo, meno divino e più umano. Se volete posso restare in tema con i prossimi post 😉
Grazie dell’apprezzanento

Ah sì sì ho già alzato la mano, io sono presente 😉

Anche io ho il coccolone ogni volta che si parla delle vicende legate alla guerra di Troia, proprio perché di tutta la vicenda a me questa scena è rimasta nel cuore, per sempre: l'attimo fuggente in cui l'eroe si spoglia e diventa uomo, padre, in cui mette via l'elmo per prendere il figlio. Il momento in cui, pur consapevole del proprio destino, regala al piccolo un ultimo abbraccio e parla alla moglie non da eroe ma da marito, trasmettendole amore e forza con parole che oggi sembrano strane, ma che vanno interpretate proprio come tu scrivi.

Ricordo la prima volta in cui lessi questo episodio in lingua originale, finalmente. Avevo quasi le lacrime agli occhi, ma ero a scuola, non potevo piangere e diventare lo zimbello di tutti i compagni. Lo lessi di nuovo, al termine del liceo. E piansi.

Grazie dell'articolo, in me evoca dei ricordi importanti della mia adolescenza.

mi piacerebbe assistere alle tue lezioni...il mio professore di greco era bravissimo, uno dei pochi che ricordo per l'amore che metteva nei suoi racconti e nelle sue spiegazioni...forse per questo insegnava proprio il greco...chissà! Bellissimo post

Se non vi annoio posso continuare sul tema 😍

Pensa che è uno dei pochi passi che ricordo è lo ricordo con commozione ogni volta. È romantico e moderno il rapporto con la sua donna e con il piccolino è tenerissimo e straziante. Certo però Orlando Bloom potevi pure postarlo giacché c'eri

Magari gli dedico un post apposito. Paride lo zim-bello 😉

Par condicio: posta pure qualche gnocca, allora! ;)

Per fortuna a scuola ho avuto un insegnante come te, che trasmetteva la passione per la materia trattata agli alunni. Quindi ricordo ancora (a distanza di oltre 20 anni) quanto bello fosse imparare e farlo per se stessi, prima ancora che per i voti.
Va detto, ero un secchione, ma non di quelli antipatici :-)

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