Genova per noi (parte 2)

in #ita6 years ago (edited)

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Sentii il telefono vibrare con insistenza nella tasca dei pantaloni, doveva essere certamente una chiamata di Elena.
Un paio di giorni dopo l'arrivo in Italia avevamo dedicato un pomeriggio intero all'acquisto di due SIM card, per poter usare gli smartphone durante i mesi da trascorrere in Europa, in quanto le nostre abituali schede panamensi, in trasferta, già sapevamo, non ne avrebbero voluto sapere di funzionare.
Se vai in ferie, vanno in ferie anche loro.
Dovrebbe essere questo lo slogan commerciale di quelle belin di tesserine, pensai.
C'è voluta una cifra intorno ai sessanta euro per comprarne due, una vera follia. Ricordo che mentre cercavo di capire quel che mi spiegava con gentilezza e professionalità l'impiegata della Vodafone, riguardo il funzionamento della scheda e l'attivazione del contratto, continuavo a pensare come a Panama sia sufficiente andare dal supermercato dei cinesi per acquistarne una al prezzo di tre dollari, senza dover presentare documenti d'identità o mettere firme.
Il paragone mi innervosiva un bel po', non tanto per la burocrazia eccessiva, ma per la differenza abissale di prezzo.
Ero alla fermata dell'autobus quando tirai fuori il cellulare dalla tasca dei jeans; era lei.
"Ehi", risposi.
"Dove sei"?
"Sono a Portello alla fermata dell'autobus, tutto bene"?
"Sì sì tutto bene, io e la Anto ci stiamo preparando, fra un po' andiamo a mangiare la pizza, poi magari più tardi facciamo un salto a Boccadasse. Te che fai, vai su dai tuoi"?

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Immagine di proprietà dell'autore - Genova - Boccadasse

"Sì vado su. Mangio dai miei poi vado a vedere se becco Stefano dal bar".
"Ma l'hai già sentito"?
"Sì, l'ho sentito stamattina su Whatsapp. Dai vado che sta arrivando il 20".
"Ok a più tardi".
"A dopo, fate le brave".
"Aspetta, come pensi di tornare a casa"?
"Boh, Stefano mi darà un passaggio, o alle brutte chiedo a mio padre".
"Ok, ciao, se hai bisogno chiama".
"Yes! Ciao"!
Scesi dal 20 a Dinegro e salii sul mitico 66. Quanti ricordi, peggio della sera in stazione. Se quella linea avesse potuto parlare, avrebbe raccontato almeno la metà della mia infanzia e della mia adolescenza.
Sarebbe stata in grado perfino di svelare al mondo scomodi aneddoti, che era meglio lasciare nascosti fra le nebbie del passato.
Scesi dall'autobus alla fermata della chiesa e cominciai a camminare verso via Rigola, che per fortuna da lì si raggiunge percorrendo in discesa un panoramico vicoletto pedonale, dove da bambini giocavamo con gli skateboard.
Finalmente arrivai a casa dei miei, cominciavo pure ad avere una certa fame.
"Sera vecchi, che si mangia"!?
"Sei arrivato? Tuo padre sta rompendo le palle già da un'ora perché ha fame", esclamò mia madre mentre venne ad aprire la porta.
Mio padre era seduto davanti al pc, certamente giocando a Burraco online, cercando di esorcizzare l'incontenibile voglia di cibarsi.
Si alzò dalla sedia e ci venne incontro quasi di corsa: "Dai dai, mangiamo va"...
Il menù della serata prevedeva acciughe e verdure marinate di antipasto, trofie al pesto come primo piatto e salumi e formaggi di contorno/pietanza.
Il paradiso. Poco dopo, con ancora in bocca il sapore pungente delle acciughe marinate ed il televisore acceso sul TG5 a volume basso, come da mia esplicita richiesta, aspettando le trofie il mio vecchio mi ricordò che ci teneva a mostrarmi tutte le new entry di recente acquisto, provenienti dal mercatino dell'usato.
"Va bene, però alle nove e mezza devo essere dal bar, ho l'appuntamento con un amico".
"Eh belin, te ne vai così presto"?
"Pa' è una vita che non vedo sto ragazzo, mi fa piacere salutarlo".
"Va ben dai, allora te le faccio vedere un'altra volta le mie opere d'arte. Scusa poi come torni a Castelletto più tardi"?

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Immagine CC BY-SA 2.0 di Elisa Triolo Fonte flickr - Vista dal quartiere Castelletto, dietro l'ascensore municipale (sulla sinistra)

"Pure tu? Non lo so ma stai tranquillo, in un modo o nell'altro ci torno, non ti preoccupare".
Finita la deliziosa cena, mi congedai. Salutai mamma e papà e uscii di casa. Avevo mangiato un po' troppo e mi sentivo come se le comode scarpe di tela rosse che avevo ai piedi, pesassero di colpo quindici chili.
La strada per il bar era tutta in salita, arrivai sconvolto: "belin faccio schifo", pensai, "sto mangiando come un porco e sono fuori forma".
Giunto nei pressi del locale storico per il nostro quartiere, venni investito dall'ennesima ondata di ricordi, che ritornarono a decine davanti agli occhi nel giro di pochi secondi, accavallandosi uno sull'altro mentre il fiatone sembrava spezzarmi i polmoni.
Stavo già sorridendo come un ebete al pensiero di entrare dentro al mitico ritrovo, nel bar che per anni fu di Michele, ma che molti ancora ricordavano con il nome del leggendario gestore degli anni '80: bar di Livio.
Il sorriso però si spense presto.

Il bar era vuoto, eccetto per la ragazza bionda e giovane dietro al bancone mai vista prima, che fissava distratta il televisore appeso al muro nell'angolo e per un tizio di spalle alla porta, con i capelli rasati, la felpa verde oliva col cappuccio e un paio di blue jeans aderenti che, al contrario della barista, riconobbi perfettamente.
Non appena entrai si girarono entrambi e mi guardarono. La ragazza salutò con un informale ciao e quell'altro mi fissò appena qualche attimo prima di sgranare gli occhi: "Livorno! E te da dove esci? Ma che barba hai"?
Si trattava di Alessandro Mantero, un tale più vecchio di me di qualche anno con un carattere che a definirlo "di merda", era molto più che un eufemismo.
Violento, nevrotico, aggressivo e, a detta di molti, completamente pazzo. Per sua natura mi è sempre stato fortemente sulle palle, ma penso che tale sentimento fosse pericolosamente reciproco.
Non ne ho l'assoluta certezza, ma in passato ho avuto più volte modo di constatare una certa antipatia provata nei miei confronti, perciò non ho mai fatto segreto, né con me stesso né con terzi, di trovarmi piuttosto a disagio in sua presenza.
Ad ogni modo, mi sarebbe proprio piaciuto rispondere alla sua domanda esclamandogli in faccia: "Oh ciao, pensa che coincidenza, esco adesso adesso dal letto di quella puttana di tua sorella"!
Ovviamente, una frase da film di questo genere non avrei mai avuto il coraggio di dirla a nessuno, figuriamoci a quell'idiota iracondo e simpatico come la sabbia negli occhi.
Perciò rimasi come impietrito per qualche attimo, poi, cercando di restare tranquillo e il più naturale possibile lo salutai: "Come va? Ti ricordi di me, vedo".
"Certo che mi ricordo, come potrei dimenticarmi di Fabio Fazio", disse mentre se la ridacchiava da solo, come l'asino che è sempre stato.
Ricordo che sosteneva di trovare in me una forte somiglianza con il presentatore della Rai, un personaggio che come lui sopporto a malapena, sebbene mi capiti molto di rado di guardare la televisione, in particolar modo quella italiana.
"Senti", dissi rivolgendogli mio malgrado la parola, "non è che per caso hai visto Stefano stasera? Non è passato di qua"?
"Chi, Brinone"?
"Sì, lui".
"No, non l'ho visto. Bevi qualcosa? Pigliati una birra dal frigo dai, offro io".
"Ti ringrazio, magari più tardi, vado a prendere un po' d'aria qua fuori mentre lo aspetto".
"E beviti sta cazzo di birra Fazio, non rompere le palle"...
Conoscendo il personaggio, per non alimentare la polemica e generare una noiosa ed inopportuna discussione, presi una Heineken dal frigo e la diedi alla giovane barista bionda per fargliela stappare. La tipa aveva uno strano sorriso sulle labbra che non mi piaceva per niente, una smorfia a metà fra imbarazzo e gentilezza che però non riuscivo a decifrare più di tanto; un ghigno strano che indispettiva e imbarazzava non poco anche me.
Ringraziai i due e uscii fuori già abbastanza nervoso per il malaugurato incontro.
Sedetti sul mitico muretto affianco al bar e sorseggiai controvoglia quella fottuta birra. Tirai fuori il cellulare e mandai un Whatsapp a Stefano: "Dove cazzo sei finito? Sono quasi le dieci. Sono fuori dal bar".
"Sto arrivando, due minuti", fu la risposta.
Dopo un paio di sorsi, finalmente vidi arrivare il tamarro alla guida di una Golf nera. Posteggiò dall'altra parte della via e scese giù dal veicolo tedesco velocemente col sorriso stampato sulle labbra, mentre gli andavo incontro.

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Immagine CC BY-SA 3.0 di M 93 Fonte Wikicommons

"Oh rumenta!", fu l'esclamazione di entrambi, mentre in un fraterno abbraccio ci battevamo forte la schiena con le mani come eravamo soliti fare da sempre.
Fui il primo a parlare e a cercare di imbastire un discorso, il tenerone era commosso dall'emozione e gli si rompeva la voce ogni volta che tentava di proferire parola.
"Alua nescio, com'è? Cosa imbelini, piangi? Mi fai morire"! Io insensibile, non mi trattenevo dal ridergli in faccia.
"Mi ha commosso rivederti belinone, cazzo ridi", riuscì finalmente a dire con un filo di voce, mentre si asciugava le lacrime e cercava di ricomporsi un attimo.
"Dai sediamoci e raccontami un po' che non ti vedo dal dopoguerra", dissi.
"Aspè vado a prendermi una birra anch'io, vedo che sei già fornito e non voglio rimanere indietro. Te ne vuoi un'altra?", disse indicando la Heineken che avevo abbandonato sul muretto.
"No grazie, lascia stare".
Uscì dal bar con in mano una Ceres e si sedette anche lui sul muretto. La scena fu come un déjà vu, mi sembrava d'averla vista e rivista almeno altre trecento volte in passato e probabilmente era proprio così.
"Oh c'è Mantero nel bar", disse bisbigliando.
"Lo so, me l'ha offerta lui la birra".
"Ah sì?", chiese facendo una faccia strana.
"Ha insistito come soltanto lui sa fare mentre gli chiedevo se t'avesse visto".
"Ah ecco perché si è preso la briga di dirmi che eri fuori ad aspettarmi. Sta migliorando il ragazzo, sta imparando le buone maniere".

"Sarà... Ma dimmi un po' dai, cosa mi racconti? È una vita che non ci vediamo! Due anni fa quando sono tornato per la prima volta non ci siamo beccati, quindi considerando che adesso sono via da otto anni e prima di trasferirmi non ti ho più visto per almeno altri... Due? Direi che fanno in totale dieci lunghi anni. E non sei manco mai venuto a trovarmi una volta a Panama"!
"Hai ragione Fabri, ma come faccio? Le palanche son sempre quelle che sono e..."
Lo fermai subito.
"Oh scemo, giri con la Golf nuova, pezzo di tamarro, ma che soldi dai, non mi prendere per il culo", esclamai ironico!
"Ma mia che la macchina l'ho presa l'anno scorso con i soldi che mi ha lasciato mio zio. E comunque una volta ho guardato due prezzi su internet, costano un botto i biglietti per venire da te".
Lo zio di Stefano era la buonanima di Walter, il più giovane dei fratelli della madre, una persona carissima, un eterno Peter Pan a cui tutti volevano bene.
Morì circa un anno prima a causa di un brutto male che se l'è portato via giovane e in fretta.
Fu Stefano in persona a darmi il triste annuncio, poche ore dopo la dipartita del mitico zio; aveva 53 anni appena.
Lo fece con un angosciante vocale di Whatsapp che conservo sul telefono ancora oggi.
Walter era single. Che io sappia non ebbe mai nessuna storia più lunga di tre settimane, figurarsi quindi figli. Per tal motivo scelse di lasciare tutto a suo nipote, che considerava alla stregua di un fratello minore.
"Ma quando hai controllato"?
"Boh, saranno stati tre o quattro anni fa su skyscanner"...

"Sì, cinque o sei; guarda che nel frattempo sono scesi di brutto i prezzi, sai? Oh poi non voglio farmi i cazzi tuoi, te lo sto solo menando un po', ma dimmi che per quella tamarrata nera lì non hai speso tutti i soldi che ti ha lasciato tuo zio".

"Cosa fai il commercialista a Panama?", chiese ridendosela.

"No, lo sbirro. Mia che lo dico per te io"...

Ero felice.
Era bello stare lì seduti su quel muretto come ai vecchi tempi a parlare del più e del meno con quel cazzone fotonico. Tanti anni fa, da pivelli, ci passavamo interi pomeriggi e le sere d'estate con tutta la compagnia del quartiere, chi seduto su quel mitico pezzo di calcestruzzo e chi sulle selle dei motorini posteggiati sul cavalletto.
"Ma Elena come sta? Se non mi sbaglio l'ho già conosciuta io, vero? Ci siamo incontrati da qualche parte un paio di volte, no"?

"Sì che l'hai già vista. Non vorrei sbagliarmi ma mi sembra proprio di sì. Sta bene, grazie".

"Ma si ricorda di me"?

Lo guardai cercando di fingere serietà, ma con scarsi risultati: "Certo che si ricorda di te, se li segna tutti sull'agenda gli zarri con la golf, dice che vuole sterminarvi tutti"!

"Ma vai a cagare vai! A casa mia si dice che chi disprezza, compra. Oh ma sai che son già quattro mesi che sto con una"?

"E lei lo sa"?

Se la rideva di brutto. Lo faceva sempre quando ci pigliavamo per il culo a vicenda, la goliardia era uno dei nostri passatempi preferiti da sempre.
"Lo sa, lo sa. Si chiama Claudia, è un po' più giovane di noi e vive nei caruggi."

"Nei caruggi? Allora, se ti conosco bene, scommetto che ti perdi quando vai a trovarla, vero"?
Stette zitto con uno strano ghigno sulle labbra e non mi guardava in faccia.
Stefano è un bonaccione ed è la classica persona che, so per certo, non potrebbe mai, per nessun motivo, abbandonare il quartiere dove è cresciuto.
Se lo togli da "su", nomignolo colloquiale con il quale facciamo spesso riferimento al nostro piccolo rione di collina e se lo allontani dal suo piccolo giro di sempre, è perduto. Me lo immaginavo quindi girare per i labirintici vicoli del centro storico genovese, di sera, alla ricerca del portone dell'amata malcapitata e mi scappava assai da ridere.
Però mi sarebbe piaciuto tantissimo vederlo a Panama presto o tardi, perciò gli avevo promesso già da tempo che se prima o poi si fosse deciso a tentare "la grande attraversata", come gli piace chiamarla, sarei andato a prenderlo all'aeroporto con una sorpresa.
Francamente però, credo che non se la sarebbe mai sentita di prendere quella "drastica" decisione.

Continua...

L'immagine della Heineken è di pubblico dominio Fonte Wikipedia

Il Logo (taroccato) di Skyscanner è di pubblico dominio Fonte Wikicommons

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Linguaggio diretto, uso di parole comuni, anche quelle vere (leggasi termini espliciti), metodo di narrazione coinvolgente, bravo @itegoarcanadei, aspetto il prosieguo

Mi è venuta fame solo leggendo la descrizione della cena!

Anche a me mentre scrivevo...😬😂

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