Il recupero della corazzata Leonardo da Vinci: una storia di coraggio e competenza (by @kork75)

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La storia del recupero della nave Leonardo da Vinci

La corazzata Leonardo da Vinci, appartenente alla Regia Marina Italiana, faceva parte della squadra navale interalleata comandata dal vice ammiraglio Luigi Amedeo di Savoia. La nave era dotata di una forte corazzatura e di un potente armamento basato su cannoni di grosso calibro. Le corazzate, come la Leonardo Da Vinci, furono le protagoniste delle battaglie navali tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo, prima di essere sostituite dalle portaerei come principali unità da combattimento. Le corazzate erano classificate in base al loro dislocamento (la massa dell'acqua spostata dalla nave), alla loro velocità, alla loro potenza di fuoco e alla loro protezione. La corazzata Leonardo da Vinci era una delle tre unità della classe Conte di Cavour, insieme alle gemelle Giulio Cesare e Conte di Cavour. Queste navi furono costruite nei cantieri Odero di Genova tra il 1910 e il 1914, con un dislocamento standard di 23.088 tonnellate e una velocità massima di 21,5 nodi. Il loro armamento principale era costituito da tredici cannoni da 305 mm, installati in cinque torri corazzate, mentre il loro sistema difensivo era basato su una cintura corazzata spessa 250 mm e su un ponte corazzato spesso 111 mm. La Leonardo da Vinci entrò in servizio nella Regia Marina il 17 maggio 1914, poco prima dello scoppio della prima guerra mondiale. Durante il conflitto, la nave partecipò a diverse missioni di pattugliamento e bombardamento nel Mar Adriatico, senza però incontrare mai il nemico in battaglia.

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RN Leonardo Da Vinci - Pubblico dominio

Il 2 agosto 1916, la corazzata Leonardo da Vinci esplose e affondò nel Mar Piccolo di Taranto. L’incidente causò la morte di 249 uomini, tra cui il comandante della nave, il capitano Sommi-Picenardi. La nave era ormeggiata nel porto insieme ad altre unità della Prima Squadra Navale quando, alle 23:30 circa, si verificò un’esplosione nella santabarbara poppiera. La santabarbara era un locale situato a poppa della nave, dove erano stivate le munizioni per i cannoni principali. L’esplosione fu causata da un incendio che si era sviluppato a causa di una fuga di nafta dalle caldaie. L’improvviso incendio non fu gestito adeguatamente dall’equipaggio, che non riuscì a isolare la santabarbara né a spegnere le fiamme. L’esplosione provocò il crollo delle torri poppiere e l’apertura di una falla nello scafo. La nave si inclinò rapidamente verso poppa e affondò in pochi minuti. Il capitano Sommi-Picenardi, a seguito dell’esplosione, ordinò l’immediato allagamento delle sante barbare, che erano delle cisterne di acqua situate sotto la polveriera. Questa azione impedì che la nave subisse ulteriori deflagrazioni, ma ne causò anche il suo affondamento.

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L'affondamento della Leonardo da Vinci fu un duro colpo per la Regia Marina, che perse una delle sue più potenti unità da guerra. Tuttavia, la Marina non si arrese e decise di tentare il recupero della nave, affidando il compito al generale del Genio Navale Edgardo Ferrati, che presentò il suo progetto il 26 ottobre 1916. Il progetto Ferrati prevedeva di sollevare la nave con l'ausilio di cilindri di spinta riempiti d'aria e di rimorchiarla fino al bacino di carenaggio dell'Arsenale di Taranto. Il progetto fu in seguito integrato da quelli dei colonnelli del Genio Navale Rota e Russo. Per realizzare il progetto, fu necessario allestire un cantiere galleggiante intorno alla corazzata, costituito dalla nave supporto Anteo, due galleggianti adibiti ad alloggi per gli operai, cinque pontoni con pompe e compressori per insufflare aria all'interno del relitto e due cavi sottomarini collegati alla centrale elettrica dell'Arsenale. Il cantiere fu operativo dal 15 novembre 1916. Il lavoro più difficile e pericoloso fu svolto dai palombari del servizio bacino, sotto la guida del capitano del Genio Navale Andri. I palombari erano subacquei professionisti che lavoravano in condizioni estreme, con una pressione di 10 atmosfere e una temperatura di 10 gradi. I palombari dovettero affrontare diverse difficoltà, come la presenza di detriti sul fondale marino, la corrente e le basse temperature. Nonostante ciò, riuscirono a compiere un lavoro straordinario, rimuovendo le bombe che avevano affondato la nave e riportandola in superficie. Il recupero della nave richiese cinque anni di lavoro e si concluse il 5 luglio 1921, quando la Leonardo da Vinci fu rimorchiata fino al bacino di carenaggio dell'Arsenale. La nave, ormai irreparabile, fu poi demolita nel 1923, ma Il suo recupero fu una delle più grandi imprese ingegneristiche della storia navale italiana.

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Pubblico dominio

Il recupero della Leonardo da Vinci è uno dei tanti esempi di come uomini come i palombari siano capaci di affrontare le sfide più difficili con coraggio e competenza. Ricordare oggi questo tragico evento nei 90 anni dell'istituzione della categoria palombari della Marina Militare è anche un omaggio ai caduti della nave e ai palombari che lavorarono per riportarla alla luce. I palombari italiani sono professionisti altamente qualificati e specializzati che svolgono un lavoro pericoloso e importante. La loro storia risale al XVII secolo, quando venivano utilizzati per la costruzione di fondali per navi e la posa di mine. Nel corso degli anni, hanno partecipato a numerosi conflitti e operazioni di soccorso in caso di disastri naturali. Sono la punta di diamante della Marina Militare Italiana e la loro opera è fondamentale per la sicurezza nazionale.

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[La Spezia, elmo da palombaro anni 40 - foto di proprietà dell’autore]

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