Commerciali, tecnici, bambini e calcio

in #ita6 years ago


Immagine CCO Creative Commons da Pixabay

L'esempio che i nostri genitori ci danno tramite il proprio lavoro, fa senza dubbio parte della nostra formazione personale.

Mia madre è sempre stata il baluardo del posto fisso. Iniziò a lavorare molto giovane come impiegata in una grossa ditta che ancora oggi produce pneumatici per veicoli e vi rimase fino alla pensione.

Mio padre, al contrario, venditore fin da quando era giovanissimo, ha cambiato diverse aziende dapprima come commerciale puro, poi come capo area ed infine come direttore commerciale fino a quando decise di aprire una società per conto proprio.

Queste due tipologie di occupazione mi hanno sempre fatto riflettere fin da quando ero giovane sulla dicotomia tecnico-commerciale ed oggi vorrei esporvi le mie considerazioni personali sull'argomento.

Premetto che ritengo entrambe le figure egualmente indispensabili in tutte le aziende, qualsiasi siano le dimensione o il settore nel quale operano.

Negli anni, tuttavia, data la passione che contraddistingue noi italiani per il calcio, ho sviluppato un paragone che a mio avviso incarna molto bene questa dicotomia e vorrei esporla di seguito:

  • il commerciale è l'attaccante. Il suo compito è fare goal ovvero portare nuovi clienti affinché la squadra-azienda possa vincere sulle altre. Divorato dallo stress deve compiere grandi balzi in tutte le direzioni per poter portare a casa il risultato.
  • il tecnico è il difensore. Deve saper reagire ed adattarsi in tempi rapidi anche quando il campo di gioco non lo permette. Deve riprendere la palla e passarla all'attaccante in modo da poterlo mettere in condizione di fare goal ma sempre stando nelle retrovie.
  • il dirigente è il centrocampista. Costruisce l'azione, definisce il ritmo della squadra supportato dai difensori ed imbeccando gli attaccanti.
  • il consiglio di amministrazione è l'allenatore. Non interviene in campo ma dà le direttive e la sua parola è legge all'interno della squadra come dell'azienda.


Immagine CCO Creative Commons da Pixabay

Fatte queste premesse tattiche passiamo ad evidenziare una sorta di ingiustizia che non ho mai sopportato e che pervade il mondo del calcio come quello lavorativo:

  • cosa succede se la squadra vince? tipicamente il merito è attribuito all'attaccante. Costui viene acclamato dalla folla e viene intervistato a fine partita. In modo analogo quando un'azienda va bene, il merito viene sempre elargito alla forza commerciale e al marketing che hanno saputo "annusare" il mercato, hanno portato clienti, hanno rispettato il budget ed a loro vengono distribuiti premi, promozioni e benefit. In tal caso ci si dimentica quasi che la vittoria è data anche e soprattutto dai difensori che hanno fatto in modo di non subire goal o, quanto meno, hanno fatto in modo che le reti subite fossero meno di quelle effettuate. In ambito lavorativo succede lo stesso per il tecnico: si adopera per sviluppare il prodotto migliore senza il quale la vendita diverrebbe una trattativa vana ma viene dimenticato come una sorta di male necessario.
  • cosa succede se la squadra perde? beh è a causa del demerito dei difensori o del portiere. Talvolta viene tirato in causa l'allenatore, raramente gli attaccanti, sempre i difensori.

Ciò che si dimentica sempre è che la squadra è una squadra e come tale è composta da allenatore, attaccanti e difensori così come un'azienda è formata da dirigenti, tecnici e commerciali. Se le cose vanno bene è merito di tutti e se le cose vanno male vale lo stesso principio. Sempre.

Certo, se volessimo portare questa analogia ad esplorare altri aspetti della questione, senza dubbio inizierebbe a scricchiolare ma vorrei sfruttarla ancora per esporre una questione che mi sorprende ogni volta ancora oggi, nonostante sia nel mondo del lavoro da diversi anni: la consapevolezza.

Ciò che vedo è che la consapevolezza è appannaggio solo del tecnico. Costui è conscio che se non ci fosse il commerciale che vende i prodotti da lui sviluppati, non porterebbe a casa la pagnotta ma, al contrario, i commerciali pensano di essere gli unici detentori del successo della propria azienda ma mai una concausa di eventuali insuccessi.

E' un vero peccato che nessuna scuola ci insegni queste sottigliezze. Se la teoria della reincarnazione fosse vera, vorrei rinascere commerciale, immergermi nello stress che questa professione comporta, crogiolarmi dei successi potendomi ergere unico autore degli stessi ma svincolarmi dalle responsabilità degli insuccessi aziendali additando il mercato o i colleghi.

Ora, io non so se tu che mi stai leggendo hai un'anima tecnica o commerciale. Spero soltanto che questo post possa far riflettere tutti sulla questione veramente importante: una squadra è composta da persone ed ognuno ha un ruolo che determina la vittoria o la sconfitta. Nessuno escluso e tutti siamo concause. Gli illuminati che lo capiscono vedranno i colleghi e collaboratori come risorse e non come centri di costo all'interno di un conto economico.

E tu che ne pensi di questo argomento? Hai l'anima del commerciale o del tecnico? Raccontami cosa ne pensi nei commenti!

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Interessante questo paragone tra il calcio e il mondo aziendale. Ma come spesso accade quando si propongono delle metafore, da un lato si coglie una visione d'insieme che ci fa avere una nuova consapevolezza su aspetti dati per scontati, d'altra parte si semplificano rispetto la realtà alcuni aspetti.

Io, ad esempio, sono un consulente freelance, che si occupa di sviluppo progetti web, a livello sia tecnico che comunicativo e di marketing. Quello che mi accade spesso (in Italia), e che mi ha portato oggi ad affiancare alla mia attività di consulenza anche quella di sviluppo progetti in conto proprio (o meglio, in partnership con altri), è che spesso, quando il cliente è una piccola azienda (3-15 dipendenti), di solito il proprietario o i proprietari che sono anche i dirigenti dell'attività, credono di poter ricoprire tutti i ruoli: portiere, difensore, attaccante, allenatore, ecc. A me (per la mia tipologia di competenza) mi chiamano come centrocampista che organizza il gioco d'attacco e mette in relazione la difesa con l'attacco, delle volte mi si chiede di fare l'allenatore (di individuare la strategia di gioco), ma alla fine a decidere (e spesso contro i miei suggerimenti) è sempre il proprietario che tutto sa senza saperlo, come quei presidenti di calcio che pretendono che gli allenatori applichino le loro tattiche di gioco. Questo di solito si traduce in due fatti:

  1. che il freelance, o il competente di un settore, non viene rispettato nella sua professionalità e il ragionamento che lui si fa tra se e se è: ok del resto è lui che paga, quindi facciamo pur come vuole lui.
  2. che l'attività svolta non è la migliore, non è quella che si dovrebbe fare.

Questo per me è molto frustrante, ecco perché cerco oggi di spingere la mia professione in modo di avere più indipendenza nelle decisioni strategiche (quindi assumermi in qualche modo la mia parte di rischio d'impresa).

Oggi però, su questa scia, penso che la sfida da affrontare è un'altra: come si creano oggi gruppi di lavoro ad hoc per singoli progetti in modo da costruire una squadra coesa? Penso infatti che sempre di più nel futuro i gruppi di lavoro si costruiranno intorno al singolo progetto piuttosto che per piani di business aziendali, questo per una serie di motivazioni che non sto a dire per non allungare questo commento.

Ci vogliono delle nuove modalità di collaborazione, che altrove stanno già sperimentando e qui in Italia siamo molto indietro (anche perché il cambio culturale richiesto è forte).

Senza dubbio i paragoni sminuiscono la realtà ed altresì questo paragone si adatta meglio a realtà strutturate e almeno di medie dimensioni piuttosto che piccole aziende con meno di una ventina di dipendenti.
Sono d'accordo con te sui gruppi di lavoro e ti auguro il meglio per la tua professione.
Io ho fatto sviluppo di siti web tanti anni fa ma ho abbandonato proprio a causa della frustrazione che hai descritto

molto bello questo paragone con le figure aziendali....beh... ovviamente sono d'accordo, da difensore

Grazie mille. É una situazione nella quale sono immerso da quando ho iniziato a lavorare :-)
Spero comunque di essere stato "abbastanza" neutrale :-)

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