Una vela tatuata.

in #ita5 years ago



C’era una vela tatuata sulla schiena. Navigava mari di pelle e vibrazioni di capelli lunghi. L’albero maestro a nascondere un segreto, disegnato al centro, il suo mistero.

Quella foto mi accoglieva all’ingresso della tuga. Il primo sguardo mentre rientravo in cabina. Erano trascorsi 10 giorni da quando ero partito da Southampton, il 25 aprile 2008, a bordo del mio cutter da 55 piedi. L’albero si perdeva nel cielo soleggiato delle Azzorre, Sao Jorge era vicina e avrei attraccato li. La prima tappa, quella che avrebbe preceduto la traversata dell'atlantico. Avevo incontrato mare calmo e anche un vento teso che aveva soffiato benevolo per tutto il tragitto. Una media di 6 nodi, non potevo aspettarmi di meglio. Ma in fondo sapevo che altre erano le latitudini da temere, anche se in mare Eolo e Nettuno avrebbero in ogni momento potuto confutare le mie ipotesi. Feci lentamente mezzo periplo dell’isola, dalla parte occidentale, fino ad attraccare a Velas nel versante meridionale dell’isola. Un maggio privo di turisti, con gli alberi in fiore e la vita esplosa. La sosta fu breve, in quanto avevo stimato che la traversata avrebbe richiesto dai venti a trenta giorni. Cuba mi aspettava.

Il frastuono del verde era alle spalle, ma ancora ben visibile. Macchie di terra e alberi in un mare cobalto. Avevo preso un buon vento di traverso e me ne stavo girato a vedere le isole ingoiate dalla luce riflessa del sole che tramontava a pruavia del mio cutter.
La notte passò benevola. Ero solito dormire un paio di ore nelle quali accendevo il motore impostando il pilota automatico e velocità di 3 o 4 nodi. Dovevo riposare ma la camera installata in testa d'albero era dotata di sensore ad infrarossi e un mini radar e mi avrebbe avvisato se qualche ostacolo fosse entrato nel campo di 150° sulla mia rotta.
La notte passò calma ed il tramonto mi vide contare i bagliori esplodere dal mare. Uno ad uno, incontinenza della nascita.
Delfini seguivano la chiglia piegata da una bella brezza mattutina, che spingeva la carena nella sua danza di onda lunga. Un beccheggio che era un bacio lento della prua alle onde infrante. Godevo di ogni secondo.




C’era una vela tatuata sulla schiena. Navigava mari di pelle e vibrazioni di capelli lunghi. L’albero maestro a nascondere un segreto, disegnato al centro, il suo mistero.

Lo sguardo come calamita. La vita imprigionata e la regata per giungere all'approdo caraibico era solo un allontanarsi effimero. Ma quella foto era la cartina di tornasole della volontà perversa di non scordare. Il terzo giorno i delfini erano andati e provai a calare una lenza con un pesciolino artificiale. Allungai i bordi per coprire con meno spesa la rotta stabilita. Il vento era sempre ben disposto e consentiva un andatura regolare con piccoli strappi. Ho scritto molto, lo tengo per me, ho scritto i dettagli, ho scritto dei puntini sulle i e non della storia. Nessuno racconta i dettagli. La forma di una particolare onda in un preciso istante che vive la sua vita di energica potenza, la schiuma che si contorce bianca sulla sommità prima di sparire nella scia. Ho raccontato questi dettagli. E di un segreto di vela dipinta.
La notte di bonaccia aveva tacitato la notte del giorno 15. Ero oltre la metà del tragitto. Non avevo autonomia per spingere la barca oltre quelle due o tre ore che mi servivano per dormire, quindi ero stato per qualche ora quasi del tutto fermo. Un rallentamento che però mi aveva concesso un riposo inaspettato e generoso.




C’era una vela tatuata sulla schiena. Navigava mari di pelle e vibrazioni di capelli lunghi.

Stavo sdraiato nella dinette, un dormiveglia di cielo stellato che filtrava dal passo d'uomo. La vela che navigava la schiena, illuminata dalla luna, brillava di una eterea inconsistenza. Sembrava evadere dalla prigione di foglio per vivere di luce.
Il tempo di chiudere gli occhi e fui destato dall'allarme. Salii subito in coperta, cercando conferme visive. Nulla. Non vidi nulla. Accesi il faro che avevo posto in testa d'albero. Scrutai a prua, nulla, niente. Un falso allarme, una vela che viveva di luce.

I giorni di luna si susseguirono, come l'allarme che suonava a vuoto alle 4 del mattino. Un mistero nel mistero dipinto.
Cuba era vicina, si vedevano le isole che la precedevano e che liberavano il mio cuore dai battiti delle notti ormai lontane.

C’era una vela tatuata sulla schiena. Navigava mari di pelle e vibrazioni di capelli lunghi. L’albero maestro a nascondere un segreto, disegnato al centro, il suo mistero.




Al centro dell'Avana. Lei era lì. Aveva guardato la stessa luna per 39 giorni. 39 silenziose notti in riva al mare, di schiena per lasciare la sua barca navigare quello stesso sconfinato mare.

sea-2561397_1280.jpgImage CC0 Creative Commons – Pixabay

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