Evoluzione di un inganno, le orchidee

in #ita7 years ago (edited)

Le orchidee: esseri prodigiosi, inverosimili, figlie della terra sacra, dell’aria impalpabile e della calda luce.

Così si espresse Guy de Maupassant, un saggista, scrittore e poeta di origini francesi che fu anche uno dei padri del racconto moderno, colpito dalla magnificenza di questo fiore.

Indubbiamente, le orchidee (famiglia: Orchidaceae) stupiscono e meravigliano l’uomo da sempre grazie ai loro fiori dalle mille forme e dagli infiniti colori. Sono sempre state ricollegate alla bellezza sensuale e carnale, tanto che nel linguaggio dei fiori l'orchidea significa “grazie per esserti concessa” o più romanticamente “sei la passione che accende il mio fuoco”.
Le orchidee, però, sorprendono non solo da un punto di vista estetico, ma anche, e forse soprattutto, da un punto di vista evolutivo: esse, infatti, hanno sviluppato alcune tra le strategie (riproduttive, di sopravvivenza e accrescimento) più variegate e complesse nel regno vegetale.

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Immagine CC0 Creative Commons - Fonte

Il bellissimo fiore che tanto ammiriamo non si è evoluto per compiacere l’uomo o per abbellire i nostri giardini ma, al contrario, è uno dei meccanismi più fini e sofisticati che la natura abbia evoluto in un organismo e rappresenta una delle principali strutture attraverso le quali la pianta interagisce con il resto del mondo.
Saremmo portati ad associare un fiore così bello alla gentilezza e alla dolcezza, ma le orchidee sono fra le piante più aggressive ed approfittatrici che si conoscano: sono in grado di parassitare alcune specie di funghi per rubare loro nutrienti, arrivando a “derubare” anche le limitrofe. Alcune specie, invece, producono semi con pochissime sostanze di riserva che riescono ad attirare al loro interno alcuni funghi (basidiomiceti ed ascomiceti) attraverso la produzione di segnali chimici, e una volta entrati, il seme stesso è in grado di degradarli ed usarli come nutrienti per far germinare la pianta.
Una delle domande più lecite che ci si possa fare riguarda il modo in cui queste piante siano riuscite ad originare una così grande diversità a partire da genomi molto simili. Siamo infatti abituati a considerare gli organismi vegetali come “inferiori” e la loro immobilità ci può sembrare sinonimo di “scarsità genetica”. In realtà, esistono piante con genomi molto più grandi di quello umano, e gli organismi vegetali hanno ormai dimostrato di essere in grado di mettere in atto regolazioni genetiche assolutamente affascinanti a dispetto della loro presunta semplicità.


Il fiore e la sua storia

In tutte le angiosperme (Divisione: Magnoliophyta) i fiori presentano una struttura verticillare, dove per verticillo si intende l’insieme degli elementi di una pianta inseriti sullo stesso asse e sullo stesso piano. Per esempio, i petali sono inseriti tutti sullo stesso verticillo, così come i sepali, gli stami e i pistilli hanno il loro. Ciascun fiore è sempre composto da quattro verticilli, tra i quali sui primi due si inseriscono organi sterili (sepali e petali) mentre il terzo e il quarto portano gli organi riproduttivi maschili (stami) e quelli femminili (pistilli).
Questa struttura è presente in tutte le piante a fiore ma, mentre nelle dicotiledoni, come Arabidopsis e bocca di leone, sul primo e sul secondo verticillo si inseriscono pezzi fiorali differenti (nel primo i sepali, verdi e con funzione di sostegno, e nel secondo i petali, colorati per attratte gli impollinatori), nelle monocotiledoni, di cui la famiglia delle orchidee fa parte portano, i primi dure verticilli sono caratterizzati dalla presenza di strutture non distinguibili tra sepali e petali, i tepali.

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Immagine realizzata da SPAGHETTISCIENCE

In seguito a queste osservazioni ci si è iniziato a chiedere quale potesse essere il meccanismo molecolare in grado di regolare tutto questo. Studiando i mutanti di dicotiledoni che presentavano una morfologia fiorale anomala è stato possibile, col tempo, fare chiarezza su questo meccanismo.
Sono state individuate cinque classi di geni, A-B-C-D-E, che codificano per fattori di trascrizione del DNA in grado di associarsi tra loro a gruppi di quattro formando dei tetrameri eteromorfi. Il tetramero così formato è poi in grado di influenzare la trascrizione di determinati geni, e ne varierà l’espressione in base a come è stato formato e a quali classi di geni sono entrate a farne parte. È stato infatti possibile accertare attraverso tecniche di ibridazione in situ che la morfologia di ogni pezzo fiorale è determinata proprio dalla composizione del tetramero che si va a legare alla sequenza bersaglio. Per esempio, la combinazione E-E-A-A origina i sepali, mentre la combinazione E-A-A-B induce la formazione dei petali. Tuttavia, questo modello, definito appunto modello ABCDE, funziona molto bene per le dicotiledoni che hanno pezzi fiorali differenti su diversi verticilli.
Le monocotiledoni, invece, presentano sul primo e sul secondo verticillo lo stesso pezzo fiorale ed è quindi stato necessario indagare ulteriormente per poter adattare il modello.
Le orchidee, che ricordiamo essere proprio delle monocotiledoni, hanno costituito un problema ancora più grosso per questo modello, in quanto i tepali del primo verticillo sono differenti dai tepali del secondo, e all’interno del secondo possiamo osservare ulteriore diversità: troviamo generalmente un tepalo ventrale allungato, detto labellum, e due tepali laterali con morfologia simile tra loro ma estremamente differente dal labellum.

Come si origina questa diversità?

I ricercatori si sono quindi chiesti come potesse esistere questa grande diversità all’interno dello stesso verticillo, dal momento che era stato dimostrato che l’espressione genica era la medesima.
È stato scoperto che nelle orchidee alcuni geni sono andati incontro a numerosi fenomeni di duplicazione genica. La duplicazione genica è il meccanismo attraverso il quale parti del genoma vengono copiate per errore più di una volta ed entrano a far parte del genoma stesso, con il risultato di allungarlo. I diversi tipi di emoglobina umana, per esempio, si ritiene che si siano formati proprio attraverso meccanismi di questo tipo. Fenomeni di questo tipo permettono ai geni duplicati di accumulare mutazioni: il gene originale infatti è ancora presente e funzionante, e quindi la mutazione della copia non crea problemi all’organismo. Queste mutazioni, alla lunga, portano il gene copiato a svolgere funzioni più o meno modificate rispetto all’originale.
Nelle orchidee queste duplicazioni hanno permesso la creazione di più geni appartenenti alla stessa famiglia, che sono in grado di svolgere azioni sinergiche o antagoniste influenzando la struttura finale del fiore. La quantità e la qualità dei geni espressi, quindi, determina esattamente le differenze.

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Immagine CC0 Creative Commons - Fonte
Esempio di duplicazione genica.


Il significato evolutivo

Una volta scoperto chiarito quale fosse il meccanismo utilizzato dall’orchidea per generare questa diversità, la comunità scientifica ha cominciato ad interrogarsi su quale potesse essere la spinta evolutiva alla base di questo processo. I geni duplicati, infatti, rappresentano un investimento e un costo notevole per gli organismi, e normalmente vengono eliminati. Se invece si conservano e vengono mantenuti attivi significa che risultano in qualche modo utili, e che la natura li sta selezionando positivamente. Le orchidee non fanno eccezione.
Sono piante che per riprodursi necessitano dell’impollinazione da parte di alcune specie di insetto (imenotteri, coleotteri e lepidotteri) e, come abbiamo detto, il fiore media proprio l’interazione con gli insetti. È quindi verosimile che la risposta a questa domanda sia da ricercare proprio in questa interazione.

Abbiamo già visto come, dal punto di vista evolutivo, le mutazioni che portano al formarsi di nuovi caratteri siano fondamentalmente causali. Quindi, se per caso una mutazione conferisce ad un organismo un vantaggio, questa viene selezionata positivamente e trasmessa.
Per quanto riguarda il fiore, cambiamenti nella sua morfologia possono portare casualmente ad un maggior effetto di attrazione nei confronti di alcune o di una specie di impollinatori.
Grazie ai numerosi geni duplicati, le orchidee sono state in grado, nel tempo, di sfruttare al massimo questo meccanismo, generando strutture atte a sostenere strategie del tutto particolari.
Il primo passo verso questa evoluzione è stato probabilmente la specializzazione delle singole specie di orchidea verso l’interazione con una singola (o con pochissime) specie di impollinatore. Quello che a prima vista potrebbe sembrare uno svantaggio, perché così facendo si riduce il numero di possibili impollinatori, può tradursi in realtà in un grande vantaggio per la pianta, perché se anche l’insetto “decide” di specializzarsi per l’interazione preferenziale con quel tipo di pianta, il trasporto del polline, e quindi la riproduzione, risulta molto più efficiente.

A questo punto, ipotizziamo che all’interno di una specie di orchidea ormai specializzata per l’interazione con un solo insetto, compaia in un individuo una mutazione casuale per cui il labellum assume una morfologia particolare che lo fa somigliare alla femmina dell’impollinatore. Quel fiore avrà probabilmente un grande successo, perché i maschi inizieranno a visitarlo non solo per ricevere il nettare come premio, ma anche perché si illudono di trovare un femmina. Più visite si traducono in una maggiore impollinazione, e quindi quel carattere mutato avrà elevate possibilità di diffondere. Questo è accaduto realmente nelle orchidee, ed esistono specie, tra cui due delle più famose sono Ophrys apifer, impollinata da un imenottero, e Ophrys sphegodes, impollinata da un ragno, in cui il petalo ventrale è del tutto simile alla femmina degli impollinatori. La specializzazione è stata selezionata così tanto che alcune piante sono addirittura in grado di produrre, invece dei normali aromi, dei feromoni identici ai feromoni sessuali degli insetti che attraggono.

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Immagine CC0 Creative Commons - Fonte
Ophrys sphegodes. Il labellum mostra una somiglianza impressionante con il dorso della femmina di una specie di ragno che funge da impollinatore.

Un altro esempio sorprendente è quello legato a orchidee che sono in grado di mimare la morfologia dei fiori di piante vicine. Sono state osservate specie che replicano perfettamente i fiori di altre piante, anche filogeneticamente lontane e la cui somiglianza non è per tanto dovuta ad affinità genetiche. Queste specie, solitamente, producono fiori che non restituiscono agli impollinatori una ricompensa. Perché allora gli impollinatori visitano lo stesso i fiori?
La somiglianza con altri fiori che invece producono nettare porta gli insetti a sbagliare e visitare comunque anche quei fiori che non producendo alimenti non dovrebbero risultare interessanti.
Le orchidee, quindi, hanno casualmente sviluppato dei fiori simili ad altri. A questo punto, una successiva mutazione causale ha creato dei fiori che non producevano più nettare. Questo si è tradotto in un grande vantaggio: il nettare è molto costoso per la pianta, e la prima orchidea che è riuscita ad attrarre gli impollinatori anche senza doversi far carico di questa spesa ha ricevuto un grande vantaggio; il risparmio infatti, si sarà concretizzato, per esempio, in un maggior investimento nella produzione di polline e quindi in una miglior riproduzione. Questo ha permesso il diffondersi del carattere.

Interazioni di questo tipo, al limite del parassitismo, sono state sviluppate dalle orchidee anche nei confronti di altri organismi vegetali.
Moltissime piante stabiliscono nel corso della loro vita delle simbiosi molto intime con dei funghi. Piante e funghi collaborano producendo e scambiandosi diverse sostanze. Il riconoscimento tra pianta e fungo è mediato da alcune sostanza che vengono solitamente secrete dalle radici delle piante.
Le radici di alcune orchidee hanno acquisito la capacità di produrre fattori d’attrazione simili a quelli di altre piante; in questo modo sono in grado di attrarre funghi che altrimenti non sarebbero interessati all’interazione e, attraverso questi funghi (che sono in grado di collegarsi a più piante contemporaneamente) riescono a sottrarre nutrimenti ad atre piante che fanno parte della rete.


Conclusioni

Come abbiamo visto, le orchidee hanno evoluto strategie che le rendono iperspecializzate nell’ingannare, attraverso diversi sotterfugi, sia insetti impollinatori che altre specie di piante. Strategie di questo tipo legano in maniera strettissima l’orchidea al proprio impollinatore. L’inganno, infatti, risulta efficacie solo nei confronti di un ristretto gruppo di impollinatori, spesso di una solo specie.
Se da un lato questo risulta in un enorme vantaggio, dall’altro implica un rischio molto elevato. Infatti, se per qualsiasi motivo viene a mancare l’insetto impollinatore su cui si basa la strategia riproduttiva dell’orchidea, quest’ultima è destinata ad estinguersi o, nel migliore dei casi, a modificarsi drasticamente.
Proprio Ophrys apifer rappresenta un notevole esempio in questo senso, in quanto l’imenottero sfruttato è ormai prossimo all’estinzione.
Questa specie sta riuscendo a non seguire la stessa sorte del proprio impollinatore poiché ha casualmente evoluto una strategia che gli permette di autofecondarsi e, quindi, di riprodursi con sé stessa anche in assenza di insetti che spostino il polline.
Questo però si traduce in una progressiva diminuzione della variabilità genetica e una sempre minor capacità di fare fronte alle potenziali perturbazioni ambientali.

È chiaro, allora, che strategie di questo tipo non possono considerarsi utili o meno in senso assoluto. Sono strategia che garantiscono un buon successo a chi le sceglie fintanto che l’ambiente è stabile e favorevole: in queste condizioni, queste piante godono di grandi privilegi e si diffondono velocemente.
Allo stesso modo, però, chi utilizza una strategia di questo tipo accetta l’eventualità di scomparire in caso di drastici cambiamenti climatici.
I cicli climatici della terra interagiscono in modo sorprende con queste dinamiche, mantenendo da sempre un equilibrio perfetto tra gli organismi che scelgono strategie più faticose ma più redditizie nel lungo periodo, e quelli che scelgono strade più proficue nel breve periodo.

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Immagine CC0 Creative Commons - Fonte


Disclaimer

Nei discorsi evoluzionistici si fa spesso l’errore, perdonabile, di descrivere i processi come se fossero guidati da una sorta di coscienza, per esempio sostenendo che “le orchidee hanno sviluppato una strategia che…”. È importante precisare che questo è unicamente uno stratagemma utile alla spiegazione dei concetti, ma che difficilmente l’evoluzione, anche quella umana, può essere ricondotta a meccanismi “coscienti”.
Questo è il motivo per cui, con molta attenzione, è sempre importante specificare che le mutazioni e le conseguenti variazioni che permettono la nascita di nuovi caratteri sono sempre casuali e, solo successivamente, vengono selezionate dalla natura, scomparendo se inutili.


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Immagine CC0 Creative Commons, si ringrazia @mrazura per il logo ITASTEM.
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Bibliografia


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Quindi adesso quando guarderò un’orchidea penseró che è il frutto dell’inganno e dell’insidia!!!!

Scherzi a parte, bel post, mi è piaciuto un sacco!!!

In effetti sì, e stupisce che un inganno del genere possa essere messo in atto da una pianta.

This comment has received a 5.00 % upvote from @webdeals thanks @g-e-m-i-n-i.

Questo è incredibile. Non avrei immaginato che dietro all'orchidea ci fosse tutto questo. Quindi anche le piante hanno le sue evoluzioni e adattamenti.

Assolutamente sì... E anzi, talvolta sono proprio le piante a sviluppare i meccanismi più interessanti, poiché a differenza degli animali non sono in grado di muoversi e quindi servono adattamenti particolari...

Bel post complimenti, molto interessante, non avevo mai visto le orchidee sotto questo punto di vista 😃

Grazie! Quando ci si fa l'abitudine e si inizia a guardare un po' tutta la natura chiedendosi il perché da un punto di vista evoluzionistico si scoprono cose pazzesche...

È proprio così @spaghettiscience...! Comunque bell’articolo, complimenti!

Mai una gioia, manco dei fiori ci si puó fidare oggigiorno :)
Grazie per la condivisione!

Ahah davvero... Comunque sono parecchie le strategie curiose che mettono in atto, magari vedrò di aggiungere qualcosa prossimamente...

Bella ricerca e ottima spiegazione, complimenti veramente. Grande fascino sicuramente il fattore di specializzazione della specie.
Un saluto, nicola

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