Sia dunque Lode ad Atlanta: Seduti sul divano

in #ita6 years ago

Qualche giorno fa vi avevo parlato di una serie sconosciutissima in Italia ma che ha riscosso un successo di critica e pubblico negli Stati Uniti, fino a raggiungere lo status di miglior comedy del 2017, sensazione suggellata da premi a raffica in ogni dove fino ad arrivare agli ambitissimi Golden Globe ed Emmy Awards.

Sto parlando ovviamente di Atlanta, e qui troverete la review (che in realtà era più un omaggio ad un singolo episodio di questa stagione) che avevo scritto pochi giorni fa.

Torno a parlare di Atlanta perchè sono fresco dell'episodio finale della seconda stagione e ancora una volta sento il bisogno di condividere questo entusiasmo seriale.

Il motivo?

Un divano posto al centro di un cortile, di un giardinetto abbandonato di un ghetto afroamericano.

I più attenti avranno già intuito perchè quel divano ha suscitato in me una voglia irrefrenabile di entusiastici apprezzamenti alla serie di Donald Glover.

Quel divano è quanto di più metatestuale possa esserci in ambito televisivo.

Glover, nuova stella del firmamento "Black" cita quel capolavoro totale di "The Wire" collegando con un ponte lungo 15 anni le 2 serie più impattanti per la cultura afroamericana e non.

Quel divano ci porta da Baltimora ad Atlanta, da una generazione all'altra, da una serie totalmente autoriale in senso stretto ad una serie autoriale suo malgrado.

Con quel ponte passiamo dalla narrazione dell'America Gattopardesca di 15 anni fa all'America surreale di oggi e ci accorgiamo che tutto è cambiato affinchè nulla cambiasse davvero.

Dal finale della serie( qui troverete una classifica dei migliori finali di serie di sempre delle serie tv a mio avviso) di David Simon, il finale più Gattopardesco di sempre, ad oggi son passati esattamente 10 anni, di mezzo vi è stato il primo presidente afro americano della storia eppure sembra esattamente non essere cambiato nulla per la comunità Black, se non il modo in cui i "nigga" raccontano i "nigga" e il mondo che li circonda.

Immagine priva di diritti di copyright

Simon ci aveva narrato con tratti drammatici e documentaristici la violenza delle strade di Baltimora, la criminalità diffusa, il sistema scolastico, quello portuale, quello giornalistico e quello politico in uno degli affreschi più giganteschi che la storia della tv ricordi. Non vi era spazio per l'assurdità ma solo per la riflessione, amara e disillusa.

Atlanta riesce ad essere ugualmente potente, ugualmente ficcante, ugualmente analitica ma utilizzando i toni della commedia, del surrealismo, del grottesco ed in un certo senso riesce a renderci ancora più partecipi delle difficoltà che un afroamericano debba fronteggiare oggigiorno, proprio perchè ci mostra vicende comuni, vicine e normali in tutta la loro esagerazione.

Non vediamo signori della droga, non vediamo poliziotti in divisa, non vediamo politici incravattati ma solo tanti umili ed esagerati uomini "neri" alla prova con la vita di tutti i giorni.

Ridiamo di gusto, eccome se ridiamo, eppure la nota amara che accompagna ogni nostro sorriso è dietro l'angolo.

Che sia un controllo più serrato all'aereoporto o il rifiuto di pagamento in contanti per paura che possano essere soldi contraffatti, che siano difficoltà nel frequentare una scuola migliore solo perchè nati col colore della pelle sbagliato o che sia un impossibile scalata nel mondo del rap, che sia l'impossibilità di creare le giuste conoscenze o conoscere i giusti ambienti è Atlanta a mostrarci tutte le contraddizioni e i muri che dividono White People da Black People.

Sia dunque lode ad Atlanta che ha saputo farci ridere, riflettere e sognare, seduti su un divano come fossimo i protagonisti di The Wire, 15 anni dopo.


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