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RE: Cosa significa fare politica oggi?

in #ita6 years ago

Articolo stupendo @anedo.
Affronti un problema molto serio che ahimè credo interessi davvero a pochi.
Oggi la politica è tifo, è parteggiamento per qualcuno o qualcosa. La classe dirigente è specchio della società che essa rappresenta e quindi di noi, è il risultato della direzione che vogliamo prendere.
Se abbiamo votato Berlusconi per anni è perchè abbiamo preferito avere un imprenditore di successo come riferimento a scapito della legalità, della giustizia, della decenza. Avere in quel ruolo una persona che si sentisse autorizzata a fare tutto, financo a delinquere, ci faceva sentire giustificati di essere a nostra volta delinquenti, a nostra volta superficiali rispetto ai veri temi, i veri valori che dovremmo affrontare e cementificare.
Votare Prodi era un modo per pulirci la coscienza dopo aver peccato e lo abbiamo fatto per ben 2 volte, salvo poi buttarlo giù dalla torre quando proprio non ne potevamo più di entrare nei ranghi.
Negli ultimi 5 anni abbiamo scelto di non scegliere e cosi ben 4 presidenti del consiglio li abbiamo fatti "eleggere" proprio da quella classe dirigente che ci ha "inguaiato", prima col porcellum e i suoi listin bloccati e poi demandando a Napolitano e soci la selezione dei governanti.
Abbiamo premiato Renzi alle Europee ringraziandolo per averci dato una bella mancetta da 80 euro a fine mese salvo poi scoprire che quella manovra e quelle venute poi non avevano influito sulla qualità della nostra vita.
Oggi siamo tornati a votare in tanti e abbiamo deciso che è ora di cambiare e di voltare pagina. Ma sappiamo davvero cosa vogliamo?
Cosa stiamo chiedendo alle nuove leve della classe dirigente?
Il problema non sono loro ma noi.
Siamo noi che dobbiamo lottare per i nostri diritti, difendere i nostri ideali e fare in modo che ognuno possa lavorare dignitosamente facendo quello che più gli aggrada, che più lo appassiona.
Fare politica non è dunque,solo, candidarsi o essere eletti o difendere quel partito o quell'altro ma credere in qualcosa e spingere chi è meno attento o interessato a fare lo stesso, credendo in quello che vuole ma facendolo in modo ragionato, spensierato e soprattutto responsabile.
Dobbiamo entrare nell'ottica che siamo tutti responsabili di un eventuale cambiamento, positivo o negativo che sia.
Purtroppo cosi non è, purtroppo anche tra i giovani prevale l'idea del cambiamento della propria condizione e pazienza se per agevolare noi stessi faremo pagare il conto ad altri.
Cosi non va, proprio non può andare ma temo che cosi continuerà ad andare con buona pace di Joyce, di Socrate e di Carmelo Bene. Perchè stavolta non sarà vero che tutto è Bene, ciò che finisce Bene.

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Grazie @serialfiller, commenti come il tuo arricchiscono e danno senso al mio post 🙂

Il problema non sono loro ma noi.

E' così, il tempo della delega è finito.

Purtroppo cosi non è, purtroppo anche tra i giovani prevale l'idea del cambiamento della propria condizione e pazienza se per agevolare noi stessi faremo pagare il conto ad altri.
Cosi non va, proprio non può andare ma temo che cosi continuerà ad andare con buona pace di Joyce, di Socrate e di Carmelo Bene. Perchè stavolta non sarà vero che tutto è Bene, ciò che finisce Bene.

Tra il recuperare il senso del nostro fare (anche perciò del fare politico) c'è anche quello di abbassare le nostre aspettative e curarci dal nichilismo che nasce dalle aspettative troppo alte.
Non parliamo di cosa faranno i giovani e gli altri, perché non sappiamo chi sono e cosa vogliono, quindi non alimentiamo anche noi il parlare di cose che non sappiamo. Questa non è un'accusa a te, parlo anche e soprattutto di me, di un rischio che so di correre ogni volta e che spesso mi fa stare nella parte sbagliata del mio stesso discorso.

Sbagliato generalizzare lo ammetto ma quando tra università, amici, colleghi tra i 20 e i 35 anni noti un pattern ben definito tendi a farti un'idea di quale sia la direzione che vogliano prendere le varie generazioni.
Oggi si prendo pochi rischi e come dare torto a chi si "accontenta". A fine mese bisogna pagare l'affitto ecc.
Ma quello che è preoccupante è il non allargare i propri orizzonti esistenziali.
Cosa potrebbe cambiare il mondo? Cosa lo renderebbe un posto migliore? Come potrei contribuire?
A pochi frega qualcosa in questo senso. Pochissimi quelli che sono disposti a farsi queste domande, figuriamoci quanti ne sono quelli disposti o capaci di trovare le risposte.
Oggi è sempre più un "mors tua vita mea". Oggi siamo felici di avere 10 euro in più del nostro collega a fine mese o di avere un rapporto leggermente meno schifoso col capo rispetto a chi ci è accanto. Siamo diventati socialmente autistici e indisponibili a rinunciare a quel poco che abbiamo. Abbiamo rinunciato ai nostri sogni e aspettiamo che siano gli altri a cambiare le cose per noi. Non abbiamo grinta, non abbiamo voglia, non abbiamo idea di cosa fare per dare un senso al nostro impegno civico.
Sappiamo che la colpa dello sfacelo è della generazione che ci ha preceduto e tanto ci basta per lamentarci e lasciarci andare ad una sorta di obiezione di coscienza sociale che non fa altro che peggiorare le cose.

Ho fatto l'insegnante per qualche hanno nella mia vita e un giorno mi sono trovato al bar con un alunno diciassettenne (pausa di metà mattinata), gli offrivo un caffè perché non aveva soldi. In quel momento, per la prima volta (non è più capitato) abbiamo avuto uno scambio di battute che io reputo "dirette e sincere":

Io avrò detto una delle mie idee, qualcosa che forse sta anche nel post che ho scritto sopra, sull'importanza di fare scelte personali genuine e di non lasciarsi condizionare dalla società.

Lui mi ha detto:

"io non ascolto gli adulti, perché gli adulti dicono solo cazzate, come te ad esempio, perché tu mi dici di credere nelle mie passioni e poi sei solo un poveretto che fa un lavoro del cazzo in questa scuola che non serve a niente e che si trova sotto ricatto, che non può rinunciare a farlo perché non arriverebbe a fine mese".

Gli ho risposto: "mi sa che hai ragione".
Mai una critica così feroce mi ha reso più contento.

Aveva tremendamente ragione quel ragazzo ahinoi.
Purtroppo siamo tutti collocati in posti dove non vorremmo essere, per mancanza di alternative o per mancanza di convinzione o per mancanza di curiosità.
Un prof universitario che stimavo molto un giorno ci disse: "Nell'università di oggi siete passati dall'essere studiosi, all'essere studenti".
Studiare per laurearsi e non per imparare ed imparare ad essere curiosi insomma.
Aveva ragione.

Caro @serialfiller, la prossima settimana penso di fare un post dove ti coinvolgo (ti invito) in un percorso da fare insieme.

Con estremo piacere @anedo.
Grazie per aver pensato a me.

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