Il mare di casa
Conoscerete certamente tutti, almeno di nome, il paese di S. Felice Circeo. Siamo sulla costa del basso Lazio, più precisamente su un promontorio che guarda a est Terracina, a sud-est Sperlonga e Gaeta e a sud le isole Ponziane.
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E’ una delle località turistiche in cui si riversano in vacanza soprattutto i romani ma, per la sua posizione intermedia, non mancano famiglie del frusinate e della Campania. Negli anni ho conosciuto moltissime persone che avevano o hanno una casa da queste parti, oppure che la prendono in affitto nei mesi estivi. Dunque nulla di strano.
Eppure tra loro e me c’è un’enorme differenza, che consiste nel fatto che io qui sono quasi indigena, poiché questo è il paese dove era nato mio padre e dove tuttora risiede parte della mia famiglia. Questa differenza diventa evidente a chiunque senta gli altri e noi oriundi parlare del paese: noi non abbiamo una casa “al Circeo”, ma “a S. Felice”. Capirete come esista già in questo uno spartiacque incolmabile. Figurarsi da quali vette irraggiungibili guardiamo coloro che si arrabattano a fare distinguo sotto gli ombrelloni tra proprietari e affittuari: noi siamo lassù, in cima al picco di Circe, e sorridiamo olimpici.
Già, Circe. Narra il mito che questo sarebbe stato l’approdo dove i compagni di Ulisse vennero trasformati in porci e, del resto, qui tutto parla di Odissea: via Telemaco, via Eea (nome greco della maga), via delle Sirene...
Moltissimi anni fa un mio avo, che tra i tanti mestieri faceva anche il pastore, mentre se ne andava con il suo gregge proprio in cima al monte, inciampò in un oggetto di marmo che affiorava dal terreno. Lo tirò fuori e lo pulì e, poiché gli piacque assai, se lo portò a casa.
Solo molto tempo dopo, per vicende varie, si rese conto che quella che teneva nel giardino era addirittura la testa della dea Circe, probabilmente relativa al santuario che le fonti collocano esattamente dove le sue pecore pascolavano beate. Oggi la testa appartiene al Museo Nazionale Romano e, dopo una trasferta di vari mesi che lo scorso anno l’ha riportata a casa sua, è tornata nella sua preziosa teca.
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Le immagini di questo posto che ho io negli occhi e nel cuore sono scorci che mi raccontano tempi lontani, in cui le donne sfornavano canascioni e si mangiava l’uva col pane appena fatto. Da bambini, io e i miei cugini giocavamo a indiani e cowboy sul costone sotto gli alberi di fichi e di prugne e la merenda era assicurata senza l’ausilio di microonde o di tostapane.
Di quei giorni oggi non resta moltissimo e, per frenare la corsa del tempo che si trascina via il ricordo di cose e persone, da qualche anno è sorto il "Muro delle Nommera", il Muro dei Nomi, su cui formelle di maiolica dipinta riportano i soprannomi della gente del paese con la loro specialità: lo zi’ prete, l’olivaro, Picchiettino...
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Il mare di casa, mica roba da turisti.
Orgoglio pontino!
Che meraviglia Paola :) mi è sembrato di camminare in quei vicoli con te :)
Grazie! Anche quello che scrivi tu mi piace molto.
Bellissimo post!! Bellissimo posto e bellissime foto...
Ci devo assolutamente andare prima o poi
Felociana che non sei altro! 😘
?
!!
...boh, ...tanto per dire... Per starti vicino. Vicino, vicino...
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