Carpe diem

in #ita7 years ago (edited)
Credo che questa espressione sia nota non solo agli studiosi e agli studenti di Latino, ma un po' tutti l'abbiano sentita almeno una volta nella vita. Intorno al concetto di carpe diem ruota, ad esempio, una delle scene più celebri del film "L'attimo fuggente" (1989). Tralasciamo i danni che nell'immaginario collettivo ha prodotto la pellicola sulla figura dell'insegnante, che se non monta in piedi sui tavoli e non istiga gli alunni al disprezzo delle regole è peggio di una scamorza lessa. Resta pur sempre un film molto noto e molto amato per diversi altri validi motivi ed è anche un raro esempio di come a volte il titolo italiano sia più appropriato dell'originale (in questo caso "Dead Poets Society"). E' infatti proprio la sequenza in questione ad aver prevalso nella scelta:

Come avete visto, la scena si conclude con l'esortazione del professore ai suoi studenti a rendere straordinaria la loro vita, perché l'attimo fugge e prima o poi tutti saremo "concime per i fiori".
Perché parlarne ora a voi? Per due motivi. Intanto perché spesso si sente usato l'invito carpe diem in modo distorto, come fosse la sintesi di quello che a Roma intendiamo dicendo "ogni lassata è persa". E poi perché oggi con i ragazzi della classe d'esame abbiamo studiato proprio il testo di Orazio in cui compare la famosa espressione. E' una delle cose che amo di più, quindi è una delle lezioni in cui mi sento più a mio agio, al punto che non vedo l'ora che arrivi il tempo giusto: puntualmente, ogni anno, i loro occhi si illuminano, nell'aula non si sente un respiro, tutti hanno occhi e orecchie solo per le parole e la musica di Orazio. Non è una poesia lunga, quindi azzardo e ve la propongo, addirittura in versione originale. Azzardo ancora di più e aggiungo gli accenti metrici, così chi volesse può provare l'emozione di leggerla col suo ritmo originario (-'na specie de rap, professore'!-). Leggete solo gli accenti segnati e fate scivolare tutto il resto, come una cantilena...

QUINTO ORAZIO FLACCO, Odi, I, 11

Tù ne quaèsierìs - scìre nefàs -, quèm mihi, quèm tibi
fìnem dì dederìnt, Lèuconoè, nèc Babylònios
tèmptarìs numeròs. ùt meliùs, quìdquid erìt, pati,
sèu plurìs hiemès sèu tribuìt Iùppiter ùltimam,
quaè nunc òppositìs dèbilitàt pùmicibùs mare
Tìrrhenùm: sapiàs, vìna liquès èt spatiò brevi
spèm longàm resecès. Dùm loquimùr, fùgerit ìnvida
aètas: càrpe dièm, quàm minimùm crèdula pòstero.

Tu, Leuconoe, non chiederti - non è concesso saperlo -
quale fine gli dei abbiano riservato a me o a te
e non interrogare le cabale babilonesi.
Quanto è meglio accettare qualsiasi cosa avverrà,
o che Giove ci abbia donato ancora molti inverni,
o che sia l'ultimo questo, che stanca il mare Tirreno
contro l'ostacolo delle scogliere: sii saggia,
mescola il vino e taglia una speranza troppo lunga
da un intervallo di tempo breve. Mentre noi parliamo,
il tempo, invidioso, sarà già fuggito via:
cogli l'attimo, credendo il meno possibile nel domani.

Come è evidente, l'invito a fare della propria vita qualcosa di straordinario non è tra i pensieri del poeta e l'interpretazione del Prof. Keating, Robin Williams, non fa che mantenere il solito fraintendimento del messaggio di Orazio.
Il testo inizia con due imperativi negativi a Leuconoe ("colei che ha una mente bianca, luminosa"): non cercare di sapere che cosa ti riserva la vita, perché porsi queste domande è nefas (parola che indica un divieto religioso, intraducibile in italiano: noi uomini abbiamo dei limiti precisi nei confronti degli dei); poi c'è la metafora dell'inverno come tempo difficile, che sfianca persino il mare che tutto muove; la parte finale contiene gli inviti positivi: la saggezza di essere contenti delle cose piccolissime di ogni giorno, come un bicchiere di vino, e di cogliere dall'albero grande del tempo, che si porta via i nostri giorni, ogni singolo frutto, ogni singolo attimo.
La vita passa senza che noi la sentiamo passare e in quel fugerit sta il genio del poeta: è un futuro anteriore, un tempo verbale che di regola si affianca al futuro semplice, non certo al presente come fa lui qui. E' come se Orazio ci dicesse che mentre noi parliamo - lui e lei ma anche voi e io - il presente si fa passato, ci sfugge, ci smarca e se ne va sulla fascia per segnare in rete e fotterci. E che l'unico modo che abbiamo per difenderci è strappargli la vita goccia a goccia. La sveglia la mattina, il profumo del caffè, il rumore della città, un bicchiere di prosecco col mio uomo, le fusa del mio gatto, la Theresienmesse di Haydn che sto studiando col coro, la mozzarella di bufala di S. Felice, la maratona di cinema tutto un pomeriggio, la cena il mercoledì sera con gli amici, il sorriso azzurro di mio figlio.


Che cosa abbiamo fatto oggi di cui essere contenti? - ho chiesto loro alla fine - Che cosa abbiamo strappato al "tempo invidioso"? Cose straordinarie?
Abbiamo fatto lezione di latino, abbiamo letto Orazio - hanno risposto.
E buttalo via.

Sort:  

l'unico modo che abbiamo per difenderci è trascendere l'immanenza e dare alla vita un senso che va oltre le piccole cose, che si apprezzano quando sono illuminate dalla luce del senso. Io, che conosco Orazio molto meno di te, l'ho sempre intesa come "arrenditi al tempo, non provare a combattere contro di lui, perchè ha già vinto". Ed è in questa resa che, paradossalmente io trovo il senso. Il mio senso è nell'abbandono. La resa è una scelta potente che consente di dare senso al vivere e anche al combattere. Grazie @pataxis per avermi postato Orazio, io lo adoro

Lui era un inquieto. Meno tormentato di Lucrezio, ma la pace non l'aveva trovata, benché ci abbia provato tutta la vita. È vero, l'aetas ha già vinto e lui lo sa, ma i dies, i chicchi di grano, gli acini dell'uva strappati dal tutto che li contiene, sono nostri e se li viviamo in pieno sono la nostra vittoria.

Bel post. Dobbiamo sempre ricordarci della volatilità della vita. Sempre.

Si riesce a goderne più a fondo. Grazie del tuo apprezzamento.

Commovente. Ancora una volta, leggerti mi lascia (letteralmente!) con le lacrime agli occhi...

Grazie, Dob. Hai visto che ci siete anche voi? 😉

Good post ,Upvote hope do same

Bellissimo.
...E quanto vorrei che mi dessero una cattedra di latino e greco!

Te lo auguro, collega. È un mestiere bellissimo.

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