Il confine (by @kork75)
Il confine
“Una nuova ondata di profughi, perché chiamarli pellegrini?”, replicò incollerito Uka. Il guerriero, dopo il solito diverbio con il suo superiore, prese malvolentieri la pergamena con gli ordini: sbatté dietro di sé la porta, montò in sella al suo destriero e a capo di una squadriglia di guardie del regno si diresse verso il nord del paese, come gli era stato ordinato.
La bianca e polverosa strada maestra, se pur percorsa di notte, era illuminata a giorno per via del cielo stellato e del chiarore della grande luna color cobalto; ciò rese il trasferimento una pura formalità per i trenta cavalieri. Il viaggio verso la frontiera durò un’intera notte. Dopo diverse ore di trotto al buio, finalmente le prime luci dell’aurora fecero capolino a est.
Da dietro il profilo scuro dei monti Kurska, visibili in lontananza, apparve davanti ai valorosi guerrieri lo spettacolo dell’alba. L’inizio di un nuovo giorno travolse la vallata e in meno di dieci minuti si passò, man mano che il sole lentamente si levava dall’oscurità, da un azzurro pallido a sfumature di un violetto opaco, fino al giallo più intenso che rischiarò la vasta pianura di fronte ad essi, pregna di rugiada e dell’odore dei campi di grano.
Poco dopo i guerrieri arrivarono alla frontiera. Innanzi a loro, preceduto dal nauseabondo fetore, v’era l’enorme accampamento. In un solo giorno, approfittando della millenaria tradizione dei varchi aperti in occasione della festa della luna blu, oltre tremila pellegrini avevano attraversato il Passo dell’Uva. Trascorsa una sola settimana, la tendopoli improvvisata si riempì nuovamente di raminghi, provenienti dagli angoli più remoti dell’impero.
L’avamposto di frontiera del Passo dell’Uva era uno dei due accessi regolamentati, insieme al porto di Ha, utile alla gestione dell’ingresso degli stranieri nel regno. Ciò che lo aveva reso tristemente famoso, era la difficile percorribilità della via necessaria per giungervi: per poter entrare a Kasiha da quel transito, bisognava infatti attraversare l’arido e pericoloso deserto dei territori centrali.
Appena varcarono l’ingresso del campo, i guerrieri furono accolti dalla guarnigione di turno. Un armigero, sbraitando ai quattro venti, andò incontro al comandante dei cavalieri:
“Finalmente, pensavo che vi foste persi! Sei Uka? Alza l’elmo, fatti riconoscere! Certo che sei Uka… Quell’armatura la distinguerei tra mille guerrieri kasihani...”
Il cavaliere con un balzo scese da cavallo, alzò la visiera e strinse forte la mano al fraterno milite: “Naka, vecchio bastardo, scusa per il ritardo nel darvi il cambio. Attendevamo nuove disposizioni; ordini dall’alto, direttamente dal Gran Zunika”.
Uka portò il destriero alla mangiatoia, poi in compagnia di Naka si diresse all’accampamento militare. Durante il tragitto i due dibatterono a riguardo delle precarie condizioni igieniche del campo e di come fare per prevenire eventuali focolai di peste viola.
“Maledizione senti che tanfo, ma tranquillo, tra un’ora ci avrai già fatto l’abitudine. Questa ormai è una fogna a cielo aperto e il caldo di questi giorni non aiuta. L’acqua potabile è razionata e siamo in costante emergenza sanitaria, quindi, non parlare con me di protocolli non rispettati o peggio di peste viola, lamentati con chi di dovere. Sostituisci Jaka, lui come sempre ha fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità, ma questo non sembra essere mai abbastanza” , disse Naka indicando un gruppo di donne intente a lavare alcuni neonati in un rigagnolo d’acqua putrida.
“Ogni anno la stessa storia. Questo ritardo non ci voleva proprio! Se avessimo rispettato le solite tempistiche, i primi convogli di pellegrini sarebbero partiti per Ka dieci giorni fa. Com’è la situazione? I numeri odierni, intendo” , domandò Uka, fermandosi per slacciare e togliersi la piastra frontale dell’armatura.
“Ieri il passo di frontiera si è di nuovo riempito di profughi: l’ultimo flusso è cominciato intorno a mezzogiorno; in serata avevano attraversato la frontiera già 1500 persone. Si tratta in gran parte di donne, vecchi e bambini che già molte volte in passato hanno raggiunto il confine a piedi. Qui offriamo loro la prima accoglienza, ma non basta, come puoi vedere”, rispose incupito Naka.
Uka indicò un convoglio di pellegrini pronto a partire e replicò: “Comunque stiamo tornando alla normalità, vedo che quel carro è pronto. Appena assumo il comando per me può partire. A bordo noto alcune facce dai lineamenti del popolo del drago... Povera gente, li capisco, chi mai vorrebbe vivere in quell’inferno. A proposito, avete avuto problemi con i loro schiavisti? Sai, ogni anno vengono al passo cercando di impedire che i loro fuggiaschi trovino asilo qui da noi”.
Naka individuò un uomo che se ne stava seduto in fondo al barroccio, con la testa tra le mani:
“Lo vedi quello? È uno dei primi arrivati. Ha riferito che lui e la sua famiglia avevano tentato di lasciare Tlicalhua sette settimane fa, ma giunti nei pressi del confine sono stati costretti dalle nostre guardie di frontiera a tornare indietro. Il Clan dell’Altopiano che dava loro la caccia li ha intercettati: la moglie e il figlio piccolo sono stati trucidati brutalmente, proprio davanti al nostro avamposto. Egli, protetto dai dardi dei nostri soldati, è riuscito miracolosamente a scappare e a nascondersi nel deserto per sfuggire alla spietata caccia degli schiavisti. Ha patito grandi sofferenze in attesa della luna blu, oggi finalmente può salire da uomo libero su un carro diretto a Ka”.
I due guerrieri camminarono in silenzio a capo basso tra i profughi. Giunti nei pressi della capanna di Jaka si salutarono:
“Bene Naka, buon rientro a casa e buona festa della luna”.
“Grazie! Non vedo Sike, dov’è quel figlio di un cane di Ha?”
“Sike si è preso un permesso, dice che doveva tornare a casa per sbrigare alcune faccende personali molto importanti. Fortunato lui che ora si diverte alla festa del mare… Qui, da quello che vedo, ci si diverte poco”, replicò Uka con una smorfia di delusione.
“Vuoi qualcosa di divertente? Fatti raccontare dal capo la fine che ha fatto quello stronzo di Fida”, disse Naka sogghignando, congedandosi dal compagno in armi.
Una volta entrato nella baracca dell’ufficiale di frontiera, Uka salutò militarmente il capo squadriglia e gli consegnò la pergamena con gli ordini. Jaka lesse con attenzione il manoscritto reale e commentò: “Vogliono che intensifichiamo il controllo sugli schiavi fuggiaschi. Inoltre ci chiedono di perseguire e censire tutti coloro sospettati di praticare le arti magiche… Sia schiavi che maghi, devono essere scortati su carri speciali diretti a Ha”.
“In calce c’è il sigillo del Gran Zunika. Alquanto strano che ordini questo tipo di restrizioni... Avete avuto grattacapi con qualche incantatore?” , domandò Uka.
“No, a parte un bambino di circa cinque anni che ha recitato un buffo incantesimo a quell’animale di Fida”.
Versando del mirto nei calici, Jaka raccontò che un paio di giorni prima, durante una perlustrazione all’interno della tendopoli, Fida, un guerriero Kasiha di stazza enorme, uomo rude dal carattere pessimo, aveva redarguito pesantemente un moccioso intento a bere acqua putrida da un secchio. Non avendo ottenuto nessuna attenzione dal bambino, il guerriero gli strappò il secchio dalle mani. In quel momento si accorse che l’acqua che il fanciullo stava bevendo era miracolosamente limpida e cristallina, come quella di fonte.
“Quel moccioso era un maghetto. A quel punto Fida dette un calcio al recipiente e prese in braccio il bambino, ma questi gli mollò una pedata in pieno sterno e con uno scatto felino si liberò dalle sue grinfie, scappando via veloce come il lampo. Quel bestione iracondo lanciò subito l’allarme previsto in casi di stregoneria. Siamo accorsi in cinque sul luogo. Abbiamo cercato per non so quanto tempo quel piccolo demone, fino a quando lo abbiamo trovato nascosto in cima a un albero” , raccontò divertito Jaka.
“L’avete fatto scendere con le buone o con le cattive?”, chiese curioso Uka.
“Fida, da terra si divertiva a punzecchiarlo con l’alabarda. Per un attimo ho pensato che lo volesse sbudellare, era completamente fuori di sé. Imprecava e gli urlava contro di tutto. Dopo diversi tentativi è riuscito a pungergli un piede. Il moccioso ha gridato dal dolore, ha perso l’equilibrio ed è caduto dal fico”.
“Dev’essere stata una scena divertente. Ma il fanciullo si è fatto male?”, commentò Uka.
“Fortunatamente no. Fida ha mollato la picca e con un balzo lo ha afferrato al volo, tra i consensi di noi guerrieri. La parte buffa viene ora. Quello streghetto, ormai tra le braccia del suo carnefice, gli ha tirato forte la lunga barba che, come d’incanto, è diventata viola. Anzi, a tutt’oggi quel bestione ha la barba viola”.
Jaka, con le lacrime agli occhi dalle risate, continuò il racconto dicendo che più volte Fida aveva tentato di radersi la disdicevole barba, ma questa ricresceva sempre più lunga e più viola di prima. Inoltre, per la disgrazia del rude guerriero, il bambino era un maghetto alle prime armi, e perciò non aveva idea di come spezzare l’incantesimo. Per questo motivo, ricevette da Fida una sonora dose di bastonate.
“Ora dov’è questo spiritello inquieto?” , domandò Uka rigirando tra le mani la pergamena con i nuovi ordini.
“Non è più qui. Fida ha uno zio che molte lune fa, quando era ancora consentito farlo, ha studiato arti magiche a Salandria. Crede che egli sia in grado di spezzare il sortilegio. Proprio l’altro ieri gli ho firmato un permesso speciale: di buon’ora ha legato il maghetto in groppa all’asino e sono andati a sud. Ovviamente non sapevo niente di queste nuove regole restrittive nei confronti dei maghi”, rispose Jaka.
“Tranquillo, non vedo niente di pericoloso in un bambino dilettante incantatore e in un omone manesco di quasi due metri con la barba viola”, replicò Uka con tono sarcastico, sistemando il suo bagaglio sulla branda appena lasciata libera da Jaka.
I due si salutarono e mentre lo smontante di servizio stava uscendo dalla baracca, Uka gli fece un’ultima domanda: “Come sta tuo fratello? Mi hanno detto che è uscito di prigione e che ora è famoso”.
“Gastka, dici? Sta bene. L’ho visto una decina di giorni fa, era in procinto di partire per Ha. Pensa, terrà un concerto gratuito in occasione della festa del mare”.
“Nella città del Gran Zunika… Se li cerca proprio i guai”, commentò sorpreso Uka.
“L’opera si chiama “Il linguaggio romantico”. Penso che farà tremare i polsi a quel vecchio sacerdote bacchettone, d'altronde lo sai che mio fratello è sempre stata una testa calda di larghe vedute libertine. Ora vado che ho un convoglio di pellegrini da guidare fino a Si. Buona fortuna e buona festa della luna”.
Continua...
La Luna Verde di Smeraldia by @itegoarcanadei
Cap. 1: Nella foresta della Dea
Cap.2: Sesso, Chiarore,Consolamentum
La Luna Rossa di Tlicalhua by @gianluccio
Cap. 1: Il Colpo
Cap. 2: La prigionia
Cap. 3: L'accordo
La Luna Blu di Kasiha by @kork75
Cap. 1: Un anno prima...
Cap. 2: L'osteria il corallo blu
La Luna bianca di Alfhild by @acquarius30
Cap. 1: Concentrazione e addestramento
Il regno di Kasiha si ritrova ad affrontare problemi molto attuali... Beh, magia a parte 😁 complimenti @kork75!
Grazie per i complimenti 😁👍...
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Tutti vogliono andare a Kasiha, si fa la pacchia! 🔵
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