Storia di una fotografia #1: parliamo di street photography
Dislaimer: sconsiglio la lettura e la visione dell'immagine sottostante ai deboli di cuore. Il contenuto visuale proposto è raccapricciante e può urtare la vostra sensibilità estetica. Considerata l'ora tarda, nel caso voleste avventurarvi, suggerisco la lettura domattina per non disturbare le vostre ore di sonno.
Se c'è una cosa in campo in fotografico in cui sono veramente, ma veramente un cane è la street photography. E' un genere fotografico magnifico, pieno di autori già famosi o sconosciuti che hanno proposto e continuano a proporre contenuti fanstatici che generano negli animi degli altri fotografi due emozioni contrapposte: da un lato ti fanno riflettere se non sia il caso di prendere la fotocamera ed appenderla al proverbiale chiodo. Dall'altro ti fanno desiderare di migliorare, capire cosa fanno, come lo fanno, perché lo fanno. E' un genere, più di altri generi, che spinge l'osservatore, motivato, ad indagare tanto l'aspetto tecnico quanto l'aspetto morale dell'autore.
Ed è un genere, anche in questo caso più di altri, che, molto meno pesantemente dipendente dall'aspetto strumentale, o si sa fare o non si sa fare, intendendo che non si possono sollevare giustificazioni e scusanti relative ai limiti della propria attrezzatura per attenuare il moto di riluttanza che la nostra vergognosa foto genera nello stomaco dell'osservatore.
Se sai fare street, certo con le dovute modifiche al proprio stile, lo sai fare con qualunque strumento, che sia una fotocamera usa e getta, un telefono, una reflex ingombrante o una compatta.
Questo perché la street esce fuori dalla mente e dall'anima del fotografo, e forse proprio per questo è un genere dannatamente difficile con cui misurarsi.
I risultati dei miei approcci alla street photography sono stati, nel tempo, assolutamente disastrosi e, letteralmente, tragicomici.
Ho cominciato ad interessarmi alla street quando ha iniziato a diventare sempre più pressante la necessità di comprendere cosa fosse la fotografia, come si facesse fotografia e, soprattutto, perché si facesse fotografia.
Andai ad una mostra di Sebastiao Salgado a Lucca e rimasi letteralmente attonito di fronte alle immagini che erano esposte.
Bianchi e neri composti in modo annichilente. La capacità di unire un occhio fulmineo al gusto estetico di Salgado mi provoca tutt'oggi soggezione.
In concomitanza con la mostra di Sebastiao Salgado a Lucca era presente anche la mostra dei vincitori del World Press Photo, principalmente improntata alla fotografia di reportage. Molte di quelle foto sono ancora ben presenti ai miei occhi.
Quello che notavo principalmente di differente rispetto alle foto che avevo fatto fino a quel momento (parliamo di fotografia "alla Instagram", era il tempo in cui ero veramente fomentato su quella piattaforma e macinavo numeri su numeri convinto di fare foto che spaccassero) era come non apparisse una ferrea ricerca della perfezione. La perfezione, quella che al tempo reputavo perfezione, non era altro che l'applicazione di una corrente estetica (alla Instagram appunto) fatta di immagini simmetriche, di linee verticali e orizzontali, di orizzonti che incidevano alla perfezione un terzo o due terzi del frame. Il risultato, che ancora oggi continuiamo a vedere diffondersi massivamente, era, ed è, la depersonilizzazione del proprio lavoro. Quando, col passare del tempo, con lo studio, con l'osservazione, con anche dei cambiamenti interiori avvenuti, ho iniziato a vedere cosa realmente Instagram mi stava facendo fare ho, letteralmente, cancellato il mio profilo e i suoi circa 20mila follower, una sera all'improvviso. Ricordo che ero rimasto in ufficio dopo il lavoro a guardare reportage e interviste di veri fotografi. Ho guardato la mia galleria, ho ripercorso la cronologia della mie immagini, la loro evoluzione, e sono rimasto disgustato. Mi sono chiesto come stessi perdendo tempo e ho cancellato il profilo.
Nella quinta parte di questa serie di articoli ne parlerò, ma anche mettendo alcune delle immagini del tempo non saprò spiegare quanto mi sarei potuto evolvere diversamente come fotografo e quanto tempo abbia buttato via dietro a quel network e sulla sua corrente estetica.
Guardando le foto di quei mostri presenti al World Press e di Salgado ho visto qualcosa di totalmente differente. Le foto prendevano vita, l'occhio era letteralmente risucchiato da una parte all'altra di ogni singola immagine esposta. Linee oblique, prospettive laterali o inclinate, soggetti su più piani, schemi di colori, ombre volumetriche, di tutto. Ho subito uno shock visivo arrivando a quella mostra da fotografo non fotografo convinto dei suoi mezzi fondati sull'ignoranza della storia della fotografia.
Ho cominciato quindi a guardare i lavori non di qualche altro "collega" fotografo farlocco barra influencer di Instagram che faceva foto uguali alle mie e a quelle di molti altri dove l'unico pregio era quello di una decente fattura tecnica e dove si pagava pegno alla propria evoluzione in cambo di sponsorizzazioni a colpi di like ma ai lavori di chi, fotografo, lo era veramente.
Ci sarà anche qualche legame tra il rispetto che attribuiamo ad un'arte ed il modo in cui essa la buttiamo in pasto ai social. Difficilmente chi produce materiale che vale è un fomentato di social, forse perché, in realtà, chi produce materiale che vale la pena di esser mostrato non perde tempo a pigiare come un babbuino cuoricini a destra e a manca.
Ovviamente mi sono dilungato eccessivamente con questa specie di prefazione, veniamo alla street, purtroppo per voi, e per me.
Chiaramente il senso di questi è articoli è quello di generare spunti di riflessione in chi mi legge, riporcerrere i miei passi per riflettere a mia volta e condividere dei punti di vista con chi, come me, è appassionato di fotografia.
L'osservazione di quei lavori mi ha spinto a provarci a mia volta, impulsivamente, senza prima essermi neanche posto il problema di capire cosa, intrinsecamente, fossero quelle foto.
Sembrava tutto estremamente semplice ed immediato: camminare per strada, puntare, scattare.
Un fine settimana mi svegliai, feci colazione, salii in macchina ed andai a Viareggio. Da qua in poi la narrazione potrebbe diventare comica perché in effetti è stato tutto molto comico e ripensandoci tutt'ora rido, il risultato non è stato invece per niente comico ma vomitevole.
Parcheggiata la macchina, un po' distante dal centro per avere più strada da fare a piedi con la fotocamera, perché non si sa mai cosa puoi trovare da fotografare, mi avviai verso il mercato, il luogo che avevo scelto come personale battesimo del fuoco per la street photography.
Camminai lungamente guardandomi intorno, controllando e ricontrollando che la fotocamera fosse accesa, che il tappo non fosse montato sulla lente, che le impostazioni fossero adeguate alle condizioni di luce per fornirmi un'opportuna velocità di scatto.
Arrivai al mercato, e nonostante avessi guardato l'ambiente circostante per tutta la camminata e aver girato tutti i banchi, le logge, le vie intorno, ancora di foto non ne avevo scattata neanche una. Ero sostanzialmente cieco. Mi guardavo intorno ma non vedevo niente, non capivo niente, non sapevo cosa fare. Era come avere un muro di geroglifici davanti senza avere la minima nozione per trovare almeno un punto da cui iniziare a decifrare quello che ci stava scritto sopra.
Mi allontanai dal mercato, infastidito e frustrato e mi diressi verso il molo.
Decisi nuovamente di allungare la strada sperando di trovare l'attimo da fotografare e passai lungo alcune vie secondarie iniziando a zig-zagare e a fare avanti e indietro prima di raggiungere il quartiere della darsena.
(sto viaggiando nel furgone nel frattempo e alla radio hanno appena messo su Thriller, assolutamente calzante con la fase di caccia che stavo vivendo)
Nel mio percorso totalmente sconclusionato mi sarei a breve imbattuto con il mio soggetto, anzi, mi sarei letteralmente sfracellato contro il muro del fallimento senza appello.
Non so per quale motivo, quale processo mentale si era innestato sventuratamente nel mio cervello evidentemente bacato, ma vidi questa anziana signora col cappotto nero camminare verso di me e dicisi che dovevo fare una foto, e che avrei fotografato lei.
Mi avviai verso la sua direzione e dentro di me mi sentivo già tremendamente in colpa. Le avrei fatto una foto e me ne sarei andato senza dirle niente. L'avrei derubata di una sua immagine.
Questo pensiero mi incuteva disagio sebbene, paradossalmente, nostre immagini vengano catturate continuamente in ogni dove ed in ogni momento della nostra vita.
Mi sentivo comunque, in quel momento, un ladro rammaricato per il furto che stava per attuare.
Camminavo guardando verso i palazzi alla mia sinistra che non avevano assolutamente niente di interessante per cui essere guardati per dissimulare il mio interesse e tenevo la fotocamera in basso, alla mia mano destra collegata ad un braccio che in quel momento sembrava ingessato talmente poco si muoveva. Stavo camminando guardando in alto a sinistra e con il braccio destro immobile lungo il mio fianco.
Quando me la trovai ad una decina di metri realizzai che stava arrivando il momento di agire, mi voltai verso di lei per capire dove si trovasse rispetto a me, mi voltai nuovamente verso i palazzi allungando e torcendo ancora di più il collo in modo totalmente innaturale e sempre con la fotocamera attacca ad un braccio in necrosi inclinai leggermente il polso verso l'alto e
Rimasi shockato dal bang sonoro dell'otturatore, mi sembrava di aver sparato un colpo secco di fucile nel silenzio delle sponde di un lago.
Accellerai istantaneamente il passo agitando in modo disarticolato quella specie di protesi che mi trovavo attaccata alla spalla e col cuore in gola mi andai a nascondere in qualche vietta sconvolto da quello che avevo fatto. E se sono in grado di richiamare minuziosamente tante sensazioni di quei brevi frangenti è perché, per me, sono stati realmente traumatici avendo subito la tipica dilatazione ed improvvisa compressione della percezione del tempo.
Non guardai cosa avevo scattato fino a quando non sentii di essermi allontanato adeguatamente dall'epicentro del sisma, poi premetti il pulsante review e rimasi, quantomeno, interdetto.
Capii subito che quella foto faceva schifo, che non aveva il minimo senso, ma iniziai a capire anche molte altre cose.
Ho iniziato a capire quanto la fotografia sia fatta soprattutto dalla mente. Ed ho capito quindi perché, prima di decidere di cancellare il mio profilo Instagram, le mie foto, paradossalmente, funzionassero nell'ambiente in cui le proponevo. Non era la mia mente a fare le foto. La mia mente era semmai assente e veniva sostituita dall'ombra delle menti di altri portandomi a fare ciò che loro avrebbero fatto. E fare qualcosa che ottiene già un notevole riscontro ti porta sulla stessa strada del riscontro. Quel riscontro ti da l'idea che ciò che stai facendo funzioni e che la strada sia quella giusta quando in realtà quel riscontro si concretizza perché stai proponendo ciò che le persone a cui lo proponi vogliono vedere, con il difetto di, a quel tempo, non averne la consapevolezza, cultura e furbizia di chi lo fa volutamente. Non si trattava quindi di essere un manipolatore quanto di essere un clone.
Ho capito che oltre alla mente, il fotografo scatta con l'impudenza, l'arroganza ed il coraggio di chi sta facendo ciò che ritiene di dover assolutamente fare, come una missione di vita.
Ho capito che il fotografo sa prima di scattare cosa vuole scattare. Perchè è arte che nasce dalla mente, e plasma la materia circostante per essere rappresentata.
Ho capito che non sarò forse mai un fotografo di strada, ma che questo è solo uno dei tanti modi per creare fotografia, uno dei tanti modi anzi di utilizzare la fotografia per mostrare la propria anima.
L'ho capito sparando una fucilata a salve in faccia ad una anziana signora che con tutta probabilità non ha visto niente altro che un tipo strano camminare verso di lei per poi scappare via.
la fucilata
😂😂😂 mi hai fatto assolutamente ridere come una pazza! Hai descritto in maniera impeccabile tutti i singoli momenti rendendomi partecipe di questo tremendo reato! 😄
Eh, ci rido pure io, oggi! Grazie 😄
BAM!