"Con la mia piccola Miotì"

in #ita5 years ago (edited)

Ho conosciuto Melinda alcuni anni fa, in occasione di una cena tra donne impegnate nelle professioni.
Eravamo medici, avvocati, commercialiste, ed anche una giornalista, ma lei era l’unica docente universitaria presente e di una materia molto particolare : cultura giapponese all’università di Firenze.
Le chiesi come si fosse appassionata a questa materia, piuttosto insolita, specialmente per donne nate, come noi, negli anni ’50.
Lei non si fece pregare ed iniziò a raccontare.
Tutto era iniziato con una canzoncina, quando aveva cinque anni appena. Sua sorella Goliarda, tredicenne all’epoca, era una pianista piuttosto brava e le piaceva insegnare a Melinda i rudimenti della musica.
Così lei, in ammirazione totale per la sorella maggiore, oltre alla scala do- re – mi – fa -sol – la -si-do e ritorno, aveva imparato due motivetti, “La storiella della nonna” e “Miotì”.
La prima era una sorta di Cappuccetto Rosso edulcorato, mentre la seconda era una canzoncina giapponese per bambini, dalla melodia orecchiabile e dal testo semplice:

“Verde e bel sentiero, a scuola porti tu,
con la mia piccola Miotì percorriam.
Borsa in spalla andiam cantando con vigor :
verde e bel sentiero…”.>

La canzoncina, nel piccolo album che conteneva testo e musica, era accompagnata da deliziose illustrazioni, due bambini, maschio e femmina, che andavano a scuola in mezzo a fiori e alberi suggestivi, mentre da un lato si evidenziava l’ingresso di un tempio shintoista.
Questo glielo aveva detto la mamma, insegnante di italiano e molto colta.
“Vedi, tesoro, questa porta così particolare e strana è l’ingresso a un tempio”
“Cos’è un tempio?”
“Un po’ come una chiesa, ma i giapponesi hanno una religione diversa dalla nostra, si chiama shintoismo”
“E non c’è Gesù?” aveva chiesto la bambina, sorpresa.
“No, Melinda. Hanno tanti dei”
Si era inserita nella conversazione Goliarda, già in terza media: “Gli dei? Ma sono come quelli dell’Olimpo, Giove, Marte, Venere…”
“No, no – aveva replicato la mamma ridendo – per gli shintoisti gli dei sonodovunque, il mondo, la natura, ma anche gli oggetti inanimati, tutto è sede del divino”
Melinda non aveva capito molto, però, era davvero rimasta affascinata da ciò che sua madre aveva detto.
E, crescendo, si era sempre sentita attratta dal Giappone, dalle sue tradizioni e da questa religione così particolare che, scoprì in seguito, era caratterizzata dai kami, multiformi e numerose divinità che sembravano essere dovunque.
Goliarda continuò a studiare pianoforte, in seguito, e frequentò il conservatorio.
Melinda, invece, pur continuando gli studi musicali fino ai diciotto anni, si dedicò alle materie umanistiche e alle lingue, tanto che, dopo il liceo, si iscrisse alla facoltà di Lingue Orientali a Napoli, con l’indirizzo specifico di Lingua e letteratura giapponese.
Erano i primi anni ’70, ancora non esistevano progetti Erasmus, ma Melinda, a ventidue anni, ottenne dai genitori il permesso (e il finanziamento) per un viaggio di studio di tre mesi in Giappone.
D’altra parte, era indispensabile esercitare la lingua e l’università stessa aveva riferimenti a cui rivolgersi.
Partirono in tre, lei e due sue compagne di studi.
Ma la politica dei docenti era di dividere gli studenti, affinchè non parlassero in italiano, ma esclusivamente giapponese.
Così, le ragazze furono divise. Una fu destinata a Tokio, un’altra a Osaka, mentre Melinda si trovò a vivere la sua esperienza a Kyoto, la città dai mille templi.
Era l’estate del 1974.
Melinda aveva sostenuto a fine luglio l’ultimo esame e subito dopo era partita per ritornare a novembre, all’inizio dell’anno accademico.
Improvvisamente si era trovata in un mondo nuovo e diverso.
Parlare giapponese era molto più difficile di quanto avesse pensato.
Per fortuna poteva aiutarsi con l’inglese, che, a differenza di ciò che accadeva in Italia, era lingua parlata diffusamente.
Fu comunque un’esperienza indimenticabile.
Era il viaggio nella sua “terra promessa”, il primo di molti altri. Ma la differenza non fu solo in questo.
Una mattina di ottobre, verso la fine del suo periodo di soggiorno in terra nipponica, accadde qualcosa di veramente insolito.
Melinda, libera da impegni di studio ed ormai abbastanza padrona della lingua, decise di recarsi in un tempio che l’aveva molto colpita, perchè somigliava alle illustrazioni dell'album della sua infanzia. Particolare era il color vinaccia della porta, in un piacevole contrasto con il resto dell’edificio, verde-azzurro.
Ma la vera particolarità era un’altra : il tempio era stato costruito su un ruscello, in mezzo a una ricca vegetazione, e il corso d’acqua scorreva al suo interno, discendendo fino all’uscita posteriore per poi gettarsi sul pendio abbastanza ripido di una collina.
Quel mattino, Melinda si sentiva particolarmente in sintonia con gli spiriti del luogo. Le sembrava che davvero le piante e i fiori, nonché le stesse passerelle presenti nel tempio, fossero in qualche modo animate. Le innumerevoli divinità shintoiste erano immanenti, presenti, così diverse dalla trascendenza della chiesa cattolica, ma, al tempo stesso, caratterizzate da una suggestiva e pacifica spiritualità.
Quel mattino non c’era nessuno.
Non era un luogo particolarmente frequentato e a lei piaceva essere sola. Già per natura era piuttosto riservata. Quella atmosfera, poi, la rendeva ancora più incline alla contemplazione.
Mentre percorreva la stretta passerella sul torrente, il legno sotto i suoi piedi si ruppe e lei precipitò nell’acqua che scorreva piuttosto vorticosa in quel punto.
Lei scivolò senza riuscire ad aggrapparsi a nulla, in preda al panico.
Battè la testa contro un sasso che emergeva dall’acqua e perse i sensi.
Quando si svegliò, era sdraiata sulla riva del torrente, appena fuori dal tempio e accanto a lei c’era una bambina di circa sei anni, giapponese.
“Ciao” le disse, un po’ sorpresa che una bambina così piccola fosse lì da sola. “Come ti chiami?”
“Miotì” rispose lei.
“Ma sei qui da sola?” Era sorpresa Melinda per la strana coincidenza, la piccola si chiamava come una dei protagonisti di quella canzoncina da cui era originata la sua passione per il Giappone.
“No – rispose Miotì – c’è anche mio fratello, questo è il sentiero per la scuola”
Melinda non riuscì a trattenersi e prese a cantare in italiano.

“Verde e bel sentiero, a scuola porti tu,
con al mia piccola Miotì percorriam”<

La bambina continuò il motivo in giapponese insieme a un bambino poco più grande, giunto poco dopo di lei, evidentemente suo fratello.
“Noi ti conosciamo” disse il ragazzino “Ti conosciamo da quando eri piccola come noi e suonavi il pianoforte. Ti abbiamo aspettato tutti questi anni”
In quel mentre, l’acqua del ruscello, prese ad organizzarsi e dette origina ad una ragazza bellissima, con la pelle trasparente e lo sguardo dolce.
Melinda guardava sorpresa, ma non spaventata, ciò che stava accadendo.
Anche gli alberi, nel loro frusciare di foglie, avevano preso a parlare e a darle il benvenuto, i rami si inchinavano alla giovane, ma, soprattutto, rendevano omaggio alla fanciulla- acqua.
Il tempio si era animato. Melinda sentiva un forte dolore alla testa e ad una gamba, ma non era preoccupata.
Si sentiva assistita dai kami, gli dei del luogo la stavano soccorrendo.
La musica dolce della canzone di Miotì si diffondeva ovunque, in tonalità varie. Sembrava che tutti cantassero insieme a lei e alla bambina.
Poi, dalle acque del torrente, oltre alla ragazza, si materializzò un giovane uomo e, mentre le fronde e le siepi ripetevano il motivo tanto caro, la prese tra le braccia e, attraversando un piccolo bosco, la portò fuori dalla zona del tempio, posandola dolcemente su una panchina di legno.
Miotì continuava a starle vicino e a cantarle dolcemente il suo motivo, carezzandole la mano.
Il ricordo successivo di Melinda era in un letto di ospedale, a Kyoto.
L’avevano ritrovata svenuta sulla panchina di legno.
Il medico non riusciva a capire come avesse fatto a percorrere i due chilometri dal tempio al luogo del ritrovamento, dato che aveva avuto un trauma cranico piuttosto serio, ma, soprattutto, aveva riportato una frattura scomposta del malleolo destro.
“Ora – aggiunse Melinda – ognuna di voi si farà un’opinione. La maggior parte concorderà con l’ ipotesi razionale, ovvero che, anche se non ricordo, sono riuscita a camminare pur con la gamba rotta.
Altre penseranno che qualcuno, magari un passante, mi ha portato in salvo e poi se n’è andato.
E forse nessuna crederà che siano stati tanti piccoli dei a proteggermi e a salvarmi.
In fondo non so neppure io quale sia la verità, però quell’antico motivo è diventato il mio talismano :
Verde e bel sentiero, a scuola porti tu, con la mia piccola Miotì percorriam…”

FINE

Con questo racconto partecipo a Theneverendingcontest n.10

CCO Creative Commons
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Una storia coinvolgente ed interessante. Abbiamo tutti bisogno di un po' più di magia nelle nostre vite.

sì, infatti i miei racconti si ispirano al realismo magico. Realtà, sì, ma con un pizzico di magia

Un po' alla Murakami, insomma!

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Come sempre, d’altra parte.

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