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in #writing5 years ago

Con questo post partecipo, fuori concorso, all'episodio settimanale del neverendingcontest di @spi-storychain a tema Fuga con ambientazione una trincea della prima guerra mondiale.


Non riuscirò mai a tornare vivo a casa.

Ricordo ancora il giorno in cui decisi di arruolarmi. Uno dei pochi volontari del mio piccolo paese in provincia di Ferrara. Eravamo tutti carichi di sentimenti patriottici ma in pochi decidemmo di partire per il fronte di nostra sponte. La guerra era alle porte e per molti era solo una parola vuota che avevamo letto da qualche parte o udito dai racconti dei più anziani.

Nessun racconto per quanto cruento si avvicinò minimamente a quello che io avrei vissuto in prima persona durante la mia esperienza sul campo.

Quando la testa di un tuo compagno, amico ti esplode davanti o quando vedi saltare in aria corpi deflagrati da ordigni rudimentali posti tra te e la terra, non riesci a pensare ad altro che a quando sarai tu a saltare, a quando sarà la tua testa ad essere trapassata da un colpo di fucile.

Ho pensato tante volte alla fuga, alla diserzione, all'obiezione di coscienza.

Non ho mai avuto il coraggio di farlo, di abbandonare altri giovani, altri padri, altri fratelli, altri figli a combattere per me.

Nulla ti unisce più della guerra. Se hai vissuto in trincea con altre persone quelle saranno automaticamente fratelli di sangue e nel sangue, per tutta la vita.

Nessun dubbio su questo. Anche la più grande testa di minchia diverrà tuo fratello. A lui hai affidato la tua stessa vita e lui ha affidato la tua, più e più volte, senza soluzione di continuità.

In molti son tornati a casa, chi senza una gamba, chi senza più udito o con gli occhi devastati da detriti. Altri han fatto ritorno precocemente ma dentro una bara di legno.

Ho sempre sperato che a guerra finita sarei tornato a casa sorridente e trionfante, accolto da una folla urlante inneggiante il mio nome.

Immagine priva di diritti di copyright

Durante quei 18 mesi dovetti cambiare idea radicalmente. L'unico pensiero che mi sfiorava continuamente era quello di tornare a casa tutto intero, senza essere "protetto" da una bara di legno. Non mi interessavano più le urla della folla festante, non mi interessavano più le targhette e le medaglie in mio onore, non mi interessavano più le sorti della guerra. Il paese, il mio paese avrebbe potuto vincere o perdere quella guerra, a me non sarebbe importato minimamente. Non esistono vincitori in guerra, solo morti, distruzione, devastazione psicologica, lutti, madri, mogli e figli in preghiera costante.

Sono qui a raccontare quei momenti.

Sono vivo. A metà.

Il mio cuore non è più lo stesso. La mia mente non è più la stessa. Io non sono più lo stesso.

Ricordo i miei compagni morti al fronte e trascorro molto tempo con quelli che son tornati dimezzati, come me. Senza un arto o con qualche senso in meno o semplicemente con incubi notturni che non ti lasciano dormire in pace neppure una notte.

La violenza è entrata a far parte di me, di noi.

La bottiglia è la nostra amante, moglie, figlia prediletta. E' l'unica che riesce a garantirci un po di sollievo.

La vera guerra adesso la vivono le nostre amanti, mogli e figlie costrette a sopportare tutto cio, costrette a subire i colpi fisici e psicologici di noi reduci.

La guerra è finita.

La guerra è passata.

Dicono cosi.

Non per noi, non per me.

Reduce mai tornato da quella trincea che mi salvò la vita uccidendomi mille volte.

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