Stato di ebbrezza

in #writing5 years ago (edited)

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“Hic! Op! là la là! Cosa credete? Che non riesca a stare dritta? Ce la faccio! Uh!
A momenti perdevo l’equilibrio! Come la Bonarda Jenny che ieri è crollata giù!
E’ andata in mille pezzi con tutto il prezioso liquido sparso. Era tale l’effluvio di Bonarda che a momenti anch’io piombavo giù e anche qualcuna di voi…vi ho visto tremare…Il padrone si è stupito, quando ha visto…ha detto che era un gatto entrato di soppiatto che inseguiva un topo e ha fatto cadere la bottiglia…nessun gatto…Jenny è precipitata perché la sua Bonarda ha incominciato a fermentare e friggere…povera Jenny…era simpatica…mentre cadeva ha gridato cin cin!!”
“Quanto parli Mary Prosecco! Sei proprio frizzante come il tuo vino…stai zitta ogni tanto! Hic!”
“Ecco la burbera Susy Barolo che detta legge e fa l’austera. Hic! Gurp…Voi, signore Barolo, siete proprio il massimo della qualità, ma anche il massimo della aristocrazia paludata… non tutte: tu Francesca Barolo DOC Langhe sei tranquilla e socievole…”
“Grazie Mary Prosecco…hic…ma noi non siamo aristocratiche…è che dobbiamo stare calme, non agitarci troppo…il nostro vino è talmente forte…che potremmo crollare da un momento all’altro…soprattutto quelle barricate in botti di rovere…hic!”
In fondo alla strada c’era una villetta a due piani.
Il proprietario era un amante del vino e aveva una cantina molto fornita.
Ogni tanto scendeva nella cantina dotata di tavolo, sedie, riscaldamento e aria condizionata.
Si sedeva, stappava una buona bottiglia, tagliava qualche fetta di salame e via! Alla salute!

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Non sapeva che quando se ne andava, iniziava la vita segreta delle bottiglie che chiacchieravano.
Le bottiglie di vino erano in continuo stato di ebbrezza, spesso da anni.
E ciascuna aveva il suo modo di vivere questa sbornia cronica: chi aveva la ciucca allegra, chi quella triste. C’era anche qualche bottiglia che diventava aggressiva.
Una notte Giudy Primitivo era riuscita a rotolare sino a Muriel Champagne e l’aveva spinta giù. C’era stato uno scoppio e mille bollicine di dorato vino francese.
“Perché l’hai fatto?!!”
“Scusatemi! È più forte di me! Quella si dava delle arie…scusatemi…”
“Ma quali arie! Le bollicine dello Champagne ti fanno sbiellare! Vai in orbita senza sosta!” le aveva urlato Georgette Dom Perignon.
“Aveva quel sorrisino…”
“Sorrisino?!! Era perduta nei fumi etilici!”
“Non dirmelo…voi non immaginate che fatica a stare al proprio posto, fermo, senza sbottare!”
Parlava con un sussurro Michele Tappo di Sughero.
Tappava Lucia Spumante d’Asti e se avesse parlato troppo forte, poteva fare agitare il vino e ciao!
“L’altro giorno…Gilberto Tappo non ce l’ha più fatta…avete visto, avete sentito che botto. Mi aveva confidato che non resisteva più, voleva andarsene libero. Non riusciva più a fare il tappo…voleva volare…e si è lasciato andare, bum!”
“Ah! Ah! Siete minuscoli voi tappi e microbi voi bottiglie di vino! Pensate a noi. Ebbrezza, torpore, perdizione…è niente in confronto a quello che viviamo noi damigiane…è una bellissima droga, mamma mia, cinquanta litri di Barbaresco…che sballo!
Io vedo volare intorno a me angeli bianchi, fiori armoniosi, calici volanti…piatti di mortadella e di stinco…quando poi mi svuotano per imbottigliare, sento quasi scorrere via la mia linfa vitale…una volta vuota, lavata e pulita…entro in crisi piena…crisi di astinenza…Vino! Vino! Vino!”
“Calmati Damigiana Daria, calmati…dovremo fare qualcosa per te…devi controllarti…io, quando mi svuotano del mio Brunello di Montalcino, cerco di ricordarlo, penso a lui…immagino di scrivergli delle lettere d’amore…immagino poesie…anzi un poema: Il Divino Brunello. Così mi faccio cullare da questa lieve malinconia letteraria. ”
“Tu sei una poetessa cara Damigiana Anna, io non ho risorse interiori…tu sei forte, io sono in balia del mio carattere fragile.”

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“Ehi! Ragazze! Il mio tappo si sta addormentando! Si rammollisce! Sveglia!”
Era Funny Valdobbiadene Cartizze DOCG a chiedere aiuto. Il suo tappo stava per saltar per aria.
Allora, come succedeva sempre in queste occasioni, fu Lady Lambrusco a prendere l’iniziativa e dirigere il coro.
“Su cantiamo!”
Cantavano alla rinfusa, mescolando canti noti e frasi inventate…ma funzionava.
“Mi son alpin me piase el vin, offrì la faccia al vento, la gola al vino, se non bevi il buon vino rimarrai un pulcino, svegliati tappino se no scappa il vino! Come è bello il vino rosso rosso rosso, bianco è il mattino, sono dentro a un fosso! Tappo non dormire, non è ancora il momento di venire!“
Tappo Mario si svegliò e sorrise. “Grazie, ragazze…è che questo Valdobbiadene mi dà proprio alla testa…Funny adorata, non mi addormenterò più…credo…”

“State buone, non ronzate come zanzare…disturbate il mio meditare…in vino veritas…ecco io sto cercando la verità dell’esistenza…mi ricordo quando ero appena stata modellata dalla fabbrica…ero una giovane bottiglia piena di speranze…la vita è così…si apre ad orizzonti di gloria che, mentre si avvicinano, diventano orizzonti meschini…eppure qualche lampo di felicità ti dà l’illusione che tutto possa cambiare…che la vita vada vissuta…”
“Raccontaci ancora dei tuoi viaggi, dei tuoi incontri, delle tue avventure!”
“Va bene care amiche di sventura o di buona ventura, come meglio preferite.”

Era Arianna Nero d’Avola ad essere chiamata a gran voce.
Era la filosofa della compagnia.
Una semplice bottiglia scura che ne aveva passate di ogni sorta.

“Da giovane venni mandata in Veneto e imbottigliata di buon Cabernet, con la mia bella etichetta…vissi poco in quella dimensione. Dopo pochi giorni finii sulla tavola di un matrimonio…lo sposo mi prese per il collo e mi bevve tutta, da solo.
Poi, barcollando, ancora tenendomi in mano, si avventò sulla sua sposa e la colpì alla testa. Io sono forte e robusta. Non mi ruppi…fu la testa della poveretta a rompersi…fra urla e pianti, la sposa morì, mentre lo sposo si gettava giù da una torre.
Venni lavata e pulita. La mia etichetta venne in parte tolta…ne rimase qualche debole traccia, una traccia di passata gloria…ecco cosa succede nella vita…l’entusiasmo si corrode come la mia etichetta…”
“E poi? Dai!”
“ Finalmente arrivai ad una cantina nelle Marche e ospitai un ottimo Verdicchio dei Colli di Jesi. Mi scolò una famiglia intera di giocatori di slot machine…mentre giocavano, mi passavano di bocca in bocca…sino a che fui scolata del tutto…allora il capofamiglia andò all’enoteca più vicina e mi fece riempire di grappa…fu un disastro…si scolarono anche tutta la grappa e si scolarono anche tutti i soldi che avevano e piombarono a terra come piccioni colpiti da proiettili.
Piangevano tutti e di loro non ho più saputo nulla.
Rimasi in piedi fra una slot machine ed un’altra, ad aspettare.
Mi raccolse un bambino che mi portò alla mamma che mi lavò con cura e mi riempì con un eccezionale Frascati e lo offrì al marito, alla sera.
Era un bel quadretto, mamma, papà e figlio…come nel presepe…ma il marito prese una brutta piega…si ubriacò e alzò una sedia contro la moglie…il figlio prontamente mi prese e mi scagliò contro il padre…lo colpii in fronte e lui si addormentò.
Mamma e figlio quella sera scapparono via.
Rimasi sola con l’ubriaco.
Quando si svegliò, si mise a cercare moglie e figlio per le stanze, arrabbiato, infuriato.
Poi la furia si placò e lui si mise a singhiozzare, poi mi prese in braccio e mi cullò come fossi un neonato e mi cantò una ninna nanna siciliana dolcissima.
Siamo rimasti insieme per molto tempo e lo siamo ancora…è il padrone di casa…solitario e silenzioso…mi ha riempito di Nero d’Avola che gli ricorda il suo carattere ombroso e irascibile.”

“Che bella storia!” disse Marion Barbera “Sei una grande narratrice..mi hai fatto venire in mente la storia di nonno Gildo che mi aveva portato sino in Africa. Erano tempi in cui i piemontesi cercavano fortuna anche laggiù, ai primi del novecento.
Nella notte si sentivano i ruggiti delle leonesse e il verso stridente delle iene.
Per farsi coraggio, sul camion, nonno Gildo mandava giù qualche sorso di buon Barbera d’Asti, il vino delle sue terre. Poi si addormentava stringendomi fra le braccia come fossi la sua innamorata. Un giorno però…”

“Allora! Avete finito di berciare! Non si dorme quassù!”
La voce arrivava dalle camere di sopra.
Era una ballerina in porcellana fermata in movimento arabesque.
“Non riesco a dormire. Scusate…”
“Hai ragione…ti servirebbe un goccio del mio Cannonau!”
disse Marta Cannonau.
“E già! Quasi quasi scendo a berne un bel sorso!”
“Dai vieni!”

“Ora si dorme tutti. Basta!”
Brontolò Martino il Tino.
“Fra qualche tempo sarà l’ora della vendemmia e mi riempiranno di uva che fermenterà e verrà mescolata ogni due ore, anche di notte. E allora non potrò più riposare per settimane. Buonanotte e silenzio.”
“E’ così che va la vita: fanno di te quello che vogliono e ti mescolano sempre il cervello.” Sentenziò Arianna Nero d’Avola.
“Alla salute!”
Gridarono in coro bottiglie, tappi, damigiane e botti.
Intanto la ballerina con grande sforzo scendeva dal suo piedistallo e piano piano, danzando arabesque a ripetizione, scivolava in cantina e si avvicinava a Marta Cannonau.
Ma questa è un’altra storia.

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Le foto sono dell'autore

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