La storia avventurosa del deputato Paolino Mircuccio

in #writing5 years ago

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Alla Camera dei Deputati Paolino Mircuccio era conosciuto come l’Incompiuto.
Era stato eletto nelle fila del Partito Democratico.
Uomo di sinistra da sempre, si era fatto le ossa sulle piazze, nelle strade e nei festival dell’Unità facendo delle grigliate storiche e dei risotti mitici.
Forse anche nel ricordo di quelle grigliate, molti l’avevano votato e lui si era trovato via via a ricoprire ruoli sempre più importanti.
Si era battuto per i lavoratori di una fabbrica di bulloni a rischio chiusura, si era battuto contro la chiusura del canile municipale e alla fine si era dedicato alla difesa del buon cibo.
In quel campo era molto apprezzato e grazie a quello era diventato deputato.

Parlava di slow food, di cibi transgenici, di qualità degli allevamenti, di buone cotture.

Arrivato al Parlamento, però la sua verve, la sua grinta si era fermata, annullata dalla potenza dei grandi politici.
Era diventato un agnello in mezzo ad un branco di lupi.
Conosceva già le dinamiche della politica, che aveva assaggiato nella sua piccola città, i giochi di potere, le alleanze, i ricatti.
Ma nel Transatlantico le burrasche erano catastrofiche.

A Montecitorio c’erano pezzi da novanta che quando parlavano potevano atterrire o creare indifferenza abissale o suscitare reazioni violente, con i messi che dovevano intervenire per sedare le aggressioni, a volte ridicole per chi era fuori dalla bagarre.
Molti di questi grandi politici erano genuini e sinceri, certamente, credevano di poter fare qualcosa per la loro nazione, ma quasi tutti poi affondavano nei compromessi o negli obiettivi del voto sopra ogni cosa.

Raramente gli opposti si incontravano per il bene della patria.

Per fortuna la democrazia riusciva, a fatica, ad evitare atti sanguinosi o sommosse cruente, cosa che molti sotto sotto avrebbero voluto, almeno per divertirsi un po’…

Così il nostro Paolino Marcuccio si trovava a seguire il flusso, relegato spesso in un angolino.

Quando prendeva la parola, per affrontare i temi a lui cari, ecco che un Delrio lo appoggiava prendo lui stesso la parola e zittendolo oppure arrivava una Gelmini e interveniva spostando la problematica a suo favore, su altri campi e a volte la stessa Meloni si intrometteva urlando le sue surreali invettive.
Nonostante il presidente della Camera, Fico, cercasse di moderare le interruzioni al discorso del povero Marcuccio, la questione si scioglieva e svaniva, lasciando il nostro con le pive nel sacco e una manciata di nulla fra le mani.

Il Paolino piano piano aveva visto crescere dentro di sé il tarlo dell’invidia, che gli rodeva il cervello e il cuore, lasciando sempre più trucioli nella sua anima.

Invidiava la competenza ironica e irritante di un Brunetta nel campo economico, la capacità dei suoi compagni di partito di tenere banco, l’intelligenza dell'esile Fassino, la lungimiranza un po' spocchiosa di Franceschini, oppure la calma saggia di Bersani di Liberi e Uguali, la fermezza della Boldrini e poi, nelle parti avverse, la veemenza piena di contraddizioni di un Borghi della Lega in difesa dei confini (ma quali confini, quando il mondo si mescola e si muove in tutte le direzioni?), la convinzione costruita e artificiale di una Carfagna e così via.

Insomma riconosceva in loro una personalità (finta o vera che fosse) che si imponeva, al di là dei contenuti e della ideologia politica.

Più volte aveva chiesto al partito un appoggio per la sua immagine, un coach per acquisire quella personalità.
Ma i tempi erano lunghi.

E l’invidia lavorava, graffiandogli lo stomaco e portandolo nei pressi di una bella ulcera.

Doveva arrestare questa discesa agli Inferi.
Così un giorno prese la decisione storica.

Progettò con attenzione ogni cosa e prese accordi con i messi, con le guardie, con lo stesso Fico, il presidente della Camera, l’unico al corrente dell’idea.
Stranamente tutti l’appoggiarono, pregustando la novità destabilizzante.
D’altra parte erano abituati a momenti sconvolgenti e risse mitiche.

Quell’idea avrebbe forse avrebbe messo un piccolo tassello per un’armonia parlamentare di cui il Paese aveva bisogno.

Un’ora prima della seduta, alle 11, 30 del mattino, Paolino Marcuccio prese la parola e annunciò che invitava tutti i deputati nel Cortile d’Onore di Palazzo Montecitorio per una sorpresa, alle ore 13 in punto.
Fico, serio e preciso, informò i deputati che era al corrente dell’evento e l’appoggiava indiscriminatamente.

Poi Paolino si dileguò lasciando l’aula, seguito dagli sguardi preoccupati di un Fassino impallidito (più di quello che già era) e di un Delrio allocchito.

Alle 13 in punto i deputati, curiosi e sorridenti, scesero nel Cortile di Montecitorio.

Si trovarono davanti ad uno spettacolo straordinario.
Paolino Marcuccio aveva allestito, con un esercito di collaboratori, venti griglie fumanti, dislocate qua e là con attenta scenografia.

Accanto alle griglie roventi, c’erano quattro pentoloni bollenti.

Lunghi tavoli ospitavano piatti, posate, tovaglioli di carta ricamati, vassoi di pani.
Sulle griglie cuocevano succolenti tranci di fiorentine, di lombate, di filetti.
Nelle pentole erano pronti i suoi mitici risotti allo zafferano, alla noce moscata, ai frutti di mare. Ricette segrete e altre note.
C’erano le griglie di verdura per i vegetariani.
C’era il settore degli intolleranti.
C’erano le griglie di pesce.
Ogni cosa era stata studiata nei minimi particolari.
I deputati dopo un attimo di stupore, si avventarono sulle vettovaglie senza ritegno, mostrando ancora una volta la loro indole vorace.
Ma erano spensierati e allegri.
I confini erano spezzati, i muri abbattuti…per quella pausa di vita politica.
La Prestigiacomo fece gli occhi dolci a Paolino e, scherzando (forse) lo invitò ad una grigliata intima nella sua casa di campagna.
Gentiloni gli strinse la mano senza dire una parola, in quanto aveva la bocca ingombrata da un pezzo di fiorentina gustosa.
Fassino, mentre sgranocchiava un grissino, gli fece un cenno di assenso.
Bersani, mentre gli colava un po’ di olio sul mento, alzò il braccio sinistro e gli mostrò il pugno chiuso, ridendo.
Martina abbracciò Paolino, con le lacrime agli occhi, mentre condivideva con la Meloni un piatto di salmone grigliato.
La Dieni di Cinque Stelle gli chiese se i cibi erano bio e lui confermò che non era neanche da mettere in dubbio.
Allora lei gli chiese se era già sposato.

Mentre le mandibole lavoravano a ritmo incalzante, fece il suo ingresso un chitarrista che intonò sommessamente tutte canzoni napoletane, partendo da “O sole mio”.
E poi arrivarono danzatori occitani accompagnati da un fisarmonicista provetto.
Al culmine della festa, i musicisti fecero silenzio ed entrò un coro di uomini in giacca scura e donne con lunghi vestiti.
A capo di questo coro c’era il Presidente della Repubblica Mattarella.

Sorridendo, iniziò a cantare in assolo le prime strofe dell’inno d’Italia.
Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta…

Poi lasciò il coro a cantare per conto suo e con passo lesto si appropriò di un bel piatto di risotto allo zafferano, facendo un inchino di assenso a Paolino.

Quello fu il segnale per riprendere l’abbuffata.
E nello stesso istante, Fiano si produceva in un elefantiaco rutto che fece tremare i vetri delle finestre e per un attimo coprì il canto del coro.
Ma non fu considerato come un oltraggio all’inno d’Italia, bensì come un omaggio all’Italia dei cibi e sapori ineguagliabili.
Mircuccio era raggiante, fiero del suo cappello da cuoco, che indossava con invidiabile noncuranza.

Da quel giorno, nell’aula del Parlamento, quando Paolino Marcuccio prendeva la parola, tutti tacevano ascoltandolo con attenzione…con l’acquolina in bocca.

La foto è dell'autore
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Esilerante e surreale...Grande Paolino Mircuccio: il cuoco di Montecitorio. Come sempre un gran racconto! Complimenti! Saluti kork75 😂

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Ehi! Grazie!

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