La Contessa di Giannutri

in #writing6 years ago (edited)

Con questo post partecipo al Contest Theneverendingcontest n.2

Liberamente ispirato a Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas.

Mare scogli.jpg

Era da dieci anni che scavava.
Con cautela, con circospezione. Senza farsi sentire dalle guardie carcerarie.
Non smetteva. La sua forza veniva dal desiderio di vendetta, dal bruciore di quel complotto che l’aveva rinchiusa, innocente.
Il suo sguardo era diventato di ghiaccio, ma dentro c’era il fuoco della volontà possente, della ferocia lacerante.

Eleonore Petrarchés era vissuta a Marsiglia, nel porto, a contatto con marinai, capitani, commercianti di merci provenienti da tutto il mondo, in quel secolo pieno di prospettive, il secolo diciannovesimo.

Suo padre era l’armatore Petrarchés che aveva una flotta di navi e lei aveva fatto e brigato così tanto, che il padre l’aveva fatta imbarcare come ufficiale di bordo, prima donna ad avere un ruolo così “maschio”.
Ma lei conosceva tutto delle vele, del timone, del vento, del mare, delle abitudini marine.

Eleonore, nonostante fosse una splendida giovane dai lineamenti delicati, possedeva una forza strabiliante.
Occhi blu come la profondità del mare, capelli neri come il carbone, muscoli nervosi.

Camminava sulla tolda e poi d’improvviso si arrampicava sull’albero maestro sino in alto, per guardare le tempeste in arrivo, per studiare il volo dei gabbiani, per lasciarsi magari penzolare sotto gli occhi supefatti dei mozzi e dei marinai.

“Brava!!"

I marinai l’adoravano e la rispettavano.
Quando avevano un problema andavano da lei che faceva da mediatrice fra loro e il capitano.

Il capitano Paul Mercedes. Forte, intelligente, esperto, nonostante fosse un giovane comandante.

Il padre di Eleonore aveva fiducia in lui e nella sua lealtà. Per questo aveva scelto la sua nave per Eleonore.
E poi Eleonore e Paul, si conoscevano da tempo e ormai, si sapeva, era nato un grande amore.

Ma sulla tolda della nave il loro amore non influenzava il lavoro.
Anche per questo i marinai li rispettavano.

Eleonore ricordava tutto questo, mentre scavava con quel pezzo di ferro ricavato da una vecchia branda, trovata in un angolo della prigione.
La prigione era in Corsica, nei pressi di Aiaccio.
Una prigione su un alto promontorio, costruita nella roccia, fatta di corridoi, celle, cunicoli, ballatoi, meandri.
Poco distante il mare faceva sentire il suo ruggito.

Eleonore scavava.

Se i suoi calcoli erano giusti, sarebbe arrivata sull’ala nord del carcere, proprio su un camminamento.
E intanto ripercorreva la sua tremenda vicenda, per continuare ad alimentare quell’odio che le dava la forza per resistere in quel luogo di sofferenza e di putridume.
Il capitano Paul Mercedes, il suo Paul, era amato anche da un’altra donna, Fernanda Meillés, che era stata sua compagna di scuola.

Ecco quello che era successo: nel viaggio di ritorno una delle navi di un altro armatore, concorrente del padre di Eleonore, aveva perso il carico per una tempesta e anche la nave era affondata, con la morte di 15 marinai.
Non se ne aveva avuto più traccia, almeno così si pensava.

Ma Fernanda Meillés con l’aiuto di un avvocato e di un delinquente, aveva fatto apparire nella casa di Eleonore, proprio nella sua stanza, delle stoffe, contraffatte abilmente per farle sembrare quelle del carico affondato.
I gendarmi l’avevano arrestata, su soffiata anonima.
Eleonore era stata condannata a vent’anni di reclusione nel Carcere di Aiaccio, anche con la complicità del giudice, amico di Fernanda e con lei colluso.

Eleonore scavava, scavava, rosicchiava il roccia e la terra, come un topo affamato.

Improvvisamente la parete si aprì in un foro.
Eleonore allargò il varco, con molta cautela.

Dannazione!

Era arrivata in un’altra cella!
Aveva fatto male i calcoli!
Quasi si mise a piangere, di rabbia.
Con calma e pazienza, allargò ancora il buco, sino a sgusciare nell’altra cella.
Sul letto di paglia, c’era una figura magra, tremante.
Era la vecchia Suor Maria, una donna condannata cinquant’anni prima per avere ucciso la madre badessa, in uno scatto di ira.
Che fare?
Buon viso a cattiva sorte.

Fra le due donne nacque un ‘amicizia. Incominciarono a conoscersi, a parlarsi, a farsi forza.

Eleonore quando poteva, percorreva il suo cunicolo scavato con tanta pazienza e sbucava fuori per abbracciare la sua nuova unica amica.

Suor Maria le confidò, dopo mesi di chiacchierate, di avere sottratto al convento un grande tesoro lasciato da una fedele, un tesoro che aveva poi nascosto in una grotta nell’isola di Giannutri.
Per questo in realtà aveva ucciso la madre Badessa che aveva scoperto il misfatto.

Era pentita e pregava tutti i giorno da cinquant’anni per farsi perdonare un poco dal buon Dio.

Un anno dopo il loro primo incontro, un giorno arrivò nella cella di Suor Maria e la trovò immobile, con un lieve sorriso sulle labbra.
Suor Maria era morta.

In quel momento scattò qualcosa nel cervello di Eleonore.

D’abitudine i carcerieri, quando moriva qualcuno, lo mettevano in un sacco subito, lo lasciavano nella cella per qualche ora e poi lo portavano nella notte sulla scogliera e lo gettavano nel mare. E amen.

Eleonore si nascose nel cunicolo, occultando il foro.
I carcerieri trovarono Suor Maria e ne scoprirono la morte.
Portarono un sacco e ne misero il povero corpo dentro.
Poi uscirono.

Veloce, Eleonore uscì dal cunicolo, estrasse il corpo dal sacco e lo infilò nel cunicolo, chiudendo bene il buco, non senza prima aver dato un ultimo bacio alla sua cara amica.
Poi si infilò nel sacco e lo chiuse.
Alla sera il sacco fu gettato nell’acqua.
Eleonore, grande nuotatrice, riuscì ad arrivare all’Isola della Maddalena, dove visse, nei primi tempi, di quello che raccoglieva nei campi e nel suo amato mare.

Poi riuscì a trovare lavoro presso un contadino.
Col tempo si mise a lavorare sulle barche dei pescatori e si fece apprezzare per la sua forza e abilità.

E cinque anni dopo, con una sua barca, arrivò all’Isola di Giannutri, l'isola dove Suor Maria aveva nascosto il tesoro preziosissimo.

L’odio non l’aveva mai abbandonata.

Il desiderio di vendetta era sempre stato con lei, a tavola, sulla barca, a letto, quando baciava qualche giovane, quando faceva l’amore senza passione, ma solo per sfogare la sua tensione.
Il desiderio di vendetta le arrossava qualche volta gli occhi blu, le circolava nel sangue, le bruciava in gola come un cognac di scarsa qualità.

Sull’isola di Giannutri trovò la grotta.
In fondo alla grotta, sotto una catasta di legna secca, vecchissima, trovò un grande forziere.
Fece saltare il grosso lucchetto.

Con quella ricchezza avrebbe compiuto la sua vendetta: Fernanda Meliés l’avrebbe pagata col sangue e anche tutti gli altri.

Aprì il forziere.
Alla luce della fiaccola che teneva in mano vide quello che c’era dentro.

Dannazione!
Non c'erano zecchini d’oro, collane di perle, non c'erano anelli di diamante!

C'era solo una piccola scultura, un Madonna che teneva fra le braccia un giovane Cristo morente, come La Pietà di Michelangelo.

Eleonore la prese, la alzò alla luce fioca attraversata da un raggio di luna.
Qualcosa si sciolse nel suo cuore di ghiaccio.

Fu il ghiacciaio che diventa acqua e scende a valle nei mesi caldi dell’anno.
Fu una cascata di acqua fresca.
Eleonore piangeva ora, finalmente piangeva.
Guardò quella Pietà.
Ecco il tesoro di Suor Maria, forse pazza nel compiere quel furto, ma ricca di quel tesoro che per lei era immenso.
E forse era l’eredità che le aveva voluto lasciare.

Il Perdono.

arcobaleno.jpg

Le foto sono di mia proprietà

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Il finale mi ha stupita! Io volevo vedere il sangue della vendetta!!! Però il racconto mi è piaciuto moltissimo, una bella reinterpretazione.

Il finale ha stupito anche me...ah ah...grazie di avermi fatto visita.

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