Doctor Who - Recensione 11ª stagione
Doctor Who?
Dottore CHI?
Questa è la radice di 55 anni di vita della serie TV britannica.
Chi è il Dottore?
La risposta all’eterna domanda l’abbiamo sentita nel bell’episodio speciale di capodanno 2019: “THE DOCTOR IS AN ENEMY OF THE DALEKS” (il Dottore è un nemico dei Dalek, da leggersi con la voce distorta dei nostri amici alieni mutati psicopatici preferiti).
Episodio speciale con un ritmo incalzante, benedetto da una memorabile interpretazione dell’attrice Charlotte Ritchie ("Call the Midwife"), che ci regala una doppia interpretazione credibile e terrificante, riportando i nemici più iconici del Dottore nella serie. Buona anche la partecipazione di Daniel Adegboyega ("Save Me"), che offre un paio di momenti emotivamente coinvolgenti. In questo contesto, anche Jodie Whittaker trova finalmente una collocazione consona al suo Dottore.
Eppure questo episodio finisce per diventare la condanna dell’undicesima stagione, a cui fa seguito.
Perché lo speciale di capodanno ha tutto quello che normalmente ci aspettiamo da Doctor Who, che invece è mancato nell’undicesima stagione.
L’esordio del tredicesimo Dottore è stato segnato da ascolti record, complice l’enfasi sulla prima rigenerazione al femminile del millenario Signore del Tempo, ma, nonostante i magheggi "le letture di share" della BBC per cercare di manipolare i dati medi di ascolto degli episodi, la serie è andata gradualmente perdendo ascolti e consensi di settimana in settimana.
Lo speciale di capodanno ha tutto quello che normalmente ci aspettiamo da "Doctor Who", ma proprio per questo finisce per diventare la condanna dell’undicesima stagione.
Jodie Whittaker, simpatica, si impegna per darci un nuovo Dottore, ma le sue doti recitative non sono sempre all’altezza dei suoi predecessori moderni: personalmente da lei non percepisco altro che ansia e confusione, magari anche per colpa dei diversi registi che la guidano. Inserire saltuariamente espressioni e smorfie chiaramente copiate dal grande David Tennant non fa curriculum, ai miei occhi…
Le manca, a sua discolpa, una valida spalla: "i companion” sono spesso sagome di cartone, inutili e privi di spessore. L’impressione che il cast sia una quasi parodistica tangente al politically correct tanto amato dalla Disney (tanto per citare un esempio eclatante di ipocrisia) è notevole: ragazzo di colore, giovane asiatica in un ruolo di autorità per cui deve continuamente imporsi (nel mondo maschilista delle forze dell’ordine, per lo meno nella concezione degli autori) e maturo uomo europeo, mediato dal matrimonio misto.
Un gruppo talmente forzato da risultare scarsamente credibile, soprattutto nelle motivazioni: si aggregano al Dottore un po’ come lo Spaventapasseri, l’Uomo di Latta ed il Leone Codardo alla Dorothy del Mago di Oz, con motivazioni a malapena infantili. Troppi companion, che non riescono mai a prendere davvero rilievo né a guadagnare un legame affettivo con lo spettatore. Ho raggiunto le lacrime all’addio di Rose sulla spiaggia, oppure quando viene cancellata la memoria a Donna Noble, pianto apertamente nel momento in cui Amy Pond viene definitivamente separata dal Dottore e anche l’addio a Clara Oswald mi ha segnato al punto che rivederla quell’istante nell’ultimo episodio di Natale di Peter Capaldi mi ha stretto il cuore… Ammetto che, se alla fine dell’undicesima stagione fosse scomparso Ryan Siclair, o un altro dei tre comprimari, avrebbe avuto su di me lo stesso impatto dello spostamento di un auto parcheggiata sullo sfondo.
Le doti recitative di Jodie Whittaker non sono all’altezza dei suoi predecessori moderni.
Questo approfondimento mi costringe ad un ulteriore passo: perché i personaggi mi hanno coinvolto così poco questa volta?
Mi aiuta Chris Claremont, che pubblica una personale recensione sull’episodio di capodanno e sul tenore dell’undicesima stagione a caldo: esprime tutta la sua delusione per la mancanza del pepe e della magia che hanno sempre fatto di Doctor Who una serie superiore alla media. Pessimi script e sceneggiature blande pesano su tutta l’undicesima stagione (con l’eccezione, per me, del settimo episodio, “Kerblam!”, in cui si intravvede un po’ di vero Doctor Who): anche io avevo la stessa impressione, ma se me lo conferma il padre degli X-men moderni, che di scrivere storie ne sa parecchio, allora penso di avere colto nel segno.
Chibnall ha realizzato una stagione debole e indifferente, condizionata da numerose scelte che il gradimento avuto dall’episodio di capodanno enfatizzano: la mancanza di quei classici antagonisti che da sempre finiscono per definire il Dottore e le sue scelte (cos’è Peter Pan senza Capitan Uncino?), trame che più che essere pensate per ragazzini sembrano scritte da ragazzini di 8 anni, riflettori che continuano a spostarsi tra i personaggi senza, alla fine, illuminare degnamente nessuno.
Quali e quante di queste scelte siano farina del sacco di Chibnall e quali delle richieste imposte dalla BBC (che si ostina a tarpare le ali di un grande serial per costringerlo nei limiti della fascia ragazzi) lo ignoriamo. Tuttavia, il recente annuncio che nella posticipata (sigh) dodicesima stagione avremo il ritorno di nemici storici del Dottore ci fanno sperare che l’errore sia stato (segretamente, ovvio) riconosciuto e che si voglia correggere la rotta.
Perché amare Doctor Who non significa farsi andare bene qualsiasi cosa, ma pretendere il massimo da chi lavora per il nostro personaggio preferito e l’episodio speciale di capodanno ci ha mostrato che fare meglio dell’undicesima stagione si può!
Io ci conto.
The War Doctor