Green Book: l'on the road che fa riflettere
La corsa agli Oscar 2019 è più che mai incerta quest'anno. Nella confusione generale uno degli outsider da tenere d'occhio è sicuramente "Green Book" a cura di Peter Farrely.
Fa specie che a firmare uno dei film migliori dell'anno sia un regista noto ai più per la sua firma su una delle piccole più demenziali e di successo degli ultimi 30 anni come "Scemo + Scemo".
Farrely, pur mantenendo un registro decisamente leggero, sposta il mirino su una storia molto più complessa, raccontandoci l'America bigotta e razzista degli anni '60 attraverso un on the road movie tanto classico quanto riuscito.
Green Book è un film la cui sceneggiatura risulta essere molto prevedibile, ma questo è davvero l'unico difetto, se di difetto si può parlare, dell'opera.
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La vicenda narrata è tratta da una storia vera e prende spunto dalla strana e imprevedibile amicizia che strinsero 2 personaggi che più diversi non sarebbero potuti essere. Il primo era un dotto e compito musicista afroamericano, Don, il secondo un vissuto azzeccagarbugli italoamericano tutto cibo e strada, Tony.
Le loro strade si incrociarono quando Tony perse momentaneamente il suo lavoro da buttafuori al "Copa" di New York causa chiusura del locale mentre Don era alla ricerca di un'autista che lo accompagnasse in giro per il pericoloso, per un uomo di colore, sud degli Stati Uniti per una tournee. Più che un'autista il musicista era a caccia di un uomo dai mille talenti che riuscisse a salvaguardare gli interessi del trio musicale e al tempo stesso impedire che il razzismo potesse pregiudicare la tourneè e la propria dignità.
2 uomini diametralmente opposti dicevamo eppure è proprio da chi meno te lo aspetti, quando meno te lo aspetti che si può trovare qualcosa di unico e speciale, una tolleranza, un'umanità che non sempre si manifesta nelle cosidette elitè. Tema attualissimo insomma, quello della tolleranza e dell'integrazione, che sullo sfondo di quella America e grazie a quella amicizia improbabile trova compimento con coraggio e disinvoltura.
Il titolo del film è tratto da una realtà incredibile e sconcertante di quegli anni. Era stato pubblicato un libro, una guida denominata appunto Green Book, all'interno della quale era possibile consultare tutti i locali e gli hotel che accettavano "Negros". Il solo fatto che esistesse una guida del genere rende perfettamente l'idea di quanto indietro fosse l'America in tema di pari opportunità e diritti civili.
Il film fluisce tra una battuta e l'altra, smorzando efficacemente momenti drammatici ed esaltando quelli più intimi intercorsi fra i 2 ma è nelle interpretazioni che trova il suo più alto pregio.
Viggo Mortensen e Mahersala Alì si presentano alla prova in forma smagliante. Strano a dirsi visto che il primo si manifesta in una rotondità mai vista prima per poter incarnare al meglio il Tony "Lip" a cui presta corpo e anima. Una prestazione convincente e istrionica che lo proietta tra i favoriti verso la corsa all'Oscar.
Per Alì potrebbe essere la consacrazione definitiva dopo l'Oscar per Moonlight e la splendida e recentissima interpretazione in True Detective. E' probabilmente lui l'attore dell'anno e se dovesse conquistare l'Oscar ne darebbe ennesima riprova.
In un panorama cinematografico che sembra quest'anno a corto di idee originali è bello potersi fermare per 2 ore e godere di un film molto classico, recitato da Dio e curatissimo che lancia messaggi importanti e lascia molto su cui riflettere, senza strafare, guidandoci passo dopo passo ad una meta che dovremmo agognare quotidianamente.
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