Perché della gente vuole cambiare paese? Vari approcci al fenomeno migratorio

in #migrazioni7 years ago (edited)

Come estremo sunto di ciò che seguirà, si può dire che la povertà non spiega il fenomeno. Nella maggior parte dei casi, l’emigrazione rappresenta una strategia estrema per la difesa di uno stile di vita da classe media, funzionale al paese d’origine dell’emigrante.



Immagine di dominio pubblico

Così come l’economia, la psicologia, la filosofia, l’architettura, etc. esistono varie correnti anche nello spiegare la causa/e delle emigrazioni. Queste si suddividono principalmente in 3 categorie: spiegazioni micro, macro ed intermedie. A partire dalle varie spiegazioni, che contengono vari elementi, si sviluppano anche strategie di contrasto o favoreggiamento del fenomeno, agendo proprio sugli elementi che costruiscono la spiegazione.

La categoria macro

Ne citerò alcune, ma a titolo informativo ne esistono di più. Lo stesso vale per le altre categorie.

  • Spiegazione neo-marxista: vede gli immigrati come esercito industriale di riserva. Attenzione perché questa teoria di marxista ha ben poco. Si basa essenzialmente su una frase di Marx presa fuori contesto. Oggi questa visione neo si incarna anche in personaggi come Diego Fusaro. Come esercito industriale di riserva, che abbassa i diritti dei lavoratori perché gioca al ribasso, bastano i disoccupati, che quantitativamente risultano molto maggiori alle presenze di persone nate all’estero.
  • Teoria dualistica del mercato del lavoro, ideata da Michael J. Piore: vede come causa delle migrazioni la domanda permanente, da parte del mercato, di lavoro precario e sotto tutelato. In Italia la cosa si manifesta, ad esempio, tramite il lavoro in nero più diffuso per quelle persone nate all’estero.

In genere le spiegazioni macro non integrano varie cose, come ad esempio la considerazione delle normative, e tendono a vedere i migranti come soggetti passivi, cosa che non succede nelle spiegazioni micro.

La categoria micro

  • Teoria neo-classica o neo-liberale, formulata verso il 1950: concepisce il migrante come individuo calcolatore, che mira a massimizzare i propri guadagni. Come fattore di spinta assegna la differenza dei salari tra i paesi.
    Da questo segue un primo suggerimento per aumentare o diminuire il fenomeno: aumentare la differenza salariale, livellare la differenza salariale. Nel primo caso i locali hanno più disponibilità economica, che abbassa il malcontento, ma più migranti, che in genere aumentano il malcontento. Nel secondo caso, ad esempio, gli stipendi vengono livellati a quelli della Cina e la popolazione si arrabbia, ma ha meno nuovi arrivi.
    La stima formalizzata del guadagno derivante dal cambio di paese per un migrante, si costruisce con vari dati messi in una certa forma matematica (l’integrale). Come risultato si ha la stima dei guadagni netti (GN), ottenuti da Salario Paese di Destinazione (PD), probabilità di non espulsione, probabilità di trovare lavoro nel PD, salario nel Paese d’Origine (PO), probabilità di trovare lavoro nel PO, costi di trasferimento materiali e psicologici.
    Ora abbiamo diversi suggerimenti su quale leva toccare se vogliamo disincentivare o incentivare il fenomeno migratorio. Possiamo cambiare le probabilità di espulsione o aumentare le discriminazioni sul lavoro. Possiamo aumentare i costi di ricongiungimento familiare, come la Germania già sa. Possiamo rendere più o meno difficoltosi gli spostamenti via mare, terra, aereo.
    I flussi migratori, secondo questo modello, rappresentano un insieme di calcoli individuali che restituiscono un GN maggiore di 0. Maggiore risulta il valore GN, maggior spinta migratoria avrà un individuo.
  • Nuova economia della migrazione, anch’essa degli anni 50 circa: in questo caso la famiglia compie il calcolo volto a massimizzare i guadagni e non più l’individuo. Il calcolo ha anche l’obiettivo di diversificare il portafoglio di investimenti, espressi in figli, di una famiglia, massimizzare le capacità reddituali della famiglia, minimizzare i rischi. Il differenziale salariale però qui non viene vista come fattore di spinta. Il guadagno atteso dipende dalle caratteristiche della famiglia.
    Come conseguenza di ciò e di altro, emergono due strategie: i governi possono alterare il fenomeno migratorio solo se intervengono su tutti i mercati e aumentando le condizioni reddituali delle famiglie più povere.
  • Teoria del doppio mercato del lavoro: parte dall’assunto che la causa delle migrazioni internazionali sta nella domanda di lavoro delle società industriali. In queste società il salario funge come riflesso del prestigio sociale, quindi non si lavora solo per il reddito ma per lo status sociale. Gli immigrati qui rappresentano la risposta alla domanda di lavoro con basso status sociale, meno tutele, etc.
    Pensiamoci: si fa più fatica a trovare un italiano che vuole fare il mungitore, il bracciante, il badante, etc. rispetto ad un indiano, nigeriano, ucraina, etc.

La categoria intermedia

  • Teoria delle reti: valorizza il legame fra emigrati e potenziali migranti. Ad esempio: dei meridionali in passato sceglievano certe località piuttosto che altre a causa della presenza di compaesani. Questi legami vanno ad abbassare il costo di trasferimento materiale e psicologico, citato in precedenza. L’espansione della rete comporta l’aumento del flusso, a causa del fenomeno catena migratoria. Il ricongiungimento familiare rafforza la rete e tutto ciò che segue.
    Come limiti ha il saper spiegare lo sviluppo di una rete ma non il suo inizio, il trascuramento delle normative, etc,
  • Teoria delle istituzioni (organizzazioni): si rifà alle organizzazioni che permettono o non permettono la mobilità. Basta pensare alle varie Organizzazioni Non Governative che operano in Italia. Purtroppo si intendono anche le organizzazioni illegali che sfruttano i clandestini, creando dei neo-schiavi che, per ripagarsi il debito del viaggio, finiscono in settori come prostituzione, spaccio di droga, etc.
    Uno dei limiti di questa teoria sta nell’analizzare i PO piuttosto che i PD.
  • Teoria della regolazione: le leggi e i controlli filtrano, ostacolano o incanalano le migrazioni. Un esempio recente: l’Italia ha fortemente limitato il flusso via mare dalla Libia (con conseguenze che non commento). Come effetto hanno registrato un aumento della mobilità fra quella parte di territorio che unisce Africa del Nord e Spagna, quindi lo stretto di Gibilterra.
    Questa teoria tende a spiegare il come piuttosto che il perché delle migrazioni.

  • Teoria del sistema globale, di origine sociologica: il modo di produzione capitalistico crea un legame fra uno stato-corporazione e un territorio, sviluppando vie di comunicazione. Ad esempio le multinazionali che vanno a produrre nei paesi in via di sviluppo, fanno conoscere, indirettamente, uno stato ai lavoratori locali. L’imperialismo, oggi chiamato anche neo-colonialismo, incentiva le migrazioni.
    Per regolare la mobilità, stando a questa teoria, serve controllare gli investimenti verso i paesi colonizzabili ed altro.

  • Teoria della cumulazione delle cause: assume 6 cause come spinta del fenomeno migratorio, ossia la distribuzione del reddito nel PO, la distribuzione della terra nel PO, l’organizzazione della produzione agricola nel PO, la cultura delle migrazioni nel PO, la distribuzione regionale del capitale umano nel PO e le connotazioni etniche dei lavori nel PD, ad esempio egiziano = pizzaiolo, indiano = mungitore nel mantovano, filippina = domestica, ucraina = badante, rumeno = muratore, etc.

Conclusioni

Ho elencato varie teorie, che in questo caso rappresentano un misto di impianti narrativi e modelli matematici, che tentano di spiegare il fenomeno migratorio. Si può osservare come non basta una teoria per avere una visione d’insieme.

Risorse

  • appunti universitari
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Molto interessante.

Vorrei sottolineare che non basta una teoria, e neanche cento...
la descrizione di un fenomeno tramite stiudi e dati non ha modo di restituire neanche lontanamente l essenza del fenomeno...
è un po' come la differenza tra Studiare la geografia a scuola imparando e descrivendo le caratteristiche fisiche e politiche del paese di cui parli e invece Viaggiare, visitare quel paese, viverlo e poi raccontarlo.
Sicuramente inventrambi i casi le informazioni sono corrette, magari utili, ma tutto dipende dall obiettivo... l importante è non sovrapporre o confondere, i due aspetti, i due livelli che dalla descrizione del paese, o dal suo racconto vengono fuori.

Qui non ho parlato della dimensione sentimentale

Non parlo della dimensione sentimentale ma di quella umana che, a mio parere, non può e non deve essere esclusa dall analisi di un fenomeno umano.

non faccio differenze fra umana e sentimentale. Vedo tragedie in diversi casi

La mia opinione è che purtroppo le teorie economiche tengono poco (o niente) in considerazione l'aspetto umano, proprio perchè sono teorie, quindi estrapolate dai contesti in cui dovrebbero essere applicate.

Ciao io sono stato un anno in Inghilterra come exchange student penso che non sia giusto andare via dal proprio Paese, anche se ormai l'Italia ci costringe.

Alle volte fa bene emigrare anche per nuove esperienze !!

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