L'invidia del Dio

Il primo giorno da deputato della Repubblica Italiana me lo ricordo bene anche se accadde molto tempo fa. Sono uno di quelli che si definirebbero politici di professione. Mai lavorato, catapultato a 26 anni nell'aula due mesi dopo la laurea in giurisprudenza. La tesi scritta tra comizi elettorali e la voglia di cambiare l'Italia e il mondo intero.
Non è cambiato nulla. Anzi no! È cambiato tutto, ma l'effetto reale è pressoché nullo. Uno stillicidio la politica. Incontri, cene, tavoli di lavoro, commissioni, poi comizi, elezioni e ancora incontri, votazioni, inciuci si pure quelli, poi sfiducia e ancora comizi ed elezioni. Ne ho fatte cinque di legislature e adesso mi accingo alla sesta, ma me la ricordo la prima volta. Sbarbato, poco più che un pulcino in mezzo alle aquile. Adesso sono io l'aquila cazzo!! E fiero muovo il passo tra schiere di cronisti e telecamere che non schivo, non rifuggo, le voglio cazzo, voglio essere ripreso, voglio parlare, voglio che mi vedano e ingoino polvere quelli che mi hanno definito il male, l'antico male per la precisione. E rido allora, rido e faccio battute, un giullare della politica sono oggi, mi prendo scherno di tutti, anche di quelli che hanno messo una x sulla scheda, sul mio nome, stampato in alto. Loro sono lá che vorrebbero passare e chiedono permesso, con l'impeto della giovinezza, della voglia, la stessa che avevo io. Ma dovete aspettare, la ressa è per me, sono io lo showman adesso, sono io, quello che avete infamato fino a pochi giorni fa ad avere il palcoscenico. E lo calco da attore scafato, un Dio della ribalta e voi dietro le quinte ad invidiare, con le vostre facce da cani al guinzaglio.

_{Image CC0 Creative Commons – Pixabay}

È durato dieci minuti, lunghissimi dieci minuti, dieci minuti tra sguardi smaniosi e occhi come fulmini di invidia.

---

---

---

Poi dentro, saluti, convenevoli con i colleghi di partito, con le maestranze di uscieri e segretari, un caffè alla buvette che mi offre il mio discepolo e sempre occhi puntati su di me. La star. Mi sento un Dio che davano sepolto, ma che è risorto in una immensa luce e allora splendo cazzo, splendo e acceco.
Poi l'aula e le prime cose da fare ed il tempo che scorre uguale come da anni ormai.
È una giostra ed io ho il sesto giro e giro, giro, voglio girare, ripetere quei gesti consueti, il pranzo da Mario, il giornale che compro al mattino per poi sfogliarlo nelle pause.

---

---

---

Ed eccomi ora, metodico e impassibile, una statua di sale scolpita nelle rughe dell'età, giornale sul banco e occhiali infilati per leggere da vicino. Solo adesso e solo voglio essere. Leggo e borbotto, leggo e annuisco, appunto delle note. Poi alzo il viso per girare pagina, altra consuetudine ovvero quella di non perdere di vista l'aula e quello che accade. È in questo frangente che il mio castello si sfalda, il Dio si eclissa nel corpo di una testuggine rallentata dal carapace spesso e duro.
Giovani a gruppetti, ridono, si danno appuntamento per la serata, si scambiano battute ed ognuno pende dalle labbra degli altri. E allora ripenso al vuoto di adesso e alle rughe che si riflettono sullo smartphone spento che ho sul banco. Un velo di nostalgia. Me la ricordo la prima volta, ero come loro, non brillavo, ero come loro, solo una piccola stella intermittente in una costellazione. Ma mi sbaglio cazzo! Non è nostalgia, non è il passato che mi porta a guardarli. È l'invidia! Cazzarola si è l'invidia della vita e della speranza.
Abbasso lo sguardo e giro pagina, ma l'invidia, quella stronza, non mi lascia.

---

---

---