Scelte di traduzione

in #life7 years ago (edited)

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Anni fa, quando ho dovuto decidere cosa studiare all’università, la scelta naturale è stata concentrarmi su ciò che mi piaceva fare, un’attività che occupava la maggior parte del mio tempo libero, quotidianamente: leggere letteratura, immergermi in storie di vita e di pensieri provenienti da chiunque nel mondo.

Il corso di laurea triennale si chiamava “Lingue, culture e istituzioni dei paesi del Mediterraneo”, all’Orientale di Napoli, facoltà di Lettere e Filosofia.
Un percorso che era un *meltin’ pot * di lingue, letterature, cultura, storia, economia e geografia del pensiero e delle filosofie dei diversi e multiculturali paesi affacciati sul grande mare interno. Affascinante e ricco di cose da scoprire e imparare, i corsi erano tanti, variegati e incentrati, ovviamente, sulla filosofia e la letteratura.

Studiare mi è sempre piaciuto, immergermi in argomenti inediti e ricchi di scoperte. Un’attività che può sembrare impalpabile e, potenzialmente, “inutile”, al di fuori della vita accademica.
L’insegnamento non faceva per me, richiede un tipo di dedizione, pazienza e disciplina che non mi sono mai appartenute.
Quindi la domanda che mi sono posta durante i primi tre anni di corso universitario è stata: “cosa posso fare da grande?”.
Cosa posso fare di concreto per mettere in pratica tutto ciò che sto imparando e amo fare così tanto?

La risposta a questa domanda, rincorsa tra un corso di arabo e uno di storia delle religioni, tra il corso di metodologia della letteratura e quello di linguistica generale, è alla fine arrivata.

Ricordo bene quel giorno.

Era un pomeriggio di fine inverno, quando la primavera inizia a vibrare nell’aria.
Una lezione pomeridiana lunga due ore, la prima del semestre. Avevo pranzato con delle amiche in una pizzeria dei Tribunali e passeggiato nel centro storico di Napoli, in attesa che si facesse ora di recarsi all’aula I di palazzo del Mediterraneo, su via Marina.
Entra un’insegnante dai capelli lunghissimi, bellissima.
E inizia una lezione che somigliava più a un racconto, a una storia.

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Era la storia della traduzione raccontata dalla filosofia del linguaggio.
Una disciplina in cui la teoria più alta ed effimera si mescola sapientemente con la pratica del duro lavoro del traduttore, che praticamente deve dare vita a un nuovo testo in una nuova lingua, tenendo fede al precedente testo da tradurre.
È stata un’illuminazione. Dopo poco più di un quarto d’ora, avevo deciso cosa volevo fare da grande.
Il traduttore.
L’argomento era affascinante come pochi, uno di quei ragionamenti filosofici che s’interroga sull’origine delle cose.

In questo caso l’interrogativo, la domanda fondamentale attorno a cui si costruisce la filosofia del linguaggio, era: Una lingua e i segni che la compongono sono una fotografia di un mondo che esiste da un’altra parte o, al contrario, all’interno del linguaggio vive il mondo stesso?

Come non restare affascinati di fronte a un inizio così?

La professoressa continuava a raccontare: dominare una lingua serve a vivere nel mondo, ad attraversarlo. L’uomo è un animale simbolico, perché il linguaggio rappresenta il mondo in cui vive, che pensa, che narra, che trasforma.
Le sue produzioni simboliche sono spontanee, come i sogni, e volontarie come le forme artistiche. Tali produzioni sono presenti, per esempio, nella poesia ma anche in ogni esperienza della vita.

Attraversare il mondo e viverlo, significa dominare una lingua.
Dominare una lingua vuol dire essere in grado di rappresentare i fatti, di raccontare un universo mondo, appunto.

Ma, se il linguaggio è una rappresentazione del mondo, i segni sono soltanto una sua raffigurazione, separati, ombre della realtà, allo stesso modo in cui una fotografia è separata dal soggetto in carne e ossa che rappresenta?

Oppure, si può prendere in considerazione l’altro punto di vista: all’interno del linguaggio esiste il mondo stesso.

Nel linguaggio ci sono degli elementi rappresentativi e sostanziali del mondo. Infatti il modo di chiamare le cose in un certo modo trasforma il mondo stesso, il modo in cui viene percepito.
Il pane italiano racchiude dentro di sé un mondo di significati culturali e sociali. È la parola con cui si indica l’alimento composto di farina, acqua e lievito, ma riprende anche le abitudini italiane legate all’uso di questo alimento, mentre in altri paesi lo stesso alimento, chiamato con altri nomi, bread, bröt, ha una funzione gastronomica completamente diversa.
All’interno della lingua c’è una creazione, dove siamo chiamati a dare un nome alle cose, a tradurre idee dalla sensazione alla verbalizzazione.

Durante questo processo, che potrebbe anche essere considerato “meccanico”, la nostra soggettività lascia un segno sul mondo, che a sua volta ne lascia uno nell’individuo.

Dopo questo incipit, la prof. iniziò un racconto sulla parola “ermeneutica”, che è l’essenza della traduzione come momento di mediazione, passaggio e commercio.
L’ermeneutica è una disciplina dalle molteplici sfaccettature che si chiede se conoscendo una lingua sia possibile fare propria anche la civiltà che la lingua esprime.
L’ermeneutica è l’arte dell’interpretazione e, come tale, è la disciplina principale della traduzione e del compito che il traduttore deve assolvere per poter fare il suo mestiere di ponte tra due mondi linguistici e reali.

La traduzione letteraria e culturale si riferisce non solo a un tradurre con un dizionario una lingua in un’altra, ma anche a un trasporto, un trapianto in un altro terreno culturale delle nostre parole ed esperienze, come si travaserebbe una pianta da un vaso all’altro.
La traduzione culturale è il segno di un passaggio di codici che avviene nella scrittura ma anche nelle persone.
Quando, per esempio, viaggiamo, il nostro essere deve tradursi in un’altra cultura e in un altro linguaggio.
Viaggiare è una traduzione di se stessi andando incontro all’altro, altro luogo, altre persone, altra cultura, altre esistenze.

Tradurre è la capacità di un singolo di creare un qualcosa che è analogo all’originale ma diverso, è un'altra individualità, è un oggetto che è un soggetto autonomo, poiché ha leggi nuove da seguire.

Questo meccanismo si ritrova in tutti i momenti in cui si vive intensamente la propria vita, quegli attimi che spingono il singolo a meditare sul valore simbolico delle parole, dei gesti e dei pensieri.

Da questa meditazione, nasce qualcosa di nuovo, di unico, carico di passato e presente misto al futuro. È in questi momenti che chiunque diventa poeta, traducendo se stesso e le proprie emozioni.
Il frutto di questa meditazione è poesia.

Amando la poesia, come potevo fare una diversa scelta di vita?

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[Tutte le foto sono state scattate dall’autrice del post]

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Leggere questo post mi ha fatto venir voglia di tornare sui libri, sarebbe il caso dice la mia testa :P Grazie Stella!

Non è mai troppo tardi, ho recuperato i miei testi e li sto rileggendo 🤩

studiare è sempre bello, se fatto per passione!

Good day and good publication my friend

Beh.. che dire.. avere un'illuminazione sul cosa voler fare nella vita e seguire quel proprio sogno fino a realizzarlo è stupendo, ci sono persone che arrivano ad avere quell'illuminazionr ad un'età che difficilmente gli da la possibilità di realizzare i propri sogni... quindi.. "avanti tutta"

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