Manganello e olio di ricino

in #italia2 years ago

TRENTO. Dal novembre 1922 al dicembre 1923, il deputato Giacomo Matteotti trascrisse ogni violenza commessa dagli squadristi a danno degli oppositori. L’elenco, dettagliato e minuzioso, avrebbe dovuto dar conto del primo anno di potere fascista. Non è un caso, pertanto, che tutte quelle informazioni siano state raccolte in un libro uscito quasi clandestinamente nei primi mesi del 1924, anno fatale per il capogruppo alla Camera dei socialisti unitari, dal titolo Un anno di dominazione fascista.
Nei giorni immediatamente successivi alla Marcia su Roma, non a caso, la vittoria fascista non pone fine alla brutalità. Una sorta di “diritto del vincitore” viene esercitato sul corpo violato dello Stato e ancor di più su ciò che rimane di un movimento popolare e proletario già ampiamente sconfitto. Già nel giorno dell’affidamento a Mussolini, da parte del re, del compito di formare un governo, le violenze fasciste punteggiano la penisola. In atto c’è ancora il piano della Marcia. Mussolini è sul treno partito da Milano, dove si trova al momento dell’azione squadrista sulla capitale, mentre sedi di giornale delle opposizioni sono devastate o date alle fiamme, i palazzi del potere occupati – non senza reazione, in pochi casi, della forza pubblica.

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Il giorno 30, nonostante la proclamazione della smobilitazione da parte del quadriumvirato, le violenze continuano. Tra i tanti palcoscenici della brutalità fascista c’è Molinella, Comune del Bolognese che per lunghi anni, a fronte delle difficoltà incontrate dalle squadre nello smantellamento della rete associativa socialista, sarà obiettivo di numerose spedizioni. “L’unico punto non fascista della provincia”, così definito dal federale di Bologna Gino Baroncini, sarà oggetto – secondo i dati raccolti dallo stesso Matteotti - in soli 8 mesi di ben 70 episodi di sangue (Matteo Millan, Squadrismo e squadristi nella dittatura fascista).
Le concitate ore immediatamente successive alla Marcia registrano episodi di violenza in tutto il Paese. Lo schema è sempre lo stesso: all’uccisione o al ferimento di uno squadrista, le camicie nere rispondono con la ritorsione. Si bastonano gli antifascisti, si occupano i palazzi municipali, si liberano i prigionieri incarcerati per reati politici, si attaccano gli esponenti dell’opposizione, siano essi semplici militanti o rappresentanti eletti in Parlamento.
La lista è lunga e prosegue tra azioni intimidatorie e aggressioni, molto spesso mortali. Nel Bresciano un professore socialista viene sequestrato, portato alla sede del Fascio e costretto ad ingoiare grandi quantità di olio di ricino. Stessa sorte per un barbiere, anch’egli di fede socialista, umiliato per di più con l’obbligo di tagliarsi i baffi. Quando il soggetto ricercato non si trova, le camicie nere rovesciano la rabbia sui parenti. A Pompiano, sempre nel Bresciano, l’impossibilità di trovare un capolega cattolico porta alla bastonatura della moglie.
A fianco delle percosse, l’arma utilizzata diffusamente dagli squadristi contro i nemici è l’olio di ricino, sostanza lassativa che scorre a fiumi nelle spedizioni fasciste in giro per il Paese. L’obiettivo, una volta legati i pantaloni e costretto il soggetto ad ingollare grosse quantità di liquido, è di umiliare il malcapitato. Di costringerlo a mostrarsi in pubblico insudiciato dai propri escrementi e in preda a lancinanti spasmi intestinali. Così si puniscono i sovversivi, colpevoli di aver svolto ruoli pubblici, di aver espresso condanna nei confronti delle violenze gratuite dei fascisti, di non essersi scoperto il capo al suono dell’inno. A Balsorano, in provincia de L’Aquila, la maestra Agata Zega è costretta a bere l’olio di ricino per non aver partecipato a un corteo delle camicie nere.
Nerbate, manganellate, pistolettate, sono la colonna sonora del Paese per anni dopo la presa del potere del fascismo. Le violenze non si fermano. Riporta ancora Matteotti, alla conclusione dell’elenco di “Novembre 1922”: “Larino (Campobasso) – I fascisti invadono la sede della sezione socialista e portano per il paese i quadri da essa asportati, imponendo ai passanti, colla minaccia del pugnale, di sputare sopra l’effigie di Marx e di Lenin. Sono assalite e perquisite le abitazioni dei socialisti Alfredo Ferrero e di Celio Alfredo. Sono bastonati i socialisti Pardo Silvano e Sansone Francesco e quest’ultimo costretto a ingerire olio di ricino; S.Vito Chietino – Squadre di fascisti armati mettono a soqquadro il paese bastonando e distribuendo olio di ricino ai non fascisti e sparando sui fuggiaschi”.
La violenza, capillare, diffusa ed esemplare, mira ad alimentare l’atmosfera di terrore e prostrazione. Alla Camera, nel suo primo discorso da presidente del Consiglio, Benito Mussolini rende piuttosto chiaramente quale sia il quadro della situazione: “La rivoluzione ha i suoi diritti – rivendica, proseguendo poi – mi sono rifiutato di stravincere, e potevo stravincere. Mi sono imposto dei limiti. Mi sono detto che la migliore saggezza è quella che non ci abbandona dopo la vittoria. Con 300mila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il Fascismo.

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