Dalla cima del comignolo

in #ita7 years ago

E’ una mattina d’ottobre e arrampicandomi su per la scaletta a chiocciola che girando attorno alla canna conduce alla cima del comignolo, mi rendo conto di non ricordare il motivo per il quale qualche minuto fa ho deciso di venire quassù. Non che abbia troppa importanza, attratto come sono da altre considerazioni legate principalmente a una forte impressione.
Il fatto è che nonostante mi sia impossibile vedere il flusso fumoso, poiché come si può immaginare il materiale che costituisce la torre non è trasparente, ho quasi la convinzione di stare influenzando il normale scorrere. Torna difficile illustrare il perché; è come se la forza centrifuga che dovrebbe buttare all’esterno in qualsiasi moto rotatorio, si diverta ad assentarsi, lasciando campo libero alla forza centripeta, che invece di equilibrare soltanto, finisce per stravincere alla grande la sfida.
Ogni gradino durante l’ascesa diventa sempre più difficile da superare a causa dello strano disagio in cui mi trovo, che è conseguenza dell’impressione di prima e che appesantisce notevolmente i piedi e le gambe. Tuttavia con grande impegno, riesco ad arrivare fino in fondo. Così, per dare un senso alla fatica, penso che un buon motivo per essere venuti fin quassù potrebbe essere quello di guardare di sotto, magari da una prospettiva che ancora non m’è capitato di testare. Mi appoggio alla piccola ringhiera che chiude la scaletta, mettendomi comodo, e dopo aver notato come al mio arrivo la fuoriuscita del fumo abbia cambiato consistenza, forse per il fatto che il vento ha cambiato direzione, getto uno sguardo di sotto, sulla strada più vicina.

L’occhio si sofferma a mezzo metro da terra, sulla striscia nera di resti gommosi e polvere. Un uomo si appoggia al muro, schiena parallela, lo stinco destro a trenta gradi l’altro a novanta, beato a godersi gli ultimi sprazzi di un sole quasi malato. E’ riuscito a trovare una posizione quasi comoda, o almeno lo sarà per il tempo di una mezza sigaretta. Una breve fiammata segna l’inizio e già le tonsille si gonfiano in una tirata, fatta col cuore. Non avrebbe causato alcun danno se avesse ticchettato sulla base, per scuoterne la cenere ormai utilizzata, nessuno l’avrebbe visto, neanche l’ausiliare del traffico intento a scrivere qualcosa su un piccolo taccuino.

I tergicristalli della vecchia auto hanno ormai fatto il loro corso e comunque, per reggere il foglietto sono abbastanza robusti; ma, il lasciare ricordini di questa specie non è mai cosa gradita, sia per lo scrittore che per il lettore, e l’omino catarifrangente decide di allontanarsi. Dalla vecchia macelleria all’angolo esce un’elegante signora con una busta rossastra. Quella montatura di occhiali le conferisce un’aria ancor più indicativa; fra un solenne e uno sbarazzino che avrebbe fatto ribollire il sangue a più di un uomo. La strada è piena di buche (si sa, a metà legislazione sono queste le condizioni) ed è proprio vero come le disgrazie non arrivino mai sole; al rompersi il tacco di una scarpa non può che seguire lo sfracellamento per terra delle cibarie, e la vista sul parabrezza della macchina di un quanto mai dubbio pezzetto di carta. Con un rapido gesto strappato dall’apposito comparto (ovviamente storcendo e creando irrimediabili danni al comunque quasi già irrecuperabile tergicristallo) e con violenza inaudita diluito in mille brandelli e gettato per aria.

Un vecchietto seduto sulla panchina di fronte assiste alla scena, e gli viene spontaneo il non potersi risparmiare uno strano ghigno di risata. Quale orrenda vista per la fiumana di gente che passa per strada in questo momento: due soli denti, uno nero e uno bianco, uno sotto e uno sopra. Il vecchietto si sente d’improvviso osservato, come mai lo era stato nella sua vita, e il brusco stoppare la risata gli causa un leggero prurito alla gola, che sfocia in un fragoroso attacco di tosse. Germi e piccole avvisaglie di saliva, resti di biscotti e brioche di qualche decina di minuti fa, che nonostante i pochi denti, hanno trovato il modo di sedimentare in misteriosi interstizi nascosti.

Sono davvero poche le cose che riescono a distrarre l’attenzione dai propri guai, e niente riesce in tale improba impresa come i guai degli altri. E’ quindi chiaro come gli unici a non distrarsi da se stessi siano coloro che non hanno guai, almeno in quel preciso istante, come due giovani, che mano nella mano continuano a guardarsi negli occhi. Nessun pensiero è capace di smuovere lo sguardo del ragazzo che per inerzia riesce a scorgere soltanto il medesimo e semplice camminare per inerzia. L’ambiente esterno in questi casi assume strane connotazioni, e ciò che in altri momenti farebbe balzare e scattare le gambe come quelle di una pulce, non riesce neanche ad attirare fuggevoli occhiate. L’aria di questa mattina è fresca e salubre e i tenui raggi solari creano giochi di luci e ombre nell’affollata strada, con l’aiuto delle vetrine di locali pubblici o case d’abitazione, dei finestrini delle macchine, o il luccichio di vari oggetti metallici, orologi, oppure borse di pelle esageratamente lucide. L’aria è limpida e non ci si capacita, come quando un corpuscolo acceca l’occhio sinistro della ragazza. Si fermano. Lui amorevolmente allunga la mano per porre rimedio a quel nefasto intermezzo, lei china il capo; con l’altro occhio ancora attivo, quello destro, di sfuggita con la coda coglie le movenze di una scarpa; puntata sull’alluce scuote con forza il tallone, da destra a sinistra.

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