Cosa è successo a Zoe? (Storia scritta da me)

in #ita7 years ago

Buon sabato a tutti amici di steemit!!! Oggi volevo condividere con voi una storia scritta da me, di pura fantasia, usata per un progetto che non vi posso dire, mi dispiace :) Beccatevi la mia storia intanto!

Vi consiglio di leggerla. Mi raccomando ditemi cosa ne pensate! :)


Estate. Caldo. Notte. Zoe era lì, sul suo letto, appoggiata sul fianco sinistro. Su quello destro non riusciva mai a prendere sonno e di schiena le sembrava di non poter respirare.  Quella notte era una di quelle maledette notti che le trasmetteva una certa ansia, inspiegabile davvero. La sentiva già prima di mettersi a letto. L’unica cosa che la tranquillizzava era guardare per un momento fuori dalla finestra il cielo. 

Troppe poche stelle anche quella notte. 

Appoggiava i gomiti sul davanzale, respirava a fondo con gli occhi chiusi e poi li apriva espirando: si percepiva il profumo dell’estate nell’aria e il suono di quelle cicale che sembravano non stancarsi mai di parlare tra di loro. Faceva troppo caldo per poter dormire con il lenzuolo ma l’ansia che Zoe percepiva la convinceva a coprirsi le gambe almeno fino al ginocchio. Ogni tanto apriva gli occhi per assicurarsi che non ci fosse nessuno nella stanza con lei. Era difficile però, dal momento che le piaceva dormire nel buio più totale. Come ogni notte infatti, anche quella, si assicurò di abbassare la tapparella fino alle fine. Ora mancava solo chiudere la porta: attraversò la stanza camminando sul pavimento in parquet e chiuse la porta. Appoggiò la testa sul cuscino: finalmente un po’ di pace. 

Silenzio. 

Le cicale continuavano a cantare. Chiuse gli occhi ed eccolo lì, quel rumore che la accompagnava fino ad addormentarsi: il rumore del battito del suo cuore; poteva sentirlo attraverso il suo orecchio appoggiato sul cuscino. A volte era molto fastidioso, soprattutto quella notte che era invasa dall’ansia ed il suo cuore batteva più velocemente del solito. Così succedeva che si rigirava sul letto. Odioso letto. Bastava anche il minimo movimento ed eccolo là, scricchiolava come se fosse vecchio di cento anni. 

Finalmente sembrava essersi addormentata, non si sentiva più il letto scricchiolare, tutto era tranquillo: le cicale continuavano a cantare interrotte ogni tanto dal rumore provocato dalle ruote di alcune macchine che correvano un po’ troppo su quell’asfalto malmesso di fronte a casa sua. 

No, niente da fare, non riusciva a dormire, forse per colpa di quelle automobili. Alzò il lenzuolo fino a coprirsi tutto il corpo, lasciando solo gli occhi scoperti. Sembrava spaventata e il suo cuore non perdeva un attimo per ricordarglielo. Si stava guardando intorno. Le cicale non cantavano più e, improvvisamente, eccola lì. Si era accorta della presenza di una falena nella sua stanza. La sentiva sbattere sui muri. Sembrava di piccole dimensioni, o almeno sperava che fosse così, ma quando improvvisamente si avvicinava al muro vicino al quale si accostava il suo letto, il suono si faceva più nitido. Accidenti, doveva essere invece davvero grossa. 

Zoe aveva il terrore delle farfalle, specialmente delle falene che di notte cercavano di intrufolarsi in casa sua. Tutto per colpa di una gita fatta quando frequentava la quinta elementare che l’ha costretta ad entrare in un museo di farfalle che, purtroppo per lei svolazzavano da una parte all’altra sfiorandole i capelli. Improvvisamente si alzò dal letto e si precipitò ad accendere la luce.  Era proprio una grossa falena, maledetta, come aveva fatto ad entrare nella sua stanza?  Quello di cui era sicura era che non l’avrebbe mai presa per ucciderla: solo l’idea di doverla toccare le faceva venire la nausea. Così decise di prendere il cuscino ed il lenzuolo e di andare a dormire in salotto, sperando di non incorrere in altre brutte situazioni. 

Il corridoio della casa di Zoe era molto lungo e il salotto era proprio in fondo ad esso. A volte lei si fermava e ne fissava l’entrata sempre per assicurarsi che non ci fosse nessuno che la stesse attendendo dietro la porta per giocarle un brutto scherzo. Ogni volta che le capitava di fissare l’entrata del suo salotto le veniva in mente quando da piccola si svegliò per andare in bagno e, tornando, si bloccò completamente per fissarne l’entrata: dalla sua bocca uscì un urlo inaspettato, soprattutto inaspettato per lei. Non si ricordava il motivo per cui si spaventò così tanto ma nonostante provava a sforzarsi di ricordarsi che cosa potesse aver mai visto quella notte, le veniva in mente solo un’immagine buia, lo stendino lungo il corridoio con gli abiti appesi e il rumore delle gocce d’acqua che uscivano dal rubinetto del bagno dietro di lei.  

Ok, ce la poteva fare ad attraversare il corridoio. Vi erano due scelte: farlo di corsa o piano. Per fortuna il pavimento era in marmo e non scricchiolava come il parquet in camera sua, ma: c’era un’odiosa mattonella che quando vi appoggiavi il piede sopra faceva rumore.  Decise di andare piano per cercare di evitarla. Per il momento si sentivano solo le ossa delle dita dei suoi piedi scricchiolare.  
Zoe continuava a guardare in fondo verso l’entrata del suo salotto che si faceva sempre più nitida e vicina. Merda (non era riuscita a mancare la mattonella).

Si bloccò e si fece coraggio. Andiamo, sei grande, smettila, pensava. Si fece l’ultimo pezzo del corridoio quasi di corsa e si buttò finalmente sul divano. Il salotto non le piaceva ma era sempre meglio di ritrovarsi a letto con una falena sulla faccia. Rabbrividiva solo all’idea.
Finalmente sembrava essersi addormentata di nuovo. Tre di notte… tre e un quarto. Zoe continuava a rigirarsi sul divano che, fortunatamente, non emetteva quel fastidioso stridio del letto di camera sua. Niente da fare, si svegliò di nuovo. Sembrava di nuovo spaventata. Rannicchiò le gambe vicino al petto e si coprì di nuovo con il lenzuolo fino a lasciare solo gli occhi scoperti. Stava sudando, aveva molto caldo ma non sembrava aver intenzione di scoprirsi.  Cercava di respirare piano come se non volesse farsi sentire da qualcuno che poteva essere vicino a lei. Aveva il terrore di poter vedere improvvisamente qualcuno in ginocchio che la stava guardando e questo pensiero le fece prendere il lenzuolo con le mani e coprirsi completamente. 

Se avesse continuato così sarebbe morta soffocata. Decise di abbassare il lenzuolo e di sbirciare con un occhio solo il salotto. Certo, era buio, ma dopo un po’ che continuava a sbattere le palpebre riusciva ormai a riconoscere i contorni della credenza, del tavolino, dei quadri e della televisione.  Ok, non c’era nessuno, era solo la sua maledetta immaginazione che non riusciva a controllare e a trasmetterle ansia e paura.  

Ora si era messa a sedere: niente da fare, sapeva che quella notte non avrebbe dormito. Decise di andare in cucina e di bere un po’ d’acqua dal rubinetto. Era davvero sudata. I capelli spettinati le si erano attaccati sul collo e sulla schiena. Per fortuna aveva indosso solamente una canottiera leggera leggera e le mutandine che aveva comprato in quel negozio di lingerie che tanto adorava. Si sedette e si mise a fissare la porta d’ingresso e le venne in mente quando, tornando da una passeggiata, l’aveva trovata mezza aperta e spaccata su un lato per colpa di chissà quale malintenzionato che voleva intrufolarsi in casa.  

Improvvisamente sentì il bisogno di dover uscire da quella casa che le trasmetteva quell’ansia continua e di respirare un po’ d’aria. Si precipitò in camera a prendere dei pantaloncini. Maledetto pavimento, pensò.  

Accendendo la luce vide la falena attaccata sul muro vicina al suo cuscino. Rabbrividì.  

Prese i pantaloncini e uscì di corsa. Percorse per la quarta volta quel corridoio, prese le chiavi e uscì chiudendosi la porta alle spalle. Percorse le scale del suo condominio con la luce spenta e uscì dal portone.  Fortunatamente la strada era illuminata dai lampioni e rischiarata dalla luce della luna. La guardò per un attimo e uscì dal giardino chiudendo il cancello che, per sua sorpresa fece più rumore di quanto si aspettava. 

Iniziò a camminare guardandosi intorno. Finalmente il vento si era deciso a soffiare un po’ e finalmente le sembrava che l’ansia dentro di lei fosse scomparsa. In quel momento le venne in mente che c’era un fiume dietro casa sua dove c’era sempre un’aria molto più fresca rispetto a qualsiasi altro posto e così, decise di recarvisi.  Dopo dieci minuti circa, eccolo là finalmente. Zoe si bloccò per un attimo: non lo aveva mai visto a notte fonda. Faceva una certa impressione, le alghe sottostanti sembravano grosse murene e bisce d’acqua; l’acqua era scura, molto scura. Rabbrividì. 

D’un tratto… cos’è stato? Zoe si girò di scatto ma non vide nessuno. Ritornò a guardare il fiume:  ora si era immobilizzata completamente. Non si era neanche portata dietro il cellulare. Stupida.  Rimase ferma, a fissare il fiume che le faceva sempre più terrore. 

C’era sicuramente qualcuno che la stava guardando, che si era accorto della sua presenza. Voleva iniziare a muoversi con passo veloce ma era come immobilizzata. La paura aveva invaso il suo corpo e non le permetteva più di fare niente quando, improvvisamente, sì, era dietro di lei, lo poteva sentire.  Era sicuramente un uomo. Il suo alito profumava di menta fresca e poteva sentire anche il suo profumo di acqua di colonia. Niente, provava a muoversi, pensava di potersi girare improvvisamente e fare qualche mossa di autodifesa che aveva visto trasmettere in televisione ma era come se la sua mente fosse staccata dal suo corpo e i suoi muscoli non rispondevano a quello che realmente voleva fare. 

La stava toccando. 

Zoe iniziò a pregare anche se in realtà non credeva in Dio.  Grazie a non so quale Dio, ma forse più a se stessa riuscì a pronunciare due parole: “Chi sei?” Lui non rispose e cominciò ad accarezzarle i capelli.  A Zoe non piaceva che qualcuno le potesse toccare i capelli. Non lo aveva mai sopportato. Era una maniaca dell’igiene e sapeva che più i capelli venivano toccati più si sporcavano. Improvvisamente il suo cuore cominciò a battere all’impazzata. Era completamente terrorizzata e cominciò a tremare. Il suo respiro si fece sempre più rumoroso anche se cercava di trattenerlo, come se potesse importare davvero in quel momento, come se potesse ormai nascondersi. Le mani di quell’uomo ormai erano arrivate a sfiorare le sue gambe. 

Decise finalmente di prendere il controllo e si girò di scatto. Si ritrovò davanti ai suoi occhi una camicia che sembrava essere bianca e capì che l’uomo era molto più alto di lei. Sollevò la testa e alzò lo sguardo incontrando il suo. Aveva degli occhiali da vista e il suo sguardo era orribile come quello di molti psicopatici che aveva visto nei film: fu proprio quello sguardo terribile ad aiutarla.  

Iniziò a correre. 

Voleva gridare e chiedere aiuto ma la sua voce non riusciva ad uscire dalla sua gola. Poteva sentirlo, dietro di lei, lui la stava rincorrendo. Zoe iniziò a correre più veloce pensando di poter svenire da un momento all’altro, quando finalmente si decise: riuscì a superare il suo terrore per l’acqua e per quelle alghe che sembravano essere dei mostri marini e si tuffò dentro. Lì non l’avrebbe mai inseguita.  Iniziò a nuotare verso l’altra sponda.  Non ce la faceva più. Era allo stremo delle sue forze e per di più cercava di non guardare l’acqua sotto di lei. 

Cel’ aveva fatta.  Si aggrappò faticosamente al bordo fatto di fanghiglia ed erba e riuscì a sollevarsi e a sedersi.  L’uomo era dall’altra parte del fiume. La stava guardando e incredibilmente si tuffò. 

Zoe, senza neanche aspettare di vederlo riemergere dall’acqua riiniziò a correre. I suoi vestiti erano completamente bagnati come i suoi capelli. Non sapeva ancora quanto avrebbe potuto resistere ma lo avrebbe scoperto di lì a poco.  Stava correndo nei campi di mais vicino al fiume quando le sue gambe la obbligarono ad inginocchiarsi. Cercava di respirare piano, per quanto fosse possibile. Il suo respiro venne improvvisamente interrotto.  Il viso di Zoe iniziò a rigarsi di lacrime. I suoi occhi erano completamente appannati. Si girò e vide così il corpo dell’uomo tutto sfocato, come se fosse completamente ubriaca. Si accasciò a terra.  Stava perdendo i sensi. L’uomo la prese in braccio e iniziò a camminare facendosi spazio con il corpo di lei tra le piante di mais. 


Zoe stava aprendo gli occhi, infastidita dal rumore delle gocce d’acqua che cadevano sul lavandino. Suo fratello doveva aver lasciato di nuovo il rubinetto aperto.  Provò ad alzarsi.  In quel momento le ritornò tutto in mente: l’uomo che l’aveva inseguita, lei che si era tuffata dentro l’acqua e poi il vuoto.  Sollevò le braccia e cercò di capire dove diavolo si trovasse. Non ci mise molto a capirlo. Provò ad allungare le gambe e i piedi, bloccata. Posizionò le mani sopra la testa, bloccata. In quel momento sentì che il panico si stava impadronendo del suo corpo. 

Iniziò a sentire le sue orecchie fischiare  e non riusciva più a muoversi. Ci provava ma non ci riusciva. Era come se i muscoli non rispondessero più ai comandi mandati dal suo cervello. Improvvisamente pensò a una delle tante paure che aveva: era chiusa in un posto piccolissimo e prima o poi avrebbe finito tutta l’aria e sarebbe soffocata. Non sapeva dove fosse, non sapeva perché quel maledetto uomo l’avesse rapita e soprattutto che fine avrebbe fatto lei. Il pensiero andò a sua mamma, a quanto si sarebbe spaventata a non trovarla in casa la mattina dopo. Ma che ora era? Non riusciva a capire per quanto tempo era rimasta svenuta. Riusciva a respirare a fatica ma cercava di non pensare a quanto avrebbe mai potuto continuare a farlo rinchiusa lì dentro, così cercava di respirare il più piano possibile.  

Zoe spalancò gli occhi.  C’era qualcuno, quasi sicuramente l’uomo di prima. In quel momento pensava solo al fatto che sarebbe morta. Accidenti se sarebbe morta, ci avrebbe scommesso la testa.  Riusciva a calmarsi, e questo lo faceva sempre, pensando che quel giorno sarebbe passato e che ne sarebbe cominciato un altro.  Respirare là dentro si faceva sempre più faticoso, l’aria era diventata calda, troppo calda e questo significava che la stava usando tutta. Sentiva il bisogno di aria fresca così tanto che preferiva trovarsi di fronte a quell’uomo di nuovo piuttosto che continuare a stare lì dentro.  Le sue preghiere vennero subito esaudite. Si sentì improvvisamente muovere come se fosse rimasta chiusa dentro un cassetto della scrivania e ora qualcuno lo stava tirando fuori per pescarci quello che stava cercando. 

Più niente. 

Si aspettava che qualcuno avrebbe aperto finalmente la scatola in cui era rinchiusa invece niente, l’uomo o chi diavolo fosse si stava allontanando.  Zoe aveva la fronte imperlata di sudore. Si passò la mano tra i capelli , quei capelli così morbidi e luminosi che suo padre quando ne trovava uno per casa, sul divano o in bagno, li paragonava a fili d’oro. Ora erano bagnati come se, lavandosi il viso, l’acqua fosse per sbaglio finita anche su di essi.  

Non avrebbe resistito tanto a lungo. Con tutta la forza che le era rimasta decise di posizionare le mani sopra la sua fronte su quello che sembrava essere acciaio e di dare un colpo secco. Con sua grande sorpresa fu invasa da un’aria fresca improvvisa, un’aria però che sapeva anche di carne rancida. Oh santo cielo, finalmente poteva respirare e riempire i polmoni d'aria. L’aria fresca le stava asciugando anche il sudore sulla sua fronte e sul suo corpo. 

Si alzò e si mise seduta. 

Non riusciva a vedere niente: la stanza era completamente buia e dall’odore che aveva sembrava essere un garage pieno di immondizia. Tirò fuori le gambe da quella scatola e le lasciò cadere penzoloni. Si diede una spinta con le mani per sollevare il sedere  ed ecco fatto. Si trovava molto più in alto di quanto non pensasse e per poco non si ruppe una caviglia.  

Iniziò a tastare il suolo. Era ruvido. Aveva indovinato: sicuramente si trovava in un vecchio garage.  Si mise in piedi e si pulì le mani sulla maglietta. Continuava a spalancare gli occhi cercando di vedere se almeno riusciva a definire i contorni di qualche oggetto di quel garage. Niente da fare.  

Decise di muoversi con le braccia sollevate davanti a lei per evitare di sbattere la fronte da qualche parte e iniziò a camminare. Cercava di fare il meno rumore possibile per evitare che quell’uomo si potesse accorgere che era uscita da quella maledetta scatola.  

Si fermò. Le sue mani stavano toccando qualcosa. Ma non capiva che cosa fosse. Era come… era qualcosa di famigliare. L’aria odorava sempre più di carne andata a male, come quel giorno che avrebbe dovuto mettere il pollo in frigo e non lo aveva fatto. Un odore così rancido e vomitevole. Continuò a tastare e a cercare di capire di che cosa potesse mai trattarsi anche se l’odore era forte.  Improvvisamente sentì la presenza di una strana peluria: erano delle gambe, ne era certa. Quando arrivò a tastare i piedi la certezza si fece paura, terrore.  

Indietreggiò. Santo cielo. Non poteva essere quello che stava pensando in quel momento. Si inginocchiò e vomitò.  Si alzò in piedi e iniziò a camminare più velocemente possibile per trovare una via d’uscita. La puzza era diventata insopportabile tanto che dovette togliere la maglietta e legarla come un bavaglio. Erano dappertutto. 

Si trovò davanti  quella che sembrava essere una porta. Doveva pur esserci una maniglia. Tutte le porte hanno una maniglia. Tranne quelle dei pazzi psicopatici forse. Senza più sapere cosa fare Zoe decise di chiedere aiuto.  Si strappò la maglietta dalla bocca e iniziò a gridare con tutta la voce che aveva in gola fino a che non gli fece tanto male da smettere, mandare giù la saliva e riprovare. Ad un tratto appoggiò l’orecchio sulla porta in cerca di qualche rumore che le facesse capire se era totalmente da sola e urlare sarebbe stato invano. Sentì in lontananza  un chiacchiericcio fievole fievole. E non era solo una persona, sembrava esserci una moltitudine di gente. Il viso di Zoe si stava ricoprendo di lacrime.  Iniziò a battere con tutta la sua forza i pugni sulla porta per farsi sentire. Ormai le mani le facevano molto male ed erano diventate caldissime come se fossero sospese sopra un fiammifero.  Zoe ci soffiò sopra con la speranza di raffreddarle un po’ ma purtroppo anche il suo fiato era caldo. Tutto quella specie di garage le era sembrato si fosse riscaldato: per l’appunto lei continuava a sudare come se qualcuno le stesse versando dell’acqua addosso.  

Zoe si sedette appoggiandosi con le spalle sulla porta. Fortunatamente non le era capitato di incontrare un interruttore con le sue mani, non poteva pensare di vedere con gli occhi ciò che la circondava. L’odore già era sufficiente. In più aveva il terrore di vomitare e già l’aveva fatto in abbondanza prima. In quel momento pensava alla fine che avrebbe fatto: ossì anche lei sarebbe stata appesa lì, e sarebbe marcita con tutti gli altri cadaveri.  

Zoe si allontanò improvvisamente dalla porta strisciando verso destra.  La porta alla sua sinistra si aprì e ne entrò una luce fievole. Distolse lo sguardo dall’orrore che la circondava e si concentrò sulla porta aspettandosi l’ingresso di quell’uomo che diede inizio a tutto. Vide l’ombra di una persona proiettarsi dentro la stanza. Era immobile.  Zoe era terrorizzata. 

Se fosse stato qualcuno che voleva aiutarla si sarebbe subito precipitato nella stanza alla ricerca di un interruttore e non sarebbe rimasto immobile come una statua. L’ombra continuava a rimanere lì.  E’ rimasta lì per alcuni minuti dopo di che sentì fischiettare  e la porta si richiuse. Zoe tirò un sospiro di sollievo e decise che avrebbe dovuto trovare un’altra via d’uscita o qualcosa per poter aprire quella maledetta porta. La puzza in quella stanza era incredibile tanto che si legò nuovamente la maglietta intorno alla bocca e decise di iniziare a camminare carponi per evitare di sbattere nuovamente su quei corpi appesi.  

Inizia a strisciare piano piano per terra facendo affidamento sul suo tatto. Purtroppo sentiva solo quel cemento ruvido: si accorse che le sue ginocchia stavano cominciando a graffiarsi e piccoli sassolini vi si conficcavano pizzicandola come se fossero piccoli insetti.  
D’un tratto si ritrovò davanti a una delle pareti del garage, ammesso che fosse stato davvero un garage. Per quanto ne potesse sapere Zoe, poteva essere benissimo anche un lungo corridoio senza fine, una casa con stanze comunicanti tra di loro, un labirinto, una fabbrica o chissà cos altro. In quel momento la sua fantasia le faceva crede che si trovasse però in una casa semplicissima con accanto altre case visto che aveva sentito molte voci in lontananza.  Forse si trovava in un seminterrato, in una cantina, in un rifugio antiatomico. Quello che era sicuro era che quel posto sicuramente era un mattatoio. Un mattatoio di un pazzo che probabilmente viveva da solo e che aveva una vita parallela a quella del normale signore con gli occhiali da impiegato e il profumo che può emanare solo una persona che ci tiene alla sua igiene personale. 

Zoe si fermò per un attimo e si mise a sedere con le gambe incrociate per colpa delle ginocchia che le facevano molto male. Si passò le mani tra i capelli e li mise dietro le orecchie. Era fottuta. In quel momento pensava di essere completamente fottuta. Il suo stomaco brontolava. D’altronde aveva vomitato tutto quello che il suo stomaco conteneva. Decise di ricominciare a gattonare quando sentì un rumore che la fece sobbalzare.  Fortunatamente era solo un topo. Non aveva paura dei topi e poi come stupirsi che quel posto non ne potesse ospitare almeno uno?
D’un tratto, gattonando, sentì con le mani la consistenza del pavimento cambiare. Era diventato freddo e liscio, come il marmo di casa sua. Zoe si fermò per un attimo pensando che sicuramente aveva ragione: si trovava in una casa con stanze comunicanti fra loro e doveva dunque esserci un’altra porta da qualche altra parte.  La puzza si era affievolita, o forse vi si era già abituata?
Decise di alzarsi in piedi e ti togliersi le scarpe per camminare scalza ed evitare di fare qualsiasi tipo di rumore.  Si incamminò stando attaccata alla parete. Ovviamente i suoi maledetti piedi dovevano far rumore proprio in quel momento.  

Dopo aver camminato per un minuto circa percepì con le mani la fine della parete e capì probabilmente che lì c’era un’altra stanza, anch’essa senza porta. Zoe si inginocchiò e sporse la testa cercando di sforzarsi di vedere qualcosa dentro. Strizzò gli occhi ma era come averli chiusi, o come essere diventata cieca.  D’un tratto percepì davanti al suo volto qualcosa. Le sembrava che l’aria che stava respirando fosse diventata più calda. Rimase immobilizzata. Aveva una bruttissima sensazione.  
Quella strana presenza si trasformò in maledetta realtà quando sentì vicino alle labbra una specie di venticello: era il respiro di una persona.  Zoe in quel momento aveva gli occhi sbarrati e pensava che di lì a poco le sarebbe venuto un infarto. Il respiro che poteva sentire vicino alle labbra si era spostato vicino al suo orecchio fino a che riuscì a percepirlo sul suo collo e vicino al suo seno. La persona che era lì con lei la poteva vedere, di questo ne era più che certa. Aveva visto tutti i suoi movimenti, sapeva dove stesse andando e si stava divertendo. Si stava prendendo gioco di lei.  

Zoe decise di farsi coraggio come non mai. Posizionò le mani davanti a lei per poter tirare uno spintone a chi si trovasse lì in quel momento. Il risultato fu quello sperato. Le sue mani toccarono la persona che si trovava lì e, data la forza che ci aveva impiegato sicuramente l’aveva fatta cadere con la schiena sul pavimento.  Zoe si alzò in piedi e, con le mani sempre posizionato davanti a lei inizia a correre.  Era lui, era l’uomo del parco, era l’uomo che aveva aperto la porta, era forse l’uomo che aveva appeso tutte quelle persone lì dentro, che le aveva uccise, e avrebbe ucciso anche lei. Come poteva una ragazzina scappare da quel pazzo psicopatico?  Zoe continuava a correre, nessun ostacolo davanti a lei, ma era ancora tutto così buio.

Ad un certo punto, mentre il fischiettio si affievoliva sempre di più, sentì i piedi bagnarsi e il pavimento trasformarsi in una materia molliccia e viscida. Era come se stesse correndo sulla riva del mare verso l’interno. L’acqua si fece sempre più alta fino ad arrivare alle ginocchia. Zoe in quel momento si bloccò, esausta e impaurita. Possibile che quell’uomo avesse mai potuto mettere quell’acqua dentro casa sua? Decide di fare dei passi in avanti per vedere l’acqua fin dove sarebbe mai potuta arrivare: purtroppo continuava a salire e poteva sentirlo perché il suo corpo si bagnava sempre di più. Indietro non poteva tornare sicuramente. Decise quindi di sollevare i piedi da quella melma terribile e di cominciare a nuotare. In quel momento non sapeva se avere più paura dell’uomo che poteva sbucare da sotto l’acqua da un momento all’altro oppure dei possibili pesci o addirittura squali che potevano mangiarla in un boccone.
In un boccone certo, era talmente magra che uno squalo si sarebbe saziato come una persona si sazia mangiando una piccola pizzetta.
Zoe continuò a nuotare  finché non si sentì più l’acqua intorno a lei, ma solo aria. Stava cadendo. Non sapeva dove sarebbe atterrata ma sicuramente lo avrebbe scoperto presto. Prontamente si era tappata il naso con l’indice e il pollice della mano destra. Aprì gli occhi e iniziò a nuotare verso l’alto. Poteva vedere un luce finalmente. Sopra di lei il cielo con le solite poche stelle. Si guardò intorno. Era uscita da quella stanza, non sapeva come, forse si era infilata dentro il condotto di una fogna che l’aveva trasportata fino a lì. Ora poteva vedere la sponda e la via di salvezza che l’avrebbe riportata a casa. Faceva freddo, c’era tanto vento e l’acqua si stava increspando.
Zoe cercò di nuotare il più velocemente possibile per raggiungere la riva finché si bloccò improvvisamente.  Seduto su una panchina fatta di pietra c’era lui. La stava guardando da sopra gli occhiali che poggiavano sul suo naso. Il suo corpo gocciolava, i suoi vestiti erano completamente bagnati. Il suo sguardo era quello di una persona esausta e infuriata allo stesso tempo.
L'uomo si alzò in piedi e iniziò a immergersi dentro l’acqua.

 Zoe cercava di stare a galla  ma non provò a scappare di nuovo. L’uomo estrasse qualcosa dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni, qualcosa che Zoe non riusciva a vedere. Successe tutto molto velocemente, neanche il tempo di vedere cosa l’uomo avesse in mano.  In quel momento Zoe cadde con la faccia dentro l’acqua, aveva gli occhi aperti, ne poteva vedere il fondo, era così stranamente luminoso e aveva così tanto freddo.

Giorno, il sole splende alto nel cielo.  Il corpo di Zoe era lì, lungo la riva del fiume vicino a casa sua. Intorno a lei solo una chiazza di sangue che inondava l’erba vicina e tutta la gente più curiosa cercava di avvicinarsi per vedere cosa fosse mai successo. Zoe era lì distesa, i suoi occhi erano sbarrati, le sue ginocchia malconce e la sua mano destra stringeva una pistola. 

Beh amici spero la mia storia vi sia piaciuta :) Vi auguro un bellissimo fine settimana :)
E, come sempre, vi lascio con una foto scattata da me durante il mio viaggio nella terra dove sono nata :)

Foto scattata con la mia Canon EOS 1300D in Korce, Albania, Agosto 2016.




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Davvero complimenti!!

Wei.. graaaazie mille !!! :)

Bravissima, scrivi davvero molto bene. Complimenti.
Il racconto ha un seguito?

No, non lo ha ma lo potrebbe avere visto che non si finisce mai di immaginare :) Però questa storia l'ho scritta cosi breve perche' doveva essere breve e doveva stare in un tot di caratteri :) Grazie mille del complimento comunque !! :) :) :)

Wow @viki.veg, gran bel racconto thriller-pulp! Complimenti :)

Ehi grazie 1000000000 :)

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