Da Macron a Mignon

in #ita6 years ago

Un anno e mezzo, e Macron diventa Mignon. Quando fu eletto nel maggio 2017 ci fu il tripudio degli europeisti e della finanza globalizzatrice. In effetti dall'altra parte si era rischiato almeno inizialmente la destra più spinta della Lepen.

La campagna elettorale di Macron infatti aveva avuto l'appoggio della Merkel, di Renzi oltre che buona parte di Bruxelles (consiglio Europeo), e ovviamente i relativi esponenti di questa istituzione, ovvero Junker e Tusk.

Quindi Emmanuel ha portato avanti i dogmi europei, del capitalismo e della globalizzazione, vincendo le elezioni. Forse più per il pericolo della sua opponente che per i temi della campagna elettorale. Oggi come dopo un anno e mezzo le cose si mettono male per lui. Già al traguardo del primo anno la popolarità era drasticamente calata, ma in queste settimane direi che è letteralmente rasa al suolo.

Dopo un aumento sulle accise del carburante è nato il fronte dei giubbetti gialli, ed è un movimento spontaneo che ricorda fin troppo quello ben più noto del 1789, anche perché come allora il popolo era in difficoltà socio-economica. L'impiccio è che la questione avrà risvolti sul lato europeo, proprio perché gran parte di quei concetti hanno cominciato a fare a botte con la realtà quotidiana.

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immagine cc0 creative commons

La Francia, nonostante gli enormi incassi derivanti dal Franco CFA che gli permettono di stralciare buona parte del debito francese, in barba agli accordi europei, tanto che la Merkel più volte ha contestato la cosa, dovrà sforare il famoso paletto del 3% di deficit, senza per altro che in Europa nessuno venga a rompergli gli zebedei come da noi.

E non è nemmeno un passaggio isolato, la Francia per molti anni ha sfondato quel parametro, che poi di fatto significa investimento interno in infrastrutture e di conseguenza occupazione e tutto quello che ne consegue. Tuttavia anche per loro le corde europee cominciano a farsi strette e il sistema francese è ben più esposto rispetto a quello italiano, che ha proprio nel parlamento il suo "attrito volvente" per le questioni socio economiche.

Sullo sfondo le elezioni europee che oramai anche fuori dai confini nazionali assumo il tono di un referedum pro o contro Europa, e se a vincere (come oramai appare quasi scontato) saranno gli anti europeisti la situazione si farà sicuramente insostenibile alla gestione della cosa europea. Questo porterà a due scenari possibili, la dissoluzione europea o la sua rifondazione attraverso un pesante rinegoziazione delle regole in essere. Per altro lo stesso Trump pare non essere interessato alla cosa europea, ed è molto probabile che tifi più per la dissoluzione che per una ristrutturazione.

Sarebbe anche interessante capire, nel caso di una dissoluzione, che diavolo di fine farebbero le paccate di titoli di stato acquistate con il quantitative easing, a rigor di logica andrebbero stornate dai bilanci, magari asupicabilmente prima che crolli giù tutto. Il che vorrebbe dire che il nostro debito pubblico va giù di circa la metà, come minimo. Magari non tutte le disgrazie vengono per nuocere.

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