Tre per zero è uguale a tre - Libro I - Capitolo IX
Cap IX: In Missione
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Garrincha stava perdendo la pazienza.
Anzi si era proprio rotto le palle, a dirla chiaramente.
Dover ogni giorno subire battutine e risatine, premonizioni a denti stretti, che poi si verificavano in qualche modo, era ormai tutto troppo assurdo per lui.
La situazione era al di fuori di ogni logica razionale per il poverino, ed io lo
capivo quel suo stato d'animo.
Ma il professore lo faceva per lui, e quel bamboccio come poteva intuire cosa ci potesse essere dietro a tutto questo? Era impossibile.
Ma quella costante sensazione di caos, quello spillo che lo punzecchiava di continuo, obbligò il giovane a reagire, a divincolarsi dalla morsa del dubbio. Al diavolo i compiti e le partite ai videogiochi, il ragazzo voleva scoprire chi fosse quel bastardo che lo prendeva in giro.
Ma al diavolo il professore quando però Bianca chiedeva di vedersi per farsi un pò di coccole. In quei casi Garrincha piantava tutto e tutti, e mandava a fottersi anche il calcio e le partite con gli amici, a cui non rinunciava neanche sotto
tortura. Ma Bianca stava studiando tanto in quei giorni in vista di un compito in classe, per cui era il momento ideale per trovare qualche risposta alle sue domande.
Ma decise di non essere solo in questa avventura, per cui cercò un alleato. E
non ci poteva essere miglior alleato di “Balbo”, amico del cuore nonché compagno in squadra fin da piccolo, soprannominato così in onore del bomber Abel Balbo, centravanti della Roma degli anni 90. Garrincha e
Balbo, entrambi malati di calcio, entrambi pronti ad assecondarsi l’un l’altro nelle peggiori avventure.
Così il sabato mattina Garrincha dopo scuola si avviò verso casa, ma prima di rincasare passò a citofonare all’amico, la cui abitazione distava poche centinaia di metri dalla sua, per spiegargli la questione.
Il giovane però non trovò Balbo a casa, ma sotto i portici ombreggiati che si trovavano al piano terra del palazzo in cui abitavano entrambi, seduto con la schiena poggiata al muro e con il pallone in mano, in attesa di qualcuno per fare due tiri sotto casa, come si faceva a quei tempi.
«Eccolo il primo! Daje Garrincha!» fece questi lanciando la palla all’amico pensando di poter fare due passaggi poco prima di pranzo.
«Balbo aspetta un attimo, ti devo parlare di una cosa.»
«Che palle, mò? Dai famose du tiri, poi me la dici.»
«No è urgente, devi venire con me per fare una cosa.»
Balbo guardò Garrincha. Dei due quello più matto era sicuramente il primo, che nonostante fosse pronto a tagliarsi un braccio per l’amico, aveva sempre in mente qualche guaio da passare insieme.
«Aspè, prima che mi dici sta cosa, se ti do una mano poi però devi ricambiare ok?» rispose Balbo con un sorriso che faceva presagire ad un qualcosa di losco.
«Ok, va bene, ora ascolta. Senti ho un nuovo professore strano. Parla strano, tipo fosse alla corte del re sole, sta sempre a stuzzicarmi. Sembra che voglia convincermi che non devo fare l’università, o che non devo fare fisica, o qualcosa di simile, mi fa impazzire.»
«Aspetta aspetta, fammi capì. Hai un professore che parla strano e ti dice di non fare l’università?»
«Non è che dice di non farla. Gli ho fatto capire che vorrei fare fisica per studiare meglio le teorie sui viaggi spazio temporali e…»
«E lui ha detto che è una stronzata!» disse Balbo interrompendolo «ancora vuoi fare ritorno al futuro? E' un film, c’ha ragione!» concluse ridendo.
«Porco cazzo mi vuoi ascoltare? Non è questo il problema, il problema è che prevede pure alcune cose che mi accadranno, poi dopo avermi detto di non addentrarmi in certi meandri della fisica, mi spiega dove potrei entrare in
errore. E’ confusionario nei suoi gesti e nei suoi modi di rispondermi. E poi non so manco chi cazzo è, e questo vorrei capirlo.»
«In che senso non sai chi è?»
«Balbo, questo non si è mai presentato. Non si sa il nome, il cognome, nulla! E’ sbucato da un giorno ad un altro, ma nessuno ce l’ha presentato. Non è normale, quando andò in maternità la professoressa di italiano ci fu
anticipato che sarebbe stata sostituita. Stavolta niente.»
«Mmmm, effettivamente è strano. E te cosa vorresti fare?»
«Pedinarlo. Dopo scuola. Ci stai?»
«Per così poco? Ma certo! Te però ci stai per la mia cosa?»
«Cosa sarebbe?»
«Garrì, si o no?»
«Si, basta che mi aiuti a scoprire chi è 'sto matto.»
«Perfetto. Come rimaniamo?»
«Allora, io direi che ci vediamo domani dopo scuola, tanto ho l’ultima lezione con lui, e lo seguiamo ok? Te riesci a raggiungermi per quell’ora?»
«Avoja, “piscio” l’ultima ora e vengo.»
A guardarli oggi quei due, con distacco, direi “bella coppia di coglioni”. Con il loro linguaggio becero da figli allevati per strada, quando invece le famiglie si spaccavano le ossa per tirarli su con una cultura. La massa fa l’uomo, il più delle volte, e non il contrario. Ma andiamo avanti, che sono gli errori che ci rendono migliori, a patto di renderci conto di averne commessi.
Come detto i due amici si misero d'accordo, ed il professore, per quanto geniale e dotato di capacità di preveggenza, non avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe stato pedinato, se non fosse stato per un piccolo particolare che Garrincha non aveva ancora capito, ma che gli sarebbe stato chiaro il giorno dopo, o quasi.
Quella sera il giovane non dormì un granchè. Un sentimento misto di eccitazione e nervosismo lo tenne sveglio per tutta la notte, finchè non arrivò l’indomani.
Nonostante il sonno, Garrincha non dimostrava alcun sintomo di stanchezza. Le ore di lezione passarono piuttosto velocemente, ed in quella di fisica il professore questa volta diede una tregua al giovane, spiegandosemplicemente cosa era la massa e altre cose piuttosto noiose, senza curarsi più di tanto di torturarlo come al solito.
Finita la sua ora di lezione, Garrincha, intento a disegnare sul quaderno la caricatura del suo compagno di banco, ricevette un messaggio da Balbo.
«Sto sotto»
Il giovane rispose con uno squillo di conferma. Da fidanzato, quale era, ogni sms era dedicato a Bianca. Solo in punto di morte avrebbe sprecato un sms per chiedere aiuto.
Una volta suonata la campanella, Garrincha salutò il professore cordialmente, e questi fece lo stesso. Poi scese le scale di corsa, arrivò in strada, si girò a destra e sinistra per scovare l’amico, il quale sedeva sul suo “SH“ mentre fumava una sigaretta.
«Aò sei pronto?» disse Garrincha.
«Certo, che domande fai.» rispose l’altro.
«Vabbè si, dai nascondiamoci e aspettiamo quello stronzo».
«Ok.»
«Si, ma spegni sta sigaretta, porco cazzo! Che attiri l’attenzione!»
«A Garrì, hai polverizzato i coglioni, lo sai?» rispose Balbo spegnendola su un albero. Era più comodo con il piede, ma all’epoca si diceva che una sigaretta spenta con il piede, il destro in particolare, era una scopata mancata. E a quell’età non si sa mai, vista la siccità.
«Zitto! Eccolo!»
I ragazzi si nascosero in fila dietro un albero, mentre il professore era appena uscito dalla scuola e stava attraversando l’incrocio.
«Appena gira l’angolo ci muoviamo, ok Balbo?»
«Ok!»
Ma il professore non girò nessun angolo. Entrò nel bar, e si sedette poco vicino all’ingresso.
«Porco cazzo! Ti pareva che ‘sto stronzo ora doveva prendere il caffè!»
«O Garrì stai calmo, mò esce, il tempo di un caffè!»
Macché tempo di un caffè. Il professore mica usciva da quel bar. Passarono minuti, poi mezz’ora. L’impazienza saliva, ma il professore da li non si muoveva.
«Ma che cazzo sta facendo ‘sto quà?» disse Garrincha.
«Effettivamente mica si capisce. Ci avviciniamo?»
«No aspetta aspetta. Così sicuro ci sgama. Ancora qualche minuto dai.»
La scelta ripagò. Il professore uscì dal bar, ma anziché andare verso una ipotetica casa, entrò di nuovo a scuola.
«Ma che cazzo fa?»
«Garrì calmate! Ora uscirà dai».
Pochi minuti e spuntò fuori, stavolta per avviarsi sulla strada principale a passo spedito, ma guardingo. Il professore infatti si voltava di continuo, come se cercasse qualcosa. I due amici iniziarono a seguirlo, ma questo atteggiamento li mise sulla difensiva.
«Aò, ma questo non è che ha capito che lo stamo a seguì?»
«Balbo, ma che ne so. Stiamo a distanza.»
I giovani iniziarono la loro missione. Il professore camminava veloce, e si girava più per cercare qualcosa, che per controllare se qualcuno lo seguiva.
Arrivò fino alla fermata dell’autobus che Garrincha prendeva per tornare a casa. L’autobus era fermo, essendo un capolinea, ed il professore lo affiancò guardando al suo interno, come a cercare qualcosa o qualcuno, ma in maniera fugace, un misto tra disinteressato e morboso. Poi lo superò e riprese la sua camminata, ma accelerando il passo e smettendo di guardarsi intorno.
I ragazzi lo avevano seguito, ma non aveva fatto più di tanto caso a questi atteggiamenti. D’altronde io me ne resi conto per altri motivi, e nonostante ciò solo ora posso raccontarvelo come merita. Ora però il professore cambiando passo li stava seminando in quanto aveva preso a camminare in un crogiuolo di vie svoltando a destra e sinistra continuamente.
«Garrì questo ha preso a correre, così sicuro lo perdiamo» disse Balbo.
«Lo so lo so cazzo! Cerchiamo di avvicinarci!»
«Ok, ok!»
Il professore svoltò a destra. Poi di nuovo a destra. Sinistra, destra. Poi cento metri dritti in una strada che aveva una curva obbligata a destra. I ragazzi a quei cento metri dovettero fermarsi.
«Garrì ‘do vai!? Fermati qui che ti vede! Aspettiamo che gira all’angolo e poi corriamo per recuperare ok?»
«Ok, ok!»
Quando mancavano pochi metri alla svolta i ragazzi fecero uno scatto da centometristi, ma non essendo tali, ci misero buoni tredici secondi, quattordici forse, per arrivare a pochi metri dall’angolo. Il professore
avrebbe dovuto avere poco più di otto o nove secondi di vantaggio. Una trentina di metri diciamo dai.
«Garrì vedi do sta ‘sto tipo» fece Balbo invitando l’amico a sporgersi dall’angolo.
Garrincha non disse nulla, e fece strisciare l’occhio sul muro, fino a farlo spuntare dopo l’angolo. Poi uscì tutto quanto scattando quasi sconvolto.
«Cazzo non c’è! E’ sparito cazzo!»
«Come non c’è?» fece Balbo balzando oltre l’angolo.
Davanti a loro una strada vuota. E senza alcuna possibilità di svolta se non ad altri cento metri. Era impensabile che il professore potesse correre più di loro e svoltare prima che lo potessero raggiungere.
«Ma dove cazzo è andato! Come cazzo fa a fregarmi sempre, come fa!?» urlò il giovane mentre perlustrava la strada, ormai disperato.
Poverino, mica poteva sapere che la realtà era ben più semplice della sua fantasia.
«Garrì non lo so, andiamo a casa. E mi devi un favore.»
I due si girarono e tornarono indietro, passando sotto l’insegna di un hotel a cui non fecero caso. L’hotel in cui si era infilato il professore, in quanto sua residenza effettiva. Già, dormiva in un hotel. Se Garrincha lo avesse
scoperto, avrebbe avuto la prova che le cose erano ben diverse da come apparivano. Forse sarebbe rimasto ancora più sconvolto, ed effettivamente vi posso dire che ne avrebbe avuto motivo.