L'alba di un nuovo giorno. Il mio nuovo libro "Tre per zero è uguale a Tre"

in #ita6 years ago

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La bruma. Dalla finestra la bruma.
Gli occhi incollati da caccole notturne.
La vita è cambiata. Chissà dove andrà.
Chissà.
Ho iniziato a leggere di Buddismo qualche mese fa, proprio per comprendere cosa possa essere consapevolezza, il presente. Il dono di oggi. Il mistero di domani.
Allora, come tutte le volte in cui entro tra mille girandole di pensieri, scrivo. E scrivo. E scrivo e suono.
Trasferisco fisicamente quello che non so dire a parole.
Ma oggi non voglio fare questo.
Oggi voglio ricordarmi come ero, quando ancora sapevo sognare, quando ancora non avevo preoccupazioni ed il cielo era sempre più blu.
Oggi voglio regalarvi il primo capitolo del mio nuovo libro "Tre per zero è uguale tre", perchè è un romanzo talmente complesso, da doverlo rendere semplice e banale.
Ma è un romanzo che narra tanto di quel ragazzo pieno di sogni, che ogni tanto sparisce, ma che oggi è pronto a tornare a sognare. Incrociamo le dita. Per ora eccovi il primo capitolo di TRE PER ZERO E' UGUALE A TRE.

Cap I: Coincidenze

«Chi cazzo me l’ha fatto fare. Chi cazzo me l’ha fatto fare!» pensò Garrincha mentre si scrollava dalle mani la polvere di ferro.
«Se mi beccano sono fottuto, sai le mazzate da mio padre poi…» continuava a pensare Garrincha mentre si ripuliva nel bagno in cui in quel momento si trovava.
«E poi chi c’ha i soldi per i danni… Altro che mazzate, qui finisce che mi fanno lucidare i pavimenti con la lingua» proseguiva Garrincha, mentre guardava la grata della finestra che aveva appena finito di segare con la lima comprata al ferramenta all’angolo, distante pochi metri.
«Che poi quella manco mi conosce tra un pò, ci sono uscito un paio di volte… Mamma che figura di merda che rischio di fare… No vabbè, io torno indietro» insisteva Garrincha, sapendo di non avere le palle per farlo, perchè se gli era andata bene una volta, non è detto che la seconda sarebbe stata tale e quale.

Pensava tanto quella mattina Garrincha, soprannome datogli dagli amici per via della sua atavica malattia per il calcio ed in particolare per i funamboli brasiliani. Vallo a far capire ai compagni di classe chi è Garrincha e che quel nomignolo è motivo di orgoglio per te, non di scherno.
Era facile parlare di uno dei tanti brasiliani che ormai affollavano il calcio europeo, solo per riempirsi la bocca di quei nomi esotici che si potevano trovare in edicola al costo di pochi spicci.
No, tu eri uno di quelli professionisti, di quelli che comprava le Videocassette vhs e betamax dallo zio dell’amico che li spacciava duplicati nel baretto sotto scuola, di quelli che Maradona è un fenomeno, ma Pelè è Dio. Eppure ti eri scelto Garrincha come idolo, perchè a differenza di Pelè che era un dio, Garrincha sembrava sempre lì per lì per perdere la palla, sempre lì ad un passo dal terreno, sospeso in un limbo che durava un secondo, il tempo di guardarlo partire con il suo gioco di gambe e veder lasciare per strada le diottrie dei marcatori che non sapevano che fare per contenerlo.

«Non posso tornare indietro, ormai sto dentro. Poi che cazzo ci farei con i fiori e questo peluche di topo uscito pure male».

Garrincha non era per nulla deciso, era più che altro obbligato visto le spese sostenute. Ci aveva messo circa 3 settimane di merende saltate per mettere da parte i soldi necessari per presentarsi alla grande davanti a quella ragazza che gli piaceva tanto e che aveva visto solo un paio di volte. La bellezza della gioventù in fondo, quando pensi che l’amore è per sempre, e che il primo sarà anche l’ultimo, per cui ti impegni neanche fosse l’ultima donna della terra.

«Dai cazzo, entro, tanto non dovrebbe esserci nessun guardiano in ogni caso, dovrebbe andare tutto liscio» continuava a pensare tra se e se. «D’altronde è una occupazione, quando mai c’è un guardiano!»

Quanto si sbagliava. Il liceo T. Tasso era rinomato per essere una scuola bastarda. Nonostante delle cellule sinistroidi al suo interno, come anche nel Giulio Cesare, rimaneva pur sempre un covo di destroidi, o perlomeno di figli di papà destroidi. Vestiti firmati, ma strappati. Settimana bianca a Cortina. Avversione verso gli immigrati. Duce si, ma con moderazione. Si era insomma fascisti politically correct, per cui qualcuno a rimarcare la buona vena di controllo si metteva sempre. Poi in questo caso, e c’è da dire solo in questo caso, era si una occupazione, ma di quelle moderne, quelle in cui chi occupa per non fare un cazzo non fa un cazzo, chi occupa per manifestare manifesta, e chi invece vuole studiare e fare lezione continua a fare lezione. Ma questo Garrincha non lo sapeva.

Pulitosi a dovere da ogni residuo di illegalità e sporcizia, che per uno come Garrincha abituato al fruttolo a merenda era un atto doveroso, prese i fiori ed il topo di pezza, rigorosamente poggiati sull’unico cesso dotato di tavoletta, dopo aver accuratamente verificato che la stessa fosse pulita. Poi con il gomito, aprì furtivo la porta che lo separava dal corridoio della scuola per verificare la situazione che lo attendeva.

«Ed ecco ora scatta la prima figura di merda»

Il vocabolario di Garrincha, come quello di molti suoi contemporanei, era provvisto di due parole fondamentalmente: «merda», appunto, e «cazzo». La prima locuzione indicava due suoi stati d’animo: paura, oppure alternativamente quella sensazione che si ha quando ti rendi conto di aver fatto una grossa cazzata. La seconda locuzione invece poteva significare in ordine: semplicemente «cazzo» e ogni suo derivato; «l’ho fatta grossa» oppure alternativamente la sensazione che si ha quando ti rendi conto di aver fatto una media cazzata. Pensandoci bene forse le usava senza manco saperne le differenze, che in fin dei conti non ci sono. A volte invece se ne usciva con un “porco cazzo”, esclamazione onesta e fin troppo veritiera per un adolescente.

Garrincha aprì molto lentamente la porta, ma non trovò altro che due ragazzi che pomiciavano per terra.

«Ma che cazz… proprio così??» pensò Garrincha disgustato, mentre vedeva il ragazzo che tra un bacio ed un altro tentava di infilare le mani nei pantaloni di lei che invece resisteva, non tanto perchè non le andasse, ma più che altro perchè era un modo per non essere etichettata come troietta.
« Un minimo di decenza!» continuó mentre usciva dalla porta con un filo di invidia, visto che stava spendendo tutte le sue forze mentali ed economiche per raggiungere lo stesso obiettivo. Fece qualche passo con discreta furtività, poi quando si rese conto che i due non lo avrebbero filato neanche se minacciati con il coltello, riprese a percorrere in maniera naturale il corridoio che continuava a presentarsi vuoto e privo di parole, e se non fosse stato per i graffiti sulle mura e le porte con le lettere delle sezioni scritte con il pennarello.

«Ma dove sono tutti?» si chiedeva Garrincha mentre scorreva tra le porte bianche della scuola.
«Vabbè meglio così. Vediamo un pò: seconda B, seconda B, dove sei seconda B… Eccola!»
“ 2B“ era la coordinata da battaglia navale dietro la quale si doveva trovare la ragazza di cui stiamo parlando, e Garrincha era pronto ad affondare il colpo, o ad affondarsi da solo. L’esito di una battaglia è sempre questione di dettagli, di sfumature. Le guerre si perdono o si vincono non con i grandi gesti, ma con le piccole decisioni, ma Garrincha aveva studiato tutto, ed era pronto a giocarsi le sue carte senza commettere passi falsi.

«Allora, io entro, saluto, sguardo fiero e sorriso alla Di Caprio in “Titanic” quando stanno sulla prua; poi la guardo, ammicco, le lascio tutto, e me ne vado salutando le sue compagne che sbavano». Così se l’era immaginata il nostro eroe. Mancavano solo le esplosioni alla James Bond dietro di lui ed il quadretto sarebbe stato completo. Fatto sta che Garrincha arrivò alla porta sicuro e spavaldo, afferrò la maniglia, con vigoroso gesto la spinse prima verso il basso e poi in avanti, per poi muovere un passo all’interno della classe. Ma non fece nemmeno in tempo ad entrare e dare il segnale ai muscoli della bocca per abbozzare il sorriso, che si senti dire:
«Mi scusi giovinotto, ma le pare questo il modo di entrare in una classe? Non si bussa? Esca fuori e si comporti con le dovute maniere».
«Oddio mi scusi, ha ragione» fece lui, mentre chiudeva la porta tra i risolini degli studenti. Ecco ora si che aveva fatto una figura di merda.
«Porco cazzo che figura di merda!!! E ora? Busso? Entro? Ma cazzo busso sempre, perchè stavolta no? Eh già dovevo fare il figo, e invece ho fatto la figura del pirla.»
«Giovinotto che deve fare? Entra o non entra?» fece dall’interno della 2B la stessa voce che lo aveva invitato ad uscire.
«Entro subito, mi scusi!» disse Garrincha aprendo di colpo la porta e piombando nuovamente in classe.
«Ma cosa fa! Diamine vuole capire che si bussa prima di entrare!» disse la voce nuovamente, appena Garrincha aveva messo piede nell’aula.
«Ma mi scusi lei mi ha detto di entrare!» risposte il poveretto, ancora più disperato che in precedenza, ma stavolta con tono di orgoglio personale in quelle parole piene di vergogna.
«Certo giovinotto, ma le ho anche detto di bussare prima, per cui esca, bussi, e poi entri. Il tutto con una certa velocità se possibile, che qui non è un teatro, abbiamo cose migliori da fare».

La voce era diventata finalmente un volto, quello di un professore che in quel momento era l’iceberg capace di far naufragare tutto il film che si era fatto, e Garrincha questo lo sapeva. Per cui il giovane ingoiò amaro, abbassò la testa, si guardò le All Star e uscì nuovamente senza dire nulla, non prima di aver scorto una punta di sadismo in quell’ultima dichiarazione.

«Che testa di cazzo… » pensò sicuramente tra se e se, mentre accostava nuovamente la porta prima di uscire. Poi aspettò qualche secondo per bussare.
«Toc, toc, toc.»
«Chi è?»
»Salve, sono il ragazzo di prima, potrei entrare?»
«Prima? Ah si, quello maleducato. Vedo che ha imparato le buone maniere. Può entrare.»

Garrincha aprì quella porta per la terza volta ed entrò in classe, finalmente senza venir ricacciato fuori. Non si curò più di tanto degli sguardi divertiti dell’intera classe, e la prima cosa che fece fu cercare lo sguardo di quella ragazza per cui aveva superato tante peripezie, e lo trovò. Era imbarazzata, ma sopratutto divertita. Godeva di quel godimento tipico femminile nel sapere che lui era lì per lei. Il suo sguardo era forte, ma anche dolce e candido, sensuale nonostante la giovane età e non temeva affatto di sostenere quello del ragazzo, anche perchè non era tanto quello desiderato alla Di Caprio sulla prua del Titanic. Era più quello dello stesso Leonardo mentre era a mollo e congelato a fine film, ma sempre di Di Caprio parliamo, per cui andava ancora bene. Ed in più Garrincha l’iceberg per il momento lo aveva evitato.

«Giovinotto per qual buon vento ha deciso di interrompere la nostra lezione? E’ accaduto un qualche accidente di cui dobbiamo avere notizia o ha una qualche impellente necessità a cui dare seguito in quel di questa aula?»
«Ma come cazzo parla questo» pensò Garrincha, inarcando le sopracciglia così tanto da comprimere anche la scatola cranica. Poi assunse uno sguardo meno sorpreso avendo notato che il professore lo fissava sempre con quel sorriso sadico che non assumeva mai i contorni di un ghigno. E rispose.
«Professore emerito, le chiedo perdono per il disturbo, ma sarei qui per consegnare un dono ad una vostra alunna, se lei me lo consente».
Garrincha aveva preso a parlare stile Richelieu per adeguarsi in qualche modo al fare del professore, il quale era piuttosto dotto e ampolloso per certi versi. E proprio per versi rispose.

«Giovinotto errante
interrompe tutti noi
immersi nella commedia di Dante
cosa dovremmo pensar di voi
sconosciuto pedante
e dei doni tuoi?».

«Questo sta bruciato» disse con un filo di voce a bocca semichiusa mentre cercava conferma della sua affermazione negli occhi degli altri ragazzi nella classe. Ma incontrò solo ghigni, si stavolta erano ghigni. Era alle corde. Di fronte un bastardo di prima categoria, a pochi metri tanti bastardi di qualche categoria sotto, e poi LEI. Non poteva fallire. Non doveva fallire. E accettò quella bislacca sfida rispondendo così.

«Illustre professore
apprezzate il coraggio
non sono un adone
ma neppure un miraggio,
sono solo un amante
e cerco la mia dama,
orsù consentite
a mostrarle chi l’ama.»

Ci furono una decina di secondi di silenzio. I ghigni sparirono e su qualche ragazza, anche su La ragazza, apparirono compiaciuti sorrisi.

«Pija in culo e porta a casa, rima ABAB CDCD, e pure orsù ci ho messo in mezzo» pensò Garrincha intepretando quel silenzio come un ko tecnico alla prima ripresa.
«Capellone, la tua lingua è veloce, tagliente e coraggiosa, complimenti, hai ,come potrei dire, ecco le palle. Potrei ribattere, ma non avrebbe senso usare la mia esperienza per toglierti la dignità, perchè te la toglierei, tienilo a mente. Hai trenta secondi per fare quello che devi fare, dopodiché eclissati, anzi vaporizzati. Intesi?»
Il professore aveva sbracato. Dalla corte di Versailles si era di colpo ritrovato tra le strade del Bronx, e questo bipolarismo improvviso Garrincha proprio non se lo aspettava. Eppure nonostante il volto tradisse il suo stato d’animo, prese coraggio e con un filo di voce se ne uscì così.

«Lei mi chiede di impiegare trenta secondi. Io ne impiegherò il giusto tempo»
La frase non era sua, e chissà dove l’aveva sentita, forse in qualche film di James Bond. Ma nonostante l’apparente spavalderia ci mise anche meno ad andare a passo svelto dalla fanciulla, dirle «Per te dolcezza», ed allontanarsi con quello che doveva essere un sorriso ed un portamento alla Sean Connery, ma che somigliava più alla paresi di uno che si stava cagando sotto, e pure di brutto.
Il professore non disse nulla. Dall’alto della sua saggezza aveva ben capito come avesse terrorizzato il poveretto che nonostante la finta sfrontatezza di uno 007, se la stava tenendo a fatica. Per cui lo lasciò andare via convinto di averla avuta vinta. Tanto lo sapeva come sarebbero andate le cose. Non si diventa professori così, tanto per.
«Mamma miaaaaaaaaa che numerooooo» disse Garrincha in mezzo al corridoio della scuola, mentre aveva gli occhi pieni di euforia e le mani disegnavano mezzelune sui fianchi, come se stesse esultando per il gol vittoria dei mondiali del 1958.

«Stavolta ho fatto proprio il fenomeno. Dribbling sul difensore, scatto tra gli avversari, poi a tu per tu con il portiere infilata morbida». Aveva pensato al termine “infilata” non per caso. «E quanto cazzo è bona quella, dopo questo pezzo passo da prima base a seconda base almeno!». Per chi non lo sapesse prima base era la pomiciata, seconda base le prime palpate. Ma credo questo mio scrupolo sia stato del tutto superfluo. Ad ogni modo Garrincha non era un ragazzo come tanti, perchè nonostante gli ormoni gli annebbiassero la vista più spesso di quante volte andasse al bagno, e lo sperma accumulato negli anni di una adolescenza piuttosto priva di contatti femminili trasudasse ormai dalla pelle insieme ad una copiosa sudorazione, lui era un romanticone.

Continuò ancora qualche secondo con quel balletto, per poi avviarsi trionfale verso l’uscita principale della scuola come Justin Timberlake in un video degli N’Sync. Fece venti metri, poi svoltò a destra, scese le scale che portavano dal piano rialzato al piano strada, salutò il portinaio con un «Ciao Caro», mentre questi se lo guardava chiedendosi chi cazzo fosse, aprì la porta ed uscì per strada, dove un paio di ragazzi facevano si rollavano quella che doveva essere una canna.
«Si si, fatevi le canne per darvi il tono dei belli e maledetti, che intanto io sono quello che scopa» pensò passando tra di loro, sfidandoli con gli occhi senza sapere che mentre lui doveva sudarsela loro neanche la andavano cercando. Se la prendevano e basta.

«Ora meglio tornare a scuola. Che il permesso per le solite analisi non può durare tutta la giornata.» Eh si, il ragazzetto non era tipo da filone, o sega che dir si voglia. Un paio di ore ad inizio giornata se le saltava volentieri, ma tutto il giorno no, sia perchè non voleva sembrare come gli altri che saltavano scuola per paura di una interrogazione, sia perchè i genitori lo avevano mandato dai preti per dargli una raddrizzata. Senza sapere che i preti erano meno dritti di lui. Ad ogni modo si sarebbe saltato le prime due ore di greco a cui seguivano due di matematica e fisica, per cui andava benissimo così. E comunque le analisi alla fine le aveva fatte veramente.
Dunque dicevamo, uscito da scuola si recò alla fermata del 61 a piazza Fiume.

«Fammi vedere se ho il biglietto già “scancellato” o no».

Frugò nelle sue tasche per cercare uno dei suoi biglietti speciali. Speciali perchè appunto riciclati. Eh si, dovete sapere che Garrincha riceveva venti euro di paghetta a settimana con cui doveva comprare i biglietti del bus, la merenda ed i suoi amati fumetti. Ma considerati i costi, era difficile mettere anche solo un euro da parte per togliersi qualche sfizio ogni tanto. Così si era ingegnato. Comprava solo i biglietti con il fondo bianco e la scritta “Metrebus” su un lato. Li timbrava, li usava e poi cancellava il timbro con la gomma blu, quella per le matite. Due lati di timbratura, almeno sei-sette riutilizzi. Se era bravo anche nove o dieci. Nel caso in cui avesse esagerato nel cancellare il biglietto, lo posava per terra, lo pestava con il piede e lo sporcava quel poco che serviva per non far notare la cancellatura. E anche questa fase della procedura era eseguita ad arte per far sembrare che il biglietto fosse stato calpestato involontariamente. Vi giuro che non mi sto inventando niente, lo vidi fare questo procedimento parecchie volte in classe con dovizia e cura estrema. Il ragazzo non si poteva dire che non si applicasse almeno in questo.

«Eccolo, ottimo» fece estraendolo dalla tasca dei pantaloni Levi’s Enginereed che tutti portavano e senza i quali non eri nessuno.

Passarono circa 45 minuti prima che passasse l’autobus. Minuti passati a leggere le insegne dei negozi intorno, poi le dediche sul diario Smemoranda, altro must tra i ragazzi che non ho mai capito. Alla fine può anche un diario scolastico fare tendenza? A quanto pare si.
Arrivato alla rubrica finalmente si palesò il 61.

«Li mortacci tua. Sono le 11. Porco cazzo le 11.» Il pensiero venne rivolto all’autista del bus, il quale non si cagò di striscio il buon Garrincha che alla fine più per polemica che per altro lo malediva. «Cazzo me ne frega, oggi ho fatto tombola. Posso pure non arrivarci a scuola, chiamassero a casa, almeno ho una scusa per dirgli a papà che stavolta il figlio tromba».
Dopo quindici minuti di tragitto finalmente l’autobus arrivò a destinazione. La fermata fortunatamente era praticamente davanti scuola, con il cartellone piantato tra la vetrina di un tabaccaio e ed una sala giochi. Si una sala giochi di fronte ad una scuola, niente di più geniale.

Sceso dal mezzo, Garrincha corse verso l’ingresso, salutò di fretta il padre segretario addetto alla portineria con un «Padre sono in ritardo, mi scusi!», fece a due a due i gradini delle scale fino al secondo piano, poi il corridoio, fino ad arrivare alla porta della 3U. U stava per unica, non per sezione 19sima.

«Fammi mettere un attimo a posto che sono appena tornato dalle analisi, mica da una corsa campestre» fece sistemandosi i capelli ed il pantalone, calato almeno a metà chiappe. Dopodiché afferrò il pomello della porta, fece pressione ed aprì di scatto entrando con nonchalance.

«Professoressa mi scusi il ritardo, ma ero a fare delle analisi».
«Davvero Giovinotto? Ne è sicuro? E non si bussa prima di entrare? »
Garrincha rimase a bocca aperta qualche secondo. I compagni lo guardavano senza capire quello stupore.
«Ma, ma, ma… Ma cosa ci fa lei qui?» fu tutto quello che seppe articolare. Lo stupore era troppo e totalmente giustificato, perchè al posto della professoressa di matematica e fisica, che tra l’altro era un gran pezzo di donna e una visione sempre piacevole, aveva trovato il professore stronzo incontrato un ora prima al tasso, che era l’esatto opposto.
«Sostituisco la vostra professoressa, mi pare ovvio giovinotto. Lei piuttosto, che ci faceva al Tasso, nella mia aula pocanzi, anzichè esser qui?»
«Io, io, io… Io ero andato a fare delle analisi lì vicino e poi ero passato per un saluto alla mia ragazza» argomentò farfugliando. La scusa non era affatto una scusa, ma cos’altro poteva inventarsi in così poco tempo? Certo la fantasia non gli mancava, ma in fondo un conto è inventare di sana pianta, un conto è esser colto in flagranza e doverci costruire una giustificazione plausibile sopra, che includa anche il proprio carnefice.
«Di lei Giovinotto so cosa ha fatto un ora fa, quello che ha fatto prima non mi interessa, e non interessa nemmeno ai suoi compagni. La mia era chiaramente una domanda retorica a cui lei Capellone non doveva rispondere neanche». La discussione si chiuse così, mentre le risa dei compagni di classe aggiungevano il carico ad una situazione di per se già assurda e imbarazzante..
«Si vada a sedere Giovinotto.» fece il professore. «Avremo modo di conoscerci. La sua insegnante è incinta. Il resto dell’anno lo faremo insieme».

Garrincha non esitò, e a testa bassa corse al proprio banco che si trovava a ridosso del muro, sulla sinistra, seconda fila.
«Fammi capire, te sei andato al Tasso per salutare ad una e lo hai beccato lì?» fece il suo compagno di banco, Jordan per gli amici, in quanto fissato da morire con il basket, seppur palesemente scarso.
«Porco cazzo si!»
«Sei proprio uno sfigato! Solo te potevi farti sgamare così, che idiota…» continuò tracotante il Jordan, convinto che quel soprannome gli fosse stato attribuito per la sua bravura, e non per il motivo opposto.
Garrincha non disse nulla. Si mise con la schiena al muro come faceva sempre, rivolgendo solo il lato sinistro alla cattedra, così da poter infilare l’auricolare nell’orecchio destro e sentire un pò di musica con il suo walkman. Un pò di musica significava la stessa cassetta per almeno un anno. In fondo creare una compilation di canzoni su una cassetta significava perdere una settimana aspettando che la radio passasse le canzoni con l’indice pronto a premere il tasto rec dell’hi-fi di casa. Per cui ascoltare quella cassetta era un piacere che veniva gustato fino in fondo, fino a quando quel nastro magnetico si rompeva, o quando arrivava l’estate e le hit stagionali erano un vecchio ricordo.
«Giovinotto le pare il modo di stare in classe?» fece il professore in tono ironico, appena Garrincha si posizionò sulla sedia, di lato. «Si metta composto!»

Il ragazzo non fiatò e si mise a modo. Si preoccupò solo di infilare la cuffia nella manica sinistra della felpa, per farla uscire ad altezza polso, metterla al centro della mano, per poi poggiare la stessa sull’orecchio facendo finta di usarla come sostegno per la testa. In questo modo poteva continuare ad ascoltare la sua compilation che in questo momento era arrivata a “Wonderwall” degli Oasis, la sua canzone preferita.
«Guarda che ti sgama di nuovo questo» fece Jordan.
«E ‘sti cazzi se mi sgama un altra volta» rispose Garrincha. «’Sta canzone è Wonderwall, non rompesse il cazzo».
«Certo che coincidenza però a ritrovartelo…» disse Jordan, che non fece in tempo a finire la frase.
«Cari miei, nella vita non esistono coincidenze, e ora un pò di silenzio per favore» fece il professore.
«Porco cazzo, pure il super udito ha questo qui» pensò Garrincha, mentre aveva premuto il tasto play sul walkman ed il mondo divenne presto la cornice di una canzone.
«’Cos maybe…».

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Ciao ho letto questo primo capitolo e mi sono venute un paio di considerazioni da lasciarti, spero possano esserti utili.

La prima è positiva e riguarda il fatto che questo pezzo si lascia leggere molto bene. Quasi incuriosisce; alcune digressioni sono costruite bene, altre meno. Tutto sommato credo sia capace di attrarre l'attenzione.

La seconda è meno positiva, forse si tratta solo dell'altra faccia della medaglia. Penso che emerga molto poco l'universo identitario dell'autore. Quando leggo cose di questo tipo penso che possano essere state scritte da chiunque. Questo è un difetto. Troppi stereotipi (anche se smussati), inseriti in un contesto estremamente eclettico che a dirti la verità non mi convince.

Attendo comunque le prossime parti :)

Ti rispondo alla seconda parte.
Ma non troppo hehehehe.
Il libro è in realtà diviso in 3 parti. 3 storie. Non posso dirti altro, non posso dirti se sono collegate o meno. Diciamo che voglio dare l'illusione di una storia banale nel primo libro. Ad ogni modo appena riesco a finire le correzioni, pubblicherò qualche altro capitolo e ci tengo che tu mi dica che ne pensi. Diciamo che almeno in questo modo potrò appunto apportare correzioni o meno prima di una eventuale pubblicazione.
Grazie infinite sia per aver letto che per gli appunti. Se vuoi dirmi gli stereotipi ne sarei felice

Ah ok!
Beh sugli stereotipi ad esempio il parlare "sboccato" del protagonista... E' una cosa talmente usata e abusata. Penso te ne sia reso conto anche tu visto che hai sentito la necessità di dare qualche spiegazione in merito nel testo (per questo dicevo "anche se smussati" nel commento precedente). Ma questa è solo una mia supposizione :)

Beh è un ragazzino.. Però dovrai scoprire tante cose piano piano. Il motivo per cui è sboccato e per cui il professore è l'opposto c'è. heheheheheh non ti svelo niente ma commenta.

Guarda però posso dirti che leggendolo scoprirai tante cose poco scontate. Ti verranno parecchie domande e dubbi... ahahahah

@pataxis cosa pensa di questo Garrincha?

Garrincha mi ricorda qualcuno 😉
Invece ho perplessità, se posso permettermi, sulla figura del professore: vabbe’ che al Tasso sono tutti cattivissimi (ma è storicamente un liceo di sinistra, magari radical chic, dove non è attestata la presenza di colori più scuri del blu delle matite correttive), ma quello sembra un po’ una macchietta. Io al buon Garrincha gli avrei fatto ponti d’oro in onore della bella (a parte che si bussa prima di entrare).

Lei deve leggere tutto il libro professoressa. Nella premessa ho ampiamente detto che la storia sembra quello che non è. Davvero.

Attendo trepidante le prossime gesta dell’esilarante Garrincha :)

commenti specifici non ne faccio perchè hai risposto ad altri e ho capito che va letto tutto prima di commentare. A me garrincha comunque è irresistibilmente simpatico. Un punto per te mad. :)

Ragazza sappi che è un libro mooolto complesso

Mi piace la trama, sono curiosa di conoscere la storia di questo ragazzino.
La parte finale, beh...con wonderwall hai scritto il finale del capitolo perfetto.
Mi ricorda quando anche io l'ascoltavo durante le ore di lezione e pensavo alle mia prima cotta.
Bravo!

Grazie innanzitutto... la storia è molto complessa e su vari livelli...

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