Come diventare un musicista di successo (CDUMDS). L'infanzia pt.5
Mia madre mi raccontò come erano andati i fatti, e me lo raccontò con totale freddezza.
Non si curò di cosa mi stesse passando in mente in quel momento, e non si rese conto di quanto ci stessi rimanendo male. Non posso certo biasimarla, un genitore non può dare peso a qualsiasi capriccio faccia un bambino. Dal suo punto di vista, se mi avessero portato via la mia macchinina telecomandata, avrei reagito allo stesso modo, e forse non aveva nemmeno tutti i torti.
Si sa che per un bambino le emozioni sono come un’altalena, un momento prima è triste e piange disperato con i lacrimoni, pochi secondi dopo sprizza gioia da tutti i pori solo perchè ha visto un astuccio di matite colorate.
Per mia madre la mia reazione non fu allarmante, e continuò a fare le sue faccende esortandomi ad andare a giocare con qualcos’altro: - “Visto che Gilberto si è portato via la batteria, e nei giorni scorsi hai tolto la pace alla famiglia e a tutto il vicinato, finalmente le nostre orecchie si possono riposare. Gioca con qualcos’altro”. – disse. (Non lo disse proprio così, lo disse in dialetto. La traduzione l’ho fatta io altrimenti nemmeno Google vi avrebbe potuto aiutare!)
[immagine di libero utilizzo da pixabay]
Lo ho chiesto spesso, ma la risposta è sempre stata piuttosto vaga. Ho paura però, che un figlio batterista non fosse esattamente il sogno dei miei genitori, ma non c’è verso di farglielo ammettere. Ogni volta che glielo chiedo, ancora oggi, dribblano l’argomento come un calciatore Brasiliano fa contro la rappresentativa del Molise. L’idea di sentirmi suonare o picchiare sui tamburi tutti i giorni per chissà quanti anni, non credo li mettesse a loro agio, ed ho sempre –nemmeno troppo segretamente - pensato che avessero esortato Gilberto a venire il più presto possibile, per non fare la figura dei cattivi, ma per poter dire al loro figlioletto innocente: “Peccato, eri così bravo! Purtroppo la batteria è di Gilberto, e come è giusto l’ha portata a casa sua. Dai, non fa nulla, col pianoforte sarai bravo lo stesso”.
Ora: vi pare che se mia madre avesse compreso il mio dolore, non lo avrebbe esposto a mio padre, il quale percependo il talento dietro la passione avrebbe compreso quanto stessi soffrendo? Non avrebbe fatto dunque le opportune valutazioni, e non sarebbe andato di corsa a comprare una batteria? Non funziona così?
Perciò, non sarà mica che la storia del “eri così bravo” fosse solo una copertura?
Penso di si.
Lo affermo. E il fatto che in questo preciso istante una mia formale accusa stia diventando di dominio pubblico, non significa che ce l’abbia con loro, ma mi fa pensare che probabilmente qualche bugia ogni tanto me l’hanno detta.
In base a queste ultime valutazioni, incontrovertibili, va rivalutata e corretta la favola di Pinocchio, perchè l’esperienza insegna che ogni tanto qualche piccola bugia può essere utile e a fin di bene (ma bambini, voi non ditele!)
Come passai il resto della giornata è facile da descrivere. Nella mia mente un unico pensiero ricorrente, quello che mi vedeva seduto su quello sgabello con le due bacchette ormai sfaldate in mano.
Istintivamente cercavo di distrarmi, e di occuparmi di altro.
Trovai sollievo davanti al mio “computer”: Commodore Amiga 500 potenziato e portato a 1000 (cito esattamente quello che diceva Fabio, io che ne sapevo?) Carino che era!
Immaginate una tastiera, ma molto più grande, color crema, con alcuni tasti bianchi e alcuni grigi, che si collegava al televisore tramite presa scart, e aveva inciso in caratteri che mi sembravano cubitali la scritta AMIGA.
Se mi avessero detto che quell’aggeggio sarebbe stata la chiave della mia vita non ci avrei creduto, ma ora non è importante. E’ importante saper che in quella fessurina laterale, infilai per tutto il pomeriggio quattro dischi floppy, nell’ordine richiesto volta per volta, per permettere il caricamento del gioco “Street fighter” (e qui ovazione).
Con il joystick a forma di cloche fissato tramite quattro ventose sul comò della mia stanza, io e “Guile” ci buttammo alle spalle il passato.
[Amiga 500 di Bill Bertram, da Wikipedia]
La sera a cena, non ci furono comportamenti particolari o menzioni speciali. Ognuno raccontò la propria giornata, come sempre. Chiaramente non ci fu nessuna sopresa del tipo “sai che abbiamo comprato una batteria tutta per te?”
Io un pochino quella sera ce l’avevo con Fabio, lo ritenevo in qualche modo complice della tragedia che mi aveva colpito.
Mangiai controvoglia, mi erano tutti antipatici. Volevo solo accendere la tv e cercare qualche cartone animato. C’erano sempre Willy il coyote, Bugs bunny e tutta la serie Looney Tunes nella fascia preserale, subito dopo il tg e subito prima del film in prima serata.
Non erano nemmeno le venti: a casa mia si è sempre cenato presto ed è una tradizione che non si perde. I cartoni sarebbero iniziati solo fra qualche minuto, la cena era finita, e un bambino di sei anni non rimane certo seduto a tavola a meditare suli massimi sistemi. Sopra, sotto, dentro, fuori, avanti, dietro. Una biglia impazzita, come è giusto che sia.
E qualcuno suonò alla porta. E soprattutto nessuno parve stupito.
Il suono del campanello mi ha sempre affascinato, ogni volta che suona l’idea di scoprire chi è, genera quel mix di paura ed emozione che ti fa sentire elettrizzato. L’entusiasmo di scoprire chi è che in quel momento cerca proprio te, che ha fatto chissà quanta strada solo per venirti a trovare, da sempre una sensazione di benessere.
Eccezion fatta per la domenica mattina alle otto quando alcuni signori, di solito un uomo ed una donna, insistono per farti convertire alla loro religione. La domenica mattina alle otto questa adrenalina non c’è, sai già chi sta suonando alla tua porta.
Non era domenica mattina, perciò quel suono di campanello mi esaltò. Avevamo pochi ospiti, e quasi sempre nel fine settimana. Quando c’erano questi eventi io ero il tipico bambino felice, ho sempre amato stare in compagnia.
Un campanello che suonava in un giorno anonimo era un fuori programma, doveva essere qualcosa di veramente speciale.
Tutti lo sapevano, tutti lo stavano aspettando. Avevano già preparato l’aperitivo da offrirgli, un bicchiere di vino bianco se aveva già cenato, o un bitter se ancora doveva farlo. Io invece, io che avevo passato la giornata a giocare a Street Fighter per dimenticare la mia delusione d’amore, avevo raggiunto il mio scopo. Avevo dimenticato il mio dolore straziante, ma avevo dimenticato pure che dalle ore 20 alle ore 21 del lunedi, l’ospite fisso sarebbe stato il maestro Graziano.