Come diventare un musicista di successo (CDUMDS). L'infanzia pt.4 - il trauma
Arrivò dunque il lunedi, ed eravamo a fine Agosto. Diciamocelo, non serve crescere, diventare adulti, lavorare o andare a scuola per capire che il lunedì è davvero una cosa orribile. L’eco dell’ambiente che ti circonda ha il sapore del giorno peggiore della settimana, ed è inevitabile: di lunedì ce ne sarà sempre ancora uno.
Da adulti, nel fine settimana ci ri rilassa, o si impiega per condensare in quei due giorni tutte le attività che durante la settimana non si ha tempo di fare. In ogni caso ci sono ben 48 ore a disposizione da occupare, mica roba da ridere.
Il lunedì mattina invece arriva, si presenta sogghignando e ti ricorda che per avere le prossime 48 ore d’aria ne devi aspettare 120, e questo conto è sufficiente per metterti di cattivo umore.
Da bambini va un pochino meglio, perché ogni giorno, quando la responsabilità maggiore è cercare il passatempo del giorno, vale l’altro: non c’è grossa differenza fra il martedi e il venerdi. Il fine settimana però viene percepito anche da piccoli, perché tutta la famiglia si ritrova unita a pranzo, a cena, si esce, si va al lago a fare la passeggiata o a mangiare il gelato.
Il lunedì mattina ti svegli e in casa non c’è nessuno: il papà a lavoro, i fratelli a scuola o a lavoro e trovi solo la mamma che prepara la colazione. Andavo a dormire la domenica sera sovraccarico di attività svolte, e mi svegliavo il lunedi mattina che eravamo io, mia madre e quel maledetto meccanico con i suoi dannati trattori.
Per un caso o per uno strano scherzo del destino, il maestro Graziano scelse proprio quel giorno come appuntamento fisso per la scuola di musica, ed io mi immaginavo imprigionato dai tasti bianchi e neri per tutti i lunedi della mia vita. Perché raramente se una giornata inizia male finisce bene, e questo il lunedi lo sa e lo usa contro di te!
Quel lunedi mattina, di fine agosto, dell’anno Domini 1987, fino ad oggi, è il più traumatico che riesca a ricordare.
[immagine priva di diritti da pixabay]
Era qualche giorno che mi dilettavo con la batteria, questo l’abbiamo detto. Ormai per molti le ferie erano un lontano ricordo e io sarei andato fra qualche settimana in seconda elementare. Avevo molto tempo libero, e ne impiegavo un cospicuo quantitativo a fare rumore, anzi pardòn: a suonare. Il mio padrino di Roma, (avevo un padrino di Roma, e gli veniva riservata la stessa accoglienza che si riserva ai parenti Americani, quelli importanti per intenderci) la domenica fu invitato a venirci a trovare e portò con sé un’innovazione tecnologica dell’epoca che solo i più fortunati e facoltosi potevano permettersi: la cinepresa! Per qualche anno ho visto la ripresa, di me piccolo batterista quel giorno, in giro per casa. Con l’avvento del videoregistratore poi, qualcuno o forse io stesso, ci avrà registrato sopra qualche programma televisivo, dando un colpo di spugna definitivo al passato percussionista.
Sorridevano tutti quel giorno del fatto che io fossi così entusiasta ed attratto da quello strumento. Erano tutti compiaciuti. Anche Gilberto sorrise quando glielo raccontarono.
Gilberto era un amico di Fabio e suonavano nell’orchestrina insieme . Era lui che qualche sera prima aveva lasciato a casa nostra la batteria, e quella domenica sera passò a casa da noi. Un po’ la presenza del padrino, un po’ perché ero abituato a vedere gli amici di mio fratello in giro per casa, non è che mi posi troppe domande sul perché fosse li.
La mattina seguente, il famoso lunedi, mi alzai dal letto, scesi giù da mia madre che preparava la colazione, scelsi il cartone animato da guardare in tv e avrei iniziato la mia giornata. Magari però avrei suonato giusto un pochino, per non perdere l’allenamento. Anche perché era ancora abbastanza presto, da bambino non facevo tardissimo la sera, anzi. Spesso cadevo stremato davanti la tv, e non era raro che se ci fosse un ospite la serata continuasse senza di me, mentre io ronfavo beato.
Andai a dormire anche la sera prima infatti, c’era Gilberto con Fabio, il mio padrino era andato via, potevo congedarmi.
Finita colazione, finito il cartone mi diressi calmo ma entusiasta verso il garage cercando il telo bianco che copriva la mia amata, e…niente.
Spazio vuoto, una sedia e su di essa il telo bianco ripiegato con cura. Rimasi senza fiato un secondo, con un calma da panico mi voltai verso destra, a sinistra, ma lei non c’era più. Era scappata, sparita, rubata, distrutta, persa per sempre.
Gilberto aveva lasciato la batteria da noi qualche giorno prima perché troppo stanco per smontare, rimontare, caricare, scaricare e tornare a casa. La domenica sera con tutta calma poteva farlo e togliere l’impiccio all’amico che gli aveva fatto il favore di parcheggiarla da lui per un po’. Io ero andato a letto e questo passaggio me l’ero perso.
Così come la trovai inaspettatamente, altrettanto inaspettatamente la persi.
(immagine di libero utilizzo da pixabay]
Ero invaso dal panico, ma non credo sia una descrizione appropriata. Non so descrivere in modo accurato cosa provai in quel momento , cosa prova un bambino che non trova più il suo giocattolo, e per me quello non era un giocattolo. Anche adesso ho la pelle d’oca ripensando a come mi sentii in quell’istante.
Corsi da mia madre a cercare spiegazioni, sperando che l’avessero solo spostata da un’altra parte.
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