CDUMDS (come diventare un musicista di successo). Capitolo 5 - Mio padre.

in #ita6 years ago (edited)

Ho aspettato il quinto capitolo per parlare di mio padre, perché più si scala la piramide e più le parole vanno maneggiate con cura.
Nei capitoli precedenti, se ci avete fatto caso, lui c’è sempre stato. Con un gesto, con un cenno, ma c’è sempre stato.
E mio padre, è proprio quello: un cenno, un gesto, una frase. Niente di più.
Essenza e riduzione del superfluo fino al midollo.

Se è innegabile che il sommo comandante di casa fosse mia madre, predicatrice del preoccupantesimo, e con un master in comunicazione, ben evidenziato dallo slogan “vai a studiare perché noi il maestro lo paghiamo il doppio di Graziano, e tu non fai niente”, è altrettanto innegabile che il Signore Oscuro, il tu sai chi di casa, fosse mio padre.

Biografia del Signore Oscuro.
Nasce a ridosso della fine della Seconda Guerra Mondiale da una famiglia modesta, leggasi povera.
Primo di due fratelli, viene abbandonato all’età di quattro anni dal padre, che emigra in Sud America a cercare fortuna. Non farà più ritorno e non si avranno più notizie, lascerà la moglie sola con due bimbi piccoli a cui badare, e un lunario da sbarcare.
Mio padre, il più maturo dei due, inizia a lavorare come operaio nel campo edile all’età di dodici anni, e smetterà solo all’età di anni sessantacinque, ritirandosi in pensione.
Ha passato praticamente tutta la vita dividendosi tra lunghi viaggi in pullman all’alba e al tramonto, intervallati da sfiancanti giornate lavorative sotto il sole cocente o al gelo, e pochi momenti di relax con la sua famiglia, a cui è devoto fin da giovanissimo.
Per la mamma prima, e per la moglie poi, è stato il vero pater familias, figura che incarna alla perfezione in ogni modo di fare.
Severo, rigoroso, con idee immodificabili ed immodificate, incise sulla pietra dei propri valori, ha messo a disposizione ogni singolo muscolo e respiro a favore della propria famiglia e i propri figli, mettendo da parte tutto il resto.
Si innamora di sua moglie da giovanissimo, la conquista con lunghissime lettere d’amore, e si sposano in segreto e contro la volontà dei genitori.
E vissero per sempre felici e contenti.


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Immagine CC0 creative commons
Le lettere d’amore, che qualcuno di voi avrà sentito nominare da qualche parente, erano un mezzo di comunicazione che si usava molti anni fa.
Talmente tanti che qualcuno forse non era ancora nato.
Funzionavano così.

Si prendeva un pezzo di carta, materiale che ancora oggi è possibile reperire in giro, soprattutto nelle stampanti, e tramite un oggetto dalla forma cilindrica chiamata biro, contenente un materiale fluido chiamato inchiostro, si scriveva su di esso.
Il processo di scrittura prevedeva che la mano fosse utilizzata quasi per intero, a disegnare ogni lettera che componeva la parola, la frase, il concetto completo, fino al riempimento del foglio.
Da questo processo arcaico nasce il detto mettere nero su bianco, che sta a significare la resa indelebile dei propri pensieri, l’espressione dei propri sentimenti e degli stati d’animo.

Anche se oggi, per ottenere lo stesso risultato, bastano un pollice o due, scrivere una lettera non era difficilissimo, ma era necessario conoscere in minima parte la grammatica, e collocare correttamente almeno soggetti e predicati.
La coniugazione verbale, invece, era appannaggio solo dei più ricchi e acculturati, perciò faceva molto spesso acqua.
Sembrerà assurdo, ma nel periodo in cui le lettere erano un mezzo di comunicazione, non era possibile affidarsi a frasi preconfezionate, emoji, o allegare selfie con filtro vintage, essendo il vintage quel periodo stesso.
La coniugazione verbale invece, ha mantenuto la tradizione, e anche nei moderni mezzi di comunicazione, è solo per i più intrepidi.
Una volta superate le difficoltà nella stesura della lettera, questa doveva essere chiusa con cura, secondo la normativa sulla privacy del periodo, e affidarla a un messo. Una specie di corriere, dalla forma quadratoide, il colore rosso bordeaux, e la scritta poste sulla pancia di ferro. Una cassetta delle lettere.
La spedizione non era mai inclusa nel prezzo, ma era più economica.
I tempi di consegna, invece, erano poco poco più lunghi di quelli attuali, nell’ordine di qualche settimana.
Ma non importava quasi a nessuno.
Difficilmente la propria amata, in quel lasso di tempo, si sarebbe lasciata andare nelle braccia di qualcun altro, vista la mancanza dei “Rhum&Coca party” ma soprattutto degli smartphone, delle spunte blu, e dei siti di incontri.


Tornando a mio padre.
Capite bene, che con questi presupposti, la risultante è una persona estremamente concreta, che non si affida a calcoli ma alle esigenze del momento, descrivibile con un unico e inconfutabile aggettivo: testardo.

Mio padre è stato capace di smettere di fumare, dopo venti anni passati a due pacchetti di MS al giorno, una sera, semplicemente dicendo "basta".
Per fare il parallelismo, io ho fumato la metà del tempo, e un quarto delle sigarette, ma per dichiararmi al sicuro da ogni tentazione, ci ho messo due anni.

Questa quadratura, e questa preferenza verso il noto piuttosto che l’ignoto, è stata la chiave anche nell'educazione dei propri figli.
Figli nati in epoche profondamente diverse, tirati su nello stesso modo.
I miei fratelli erano figli degli anni 70 e adolescenti negli anni 80, io dieci anni e poco più dopo.
Dieci anni dopo il mondo non era solo cambiato, si era stravolto, e l’attenzione alle esigenze dei figli sarebbe dovuta essere diversa. Motivo per cui io e mio padre ci siamo scontrati spesso.

La musica, la volontà di farmela studiare, opera sua.
Di contro anche il karate, il mio amore verso quello sport, è stato opera sua. E’ stato lui a ritenere che fosse una buona idea.
Palla al centro.

A quattordici anni, ricordo la sera in cui più lo odiai, come è giusto che un adolescente faccia verso il proprio genitore.
Mi ero letteralmente innamorato, pazzo, della Red Rose.
La Red Rose era la moto, proposta dall’italiana Aprilia, clone dell’Harley Davidson, ma 50cc di cilindrata.
Un bidone. Ma ragazzi, che schianto.

Aprilia_Classic_50.jpgla red rose immagine CC0 creative commons

Una sera a cena, l’unico momento in cui mio padre era in casa, gli chiesi di uscire fuori perché volevo parlargli. Mi vergognavo, cercavo un confronto tra uomini e sapevo che se avessi fatto qualsiasi richiesta dinanzi a mia madre, avrebbe vinto il preoccupantesimo.

Uscì in giardino con me, e gli chiesi semplicemente:

-“me la compri la Red Rose”?-

E lui altrettanto semplicemente rispose:

-“No”-

E se ne tornò a cena.

Cosa mi passò in mente in quel momento? Tutto l’odio che un adolescente può avere. Semplice.

Durante la mia adolescenza ho subito pesantemente il suo influsso, il suo sguardo severo, e il non permettermi tutta una serie di cose che reputavo dovute.
Il primo orecchino che ho messo, a diciassette anni, non mi ha ucciso perché sarebbe andato in galera, ma non l’ho mai visto tanto incazzato. Sembrava gli avessi dato la delusione più grande del mondo.

Imparai perciò ad attuare il metodo non lo vuoi sapere, non te lo dico.
Portavo l’orecchino, i capelli lunghi, e a casa li portavo sciolti così lo coprivano.
Taciti accordi, giochi forza dove io ero la pecora nera e lui quello che non riusciva a tenermi sulla buona strada.

La Red Rose non me la aveva comprata, allora andai a lavorare le estati successive con una ditta di traslochi, e mi comprai un “Si” usato, ma con la marmitta modificata!

Il fatto che fosse di poche parole non ha mai aiutato il nostro rapporto, e il fatto che le poche parole scambiate fossero quelle iscritte su un muro di cemento armato nemmeno.

Arrivammo perciò alla fatidica sera. La sera in cui tutto cambiò.

Dopo una cena, semplicissima, in una serata qualunque, stavo chiacchierando con i miei fratelli. Era estate, mangiavamo in giardino.
Avevo diciassette anni, mi sentivo spavaldo, con un sacco di amici e un sacco di cose a cui pensare. E chiacchierando, dissi ai miei fratelli che se fossi stato una femminuccia, probabilmente sarei stata un’allegra adolescente.

Mio padre sembrò non gradire quel punto di vista e si intromise nel discorso, chiedendomi secondo me, come avrei fatto ad essere una allegra adolescente.
Io, senza percepire alcun pericolo, semplicemente risposi che avrei fatto in modo che lui non avesse saputo niente.

Si avvelenò.
Percepì quel discorso campato in aria, come una cosa che io non solo sarei stato capace di fare, ma che probabilmente stavo già portando avanti. Io gli stavo nascondendo qualcosa.
Mi arrivò una cinquina, di quelle piene, che fanno “sbam”.
Stupito, mi alzai e me ne andai. Non ci potevo credere. Ma che gli era saltato in testa?

Lui nel frattempo prese il mio “Si” e lo chiuse in garage, con atteggiamento del boss.
“Stasera tu non esci”.

Allora lo affrontai. Chiamai i miei amici, e mi feci venire a prendere. E senza dire niente, uscii.

Che successe poi?
Niente. Nulla.

Quella sera, mio padre capii che non ero più un ragazzino, ero diventato un uomo, e lui non poteva più controllarmi. Qualsiasi fosse stata la mia scelta, da quel momento in poi, sarebbe stata solo colpa o merito mio.
In ogni caso, però, lui mi avrebbe appoggiato.

Di quella serata, probabilmente, rimanemmo stupiti entrambi.

Io iniziai a uscire molto più frequentemente, a rientrare molto più tardi del solito, e lui non disse mai nulla.
Feci l’esame per la patente pochi mesi dopo, mi bocciarono; lui la sera mi lasciò la macchina per uscire ugualmente, perché sapeva che era stato solo un evento sfortunato, ma di me si poteva fidare.

Mi iscrissi all’università. Ho pensato di mollare un miliardo di volte, ma mi sono laureato per lui, per loro.
Perché loro hanno fatto tantissimo per me, e in qualche modo avevo il dovere di ripagarli
I miei non hanno mai investito un centesimo, hanno sempre avuto il terrore dell’ignoto, e fatto un passo solo quando erano strasicuri di poterne fare altri dieci successivamente.
Io ho comprato una casa ed acceso un mutuo, e per quanto abbiano provato a trasferirmi il preoccupantesimo per il passo azzardato, l’ho fatto ugualmente, senza garanti, e loro hanno dato il benestare, contribuendo come potevano.
Le preoccupazioni me le sarei tenute per me, senza passarle anche a loro.

Quella sera mio padre smise di avere un figlio, e conobbe l’uomo che aveva messo al mondo.
Con i suoi pregi e i suoi difetti.
E che ci fosse qualche orecchino, e qualche sigaretta nascosta in giro, tutto sommato non era pericoloso quanto credesse.
Forse, per la prima volta, ho fatto cambiare idea a mio padre. E ci siamo conosciuti meglio a vicenda.

Il Signore Oscuro era più simile a me di quanto credessi, e io sono più simile a lui di quanto possa sembrare.


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Prima di tutto scopro che hai avuto anche tu una vena metallica ( capello lungo)
E mi è piaciuto il paragone con il signore oscuro, hai reso bene l’idea!

Voglio spezzare una lancia a favore di tuo padre perchè ha dei punti in comune con mio nonno.
Quando ti privano dell’infanzia e dell’adolescenza cambi. La sensibilità prende il posto della durezza e la gentilezza non è contemplata.

Cresciuti troppo presto e senza essere mai ragazzi, si ritrovano uomini inflessibili.
Calcola che a quasi 30 anni ancora temo un suo giudizio o un suo sguardo deluso.
Mi sei piaciuto più del solito @suryavoice

E si. Su mio padre ho provato a ironizzare ma c'è stato poco da fare!! Grazie @g-e-m-i-n-i, mia fida seguace.
P. S. Ricordi che avevo criticato il tuo poco apprezzamento per i metallici?

Anch’io ho provato con l’ironia ma non ha funzionato... quando sento arrivare il vento del nord mi dileguo! Fuggo!!!
Ahhh ora capisco ti avevo punto nel vivo della metallicità :D

Oh ma io sono fedelissima! Attendo una gift card o lo status: follower ad honorem, a te la scelta!

Uno status follower ad honorem lo posso pensare... Mmmm si può fare. Ora vedo come organizzarlo :)

Bel capitolo. Il rapporto con i genitori non è mai semplice per un figlio, fino a quando non scocca l'ora X. Tutti l'abbiamo vissuto, il momento nel quale smetti di essere il bimbo di casa... ed è un momento che segna tutta la famiglia.

Ma come mai proprio ora questo excursus? Dove andiamo a parare? Quando diventi informatico? 🤔

Ahahahaha scusa hai ragione. Sto divagando. Non perdiamo di vista il momento in cui diventerò informatico. Mi sbrigo allora.

Il tuo miglior capitolo Surya! Del resto quale argomento più intenso, difficile e sensibile di quello che tocca i nostri genitori? Ero parecchio curiosa di sapere di tuo padre, visto che, come dici, lo si è intravisto ma a malapena. Bravo, scritto bene e si percepisce il rispetto, l'affetto (e anche un po' la paura) che provi verso il tuo papà!

Grazie @camomilla, speriamo allora sia il migliore capitolo finora. E il primo dei capitoli migliori 😉

Finalmente un capitolo che fa giustizia all'idea di questo romanzo. Sicuramente il più riuscito finora, il più ragionato e meglio strutturato/costruito:)
E l'argomento, complesso e delicato e unico come sono unici tutti i rapporti genitori/figli, è raccontato davvero bene. Bravo!

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