Giulia

in #ita7 years ago (edited)

Giulia non la sento da un po'. Almeno da tre anni. Ci siamo allontanati pian piano, prima una telefonata una volta al mese, poi un messaggio ogni due e poi, semplicemente, più niente. E' accaduto e basta. Ogni tanto però, quando le cose non girano per il meglio, penso a lei e alla sua forza d'animo. Forse cerco il suo ricordo perché vorrei un esempio da seguire, non lo so. Quello che segue è un piccolo pezzo della vita di Giulia, raccontato come, immagino, farebbe lei. Era il 2005.

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Giulia

Ero una ragazza normale, anzi, ero una bella ragazza: lunghi capelli neri, occhi azzurri, un bel fisico. Avevo appena preso una laurea, una di quelle lauree considerate "importanti". Mi ero appena sposata, avevo arredato casa scegliendo con cura i mobili, ero contenta, soddisfatta. Avevo un bel marito, una bella carriera agli albori e il progetto di un figlio. Un figlio che non arrivava mai. Un figlio che è arrivato, con un test di gravidanza finalmente positivo, a ottobre del 2007, dopo due anni di cure ormonali, ecografie periodiche e analisi del sangue mensili. Quel giorno pensai di aver coronato tutta la mia vita. Invece, nonostante il bambino fosse stato cercato con tutti i mezzi messi a disposizione dalla medicina, quando mio marito si rese conto che stava per diventare padre si accorse che, in realtà, non era quello che voleva. Dopo una crisi durata quasi per tutta la gravidanza, di comune accordo, decidemmo di lasciarci. Io riuscii a mantenere un certo equilibrio finché, ai 5 mesi di mia figlia, non smisi di avere il latte e sospesi l'allattamento al seno per passare al biberon. A quel punto, per me, arrivò il crollo: non avevo più una carriera, non avevo più un marito e il fatto di non produrre più latte per nutrire mia figlia mi fece sentire inutile anche come mamma. Mi rifugiai nel cibo. In pochi mesi riuscii a ingrassare più di 20 kg. Mi odiavo, avevo quasi paura di me stessa. Non riuscii a rientrare al lavoro, al termine del congedo di maternità: avevo paura degli sguardi maligni delle mie colleghe. Non uscivo più, mia figlia era diventata tutto il mio mondo e proiettavo su di lei le mie ansie: consultavo di continuo il pediatra per sapere se stesse bene. Non la lasciavo prendere in braccio da nessuno, nemmeno da mia madre. Ero diventata iper-protettiva con lei e totalmente priva di fiducia nei miei confronti: pensavo di non essere in grado. In fondo, non ero stata in grado di tenermi la vita ideale che avevo prima di tutto quel disastro. Grazie al consiglio di una delle poche amiche a cui ancora permettevo di far parte della mia vita, venni a conoscenza di un corso di crescita personale, tenuto da una psicologa che godeva di ottima fama nell'ambiente. Ci misi un po' a convincermi, ma alla fine mi iscrissi. Lo feci più che altro perché fui molto incoraggiata dalla mia famiglia: per il mio stato psicologico di quei tempi, naturalmente, io non avevo fiducia neanche nel corso. Le prime due lezioni furono quasi traumatiche: per me era difficile trovarmi con degli sconosciuti, in un corpo che non sentivo mio, in uno stato mentale che non mi apparteneva, che non sapevo gestire. Eravamo in 12: c'erano delle ragazze che cercavano di uscire dalla depressione post-partum, una signora cinquantenne che aveva perso il lavoro a pochi anni dal traguardo della pensione, un uomo che non riusciva a superare il divorzio e un ragazzo che viveva una situazione di mobbing da parte di colleghi d'ufficio, un po' troppo decisi a fare carriera. La dottoressa che teneva il corso era una donna assolutamente affascinante. Ero succube di lei, forse perché mi ricordava quello che sarei potuta diventare, se non mi fossi auto-frenata: era una quarantenne attraente, sicura di sè, sembrava che governasse il mondo tenendolo saldamente per le redini. Durante la terza lezione ci propose di fare un gioco: dovevamo inscenare una situazione di vita quotidiana, a coppie, tentando di renderla ironica. Il solo pensiero di alzarmi, nella mia obesità e di mettermi al centro nella stanza a recitare, cosa che credevo di non saper fare, mi terrorizzò, letteralmente. Mi rifiutai. La dottoressa cercò di convincermi in mille modi. Stava succedendo esattamente ciò che non volevo: avevo l'attenzione di tutti puntata su di me. I miei compagni di corso mi guardavano con comprensione mista a pena, come si guarda la bambina capricciosa che non sa fare una cosa e viene incitata dalla maestra a provarci lo stesso. Rifiutai categoricamente e trascorsi le due ore seguenti a guardare i miei compagni che recitavano, seduta in un angolo della stanza, per non intralciarli. A un certo punto mi resi conto che non mi sentivo per niente in colpa per ciò che era successo. Non ero in imbarazzo, non mi sentivo più la bambina incapace che fa tappezzeria. Riuscii anche a ridere delle situazioni messe in scena dagli altri. Quell'episodio mi fece capire una cosa: avevo rifiutato le direttive di una persona che stimavo follemente, l'avevo fatto davanti a tutti, avevo tenuto il punto con convinzione, andando controcorrente, e mi ero persino divertita. Ero tornata tosta. Ero di nuovo una donna con carattere. Quando lo dissi alla dottoressa mi rispose che si aspettava quella reazione, per questo a un certo punto aveva smesso di insistere. Come vi dicevo: era una che sapeva sempre cosa stesse facendo e non sbagliava un colpo. Da quel momento, con una nuova consapevolezza di me stessa, ho iniziato a mettere ordine nella mia vita. Poco a poco mi sono accorta che non avevo più bisogno di mangiare per sentirmi "piena" e cominciai a perdere peso. Non avevo più vergogna di uscire di casa, anzi, ogni giorno facevo lunghe passeggiate con mia figlia nel passeggino e iniziai a socializzare con le altre mamme al parco. Cominciai ad avere fiducia nel corso: ascoltavo attentamente, partecipavo alle discussioni, mi immedesimavo nelle storie degli altri e cercavo di coinvolgere loro nelle mie, dando peso ad ogni consiglio e ad ogni giudizio. Ero di nuovo recettiva verso gli altri ma, soprattutto, avevo di nuovo qualcosa da dare. Questo mi ha permesso di riprendermi la mia vita: amicizie, uscite, un nuovo compagno. Mi manca di riprendere in mano la mia carriera. Quella carriera che avevo lasciato andare per paura di affrontare le prese in giro infantili di colleghe altrettanto infantili. È il mio prossimo obiettivo. Sono sicura che lo raggiungerò: sì, ho detto proprio "sono sicura". Il corso non mi ha cambiata: mi ha solo fatto ritrovare la persona che avevo perso dentro di me. Quando l'ho finalmente ritrovata, grazie a quell'episodio avvenuto durante la terza lezione del corso, ho scoperto che era una persona felice, intelligente, piena di qualità e che, nella vita, può fare ancora tante cose: tutte quelle che vuole.

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Ammazza quanto scrivi bene...!!

Scritto toccante e molto bello 👏

...pssst , uno spazio tra un paragrafo e l'altro alleggerisce la lettura :-)

si john, hai ragione

Bisogna stare nel disordine per riuscire a rimettere ordine. Purtroppo decidere di riordinare non è affatto scontato.

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