Blessed be The Handmaids Tale

in #ita6 years ago (edited)

Il successo della prima stagione di The Handmaid's Tale è stato travolgente, inaspettato, fragoroso. Un boom che ha avuto del clamoroso e che è culminato in un trionfale riconoscimento nella serata degli Emmy Awards 2017 dove la serie, tratta dal romanzo I racconti dell'ancella di Margaret Atwood, fu premiata come miglior Drama dell'anno oltre a ricevere riconoscimenti tecnici e premi attoriali tutti al femminile per Elisabeth Moss, Ann Dowd e Alexis Biedel.

Alla luce di quel successo ed in considerazione del fatto che con la prima stagione era praticamente stato svuotato il serbatoio delle vicende raccontate nel romanzo della Atwood vi era grande ansia, attesa, curiosità ed un velo di scetticismo in vista della seconda stagione.

Terminata da poco, con l'ultimo episodio trasmesso da Hulu solo pochi giorni fa, è ora possibile fare un bilancio più completo di quello che è stata la seconda stagione e di quale sia il posto di The Handmaid's Tale nel panorama televisivo attuale e nella storia della tv.

Senza tergiversare possiamo dire che la seconda stagione è stata all'altezza della prima se non addirittura migliore e che oggi The Handmaid's Tale rappresenta il meglio che la serialità possa offrire inserendo la serie anche tra le migliori mai create nella storia della tv.

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La cosa sbalorditiva che la seconda stagione ha saputo offrire è stata una capacità di contestualizzare le tematiche affrontate nell'universo distopico delle Unwomen nella società di oggi.

La tirannia e la dittatura che regna in Gilead è ovviamente lontana anni luce da quelli che sono gli Stati, le Nazioni che compongono il mondo oggi ma la relativizzazione delle ansie, paure e drammi che in essa ci vengono mostrati nella distopia di The Handmaid's Tale ci permette di analizzare al meglio quello che accade oggi nella nostra società partendo da un punto di vista femminile verso il mondo delle donne di ogni luogo e tempo.

Se nella prima stagione tutto ruotava intorno all'universo delle ancelle, ai soprusi e la spersonalizzazione che veniva loro destinata portandoci a conoscere al meglio donne e uomini di quel luogo di fantasia e le regole che determinavano i rapporti, o meglio i non rapporti, che regnavano a Gilead nella seconda stagione l'orizzonte si allarga ed ogni situazione sembra essere funzionale alla volontà di raccontarci temi ed emozioni più universali.

La forza del racconto ne ha giovato, evitando di cadere nelle sabbie mobili del già visto e dello stantio ma elevando ogni personaggio che prima era di contorno ad un simbolico ruolo di protagonista.

Ci viene introdotta la giovane Eden che in sordina e per sottrazione riesce a ritagliarsi sempre più spazio fino ad essere assoluta protagonista del dodicesimo episodio, uno dei migliori della stagione, e fino a diventare il vero e proprio detonatore emotivo degli eventi che saranno narrati nel season finale.

Nick, sempre guardingo e compassato, emerge nella sua lucida umanità ogni volta che entra in scena pur essendo raramente scelto come personaggio chiave dell'azione.

Piccoli personaggi come la Marta, le mogli di Gilead, hunt Lydia, le ancelle meno approfondite nella scorsa stagione e altri personaggi di contorno riescono ad appropiarsi di una loro dignità cosi come lo fanno vecchi e nuovi personaggi come Moira, Hannah, Luke di June seppur lontani dalla dittatura e al sicuro nel vicino Canada.

Il comandante Waterford abbandona i panni disturbanti ma spesso rassicuranti dell'uomo devoto alla causa ma gentile e apparentemente debole che avevamo conosciuto nella prima stagione per diventare sempre più violento, cinico e cieco di fronte alle abbozzate ribellioni delle sue donne di casa e non solo.

La bistrattata Emily ritorna in campo e lo fa a poco a poco con minutaggio sempre risicato ma sempre ben sfruttato che ci mostra una donna pronta a tutto pur di vendicarsi a poco a poco dei suoi aguzzini e spingere il resto del gruppo a prendere coscienza di se.

Ma è con Serena Waterford che Bruce Miller riesce a fare un lavoro pazzesco. La signora Waterford ingessata, devota e incastonata nel proprio ruolo come un diamante in un anello viene a poco a poco fatta diventare la vera coprotagonista della stagione grazie ad una presa di coscienza del suo non ruolo, della sua non esistenza, della sua spersonalizzazione totale e della mancanza assoluta di una prospettiva migliore sia per se stessa che soprattutto per sua figlia, o meglio figlia di June, destinata ad un futuro di analfabetismo, anaffettività e obblighi nei confronti di padre, marito, figli che verranno.

Ed è proprio la nascita di Holly/Nichole che funge da catalizzatore per il passaggio dalla vecchia Serena alla nuova Serena, un cambiamento che viene prima insidiato nella mente dello spettatore e della stessa Mrs Wateford, per subire poi delle brusche frenate assolutamente in character e ben sviluppate per poi ripartire nuovamente e con gradualità per permettere a Serena di comprendere appieno che tutto ciò che era stato in grado di costruire e per cui aveva lottato non è altro che un mondo senza presente, senza futuro, senza amore e privo di ogni slancio emotivo e personalizzante per le donne e i figli di Gilead.

Il viaggio in Canada, la nascita della piccola Nicole, la storia di Eden, una vita nella quale le donne sono identificate solo da ruoli predefiniti (moglie, ancella, figlia, marta, zia..) hanno creato in Serena la consapevolezza che anche lei, moglie di un potente comandante, non avrebbe avuto spazio, non avrebbe potuto mai esprimersi, leggere un libro, tenere tra le mani una penna, parlare in pubblico e sarà l'episodio finale a scatenare la rivoluzione interiore della signora Waterford in una delle scene più toccanti e potenti di tutta la stagione nei 10 minuti finali.

Serena sembra lasciare alle spalle la moglie per tornare a vestire i panni della donna.

Una sensazionale Ivonne Strahovsky riesce nell'impresa di donare profondità ad un personaggio che era nato per essere monodimensionale e finisce per rubare la scena a tutto e tutti.

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Forse non proprio tutti perchè The Handmaid's Tale non sarebbe un tale capolavoro assoluto senza l'interpretazione di Elisabeth Moss.

Si faticano a trovare gli aggettivi di fronte alla recitazione della protagonista di Top Of The Lake e di Mad Men. Dai suoi occhi passa la speranza e nei suoi occhi spesso muore, dalla sua voce sussurrante i nomi propri delle ancelle (in uno dei tanti piccoli atti di ribellione della seconda stagione) scatta la rivoluzione silente delle donne di Gilead, dalle sue mani volano ceffoni più o meno metaforici verso il regime, dal suo corpo nasce la vita letteralmente e da quella vita parte l'attacco definitivo allo status quo.

Elisabeth Moss è superba e non basteranno Emmy o Golden Globe a rendere giustizia alla sua performance. 

Una stagione magnifica dunque, che ha ridefinito il concetto di ribellione e si è inserita prepotentemente nell'ideale manifesto femminista della serialità di questi ultimi 12 mesi, quella del post-caso Weinstein, quella di Big Little Lies e di G.L.O.W., quella di Sharp Objects e di Good Girls, passando per Killing Eve e Dietland.

Il potere alle donne passa, paradossalmente da una serie nella quale le donne sono soggiogate dagli uomini, non hanno diritto a leggere o scrivere, non possono innamorarsi o fare l'amore ma solo procreare a comando, donne violentate, stuprate, picchiate e ammazzate psicologicamente minuto dopo minuto.

Sono tante le scene di questa seconda stagione impresse nella memoria.

Scene come quello di uno stupro ad una donna incinta o di una ragazza lasciata annegare per aver commesso il terribile peccato di essersi innamorata di un uomo diverso dal marito che le era stato affidato resteranno per sempre nella memoria come scene disturbanti.

Momenti semplici come 2 donne intente a scrivere insieme in una stanza con una scrivania quando li fuori sarebbero state ammazzate per aver commesso il reato imperdonabile di aver provato a scrivere qualcosa.

Donne morte di fame e fatica nei campi e peccatrici appese al muro, bombe che esplodono e micce che si accendono.

Tasselli di un puzzle terrificante che uno dopo l'altro ci hanno fatto innamorare sempre di più di questa meravigliosa serie, una serie necessaria oggi e che sarà ricordata domani come l'ennesimo capolavoro della serialità contemporanea.

Blessed be the fruit!


 


Sort:  

Ti seguo sempre con interesse e colgo loccasione per dirti che mi sono divorato le 3 stagioni di Billions e non posso che dare un ottimo giudizio.
Ora su tuo consiglio ho iniziato a vedere Broadchurch , oddio ho visto solo il primo episodio ma se il buongiorno si vede dal mattimo , allora promette bene , quindi grazie delle dritte.

Mi fa piacere che i miei consigli siano graditi. Questa cosa mi spinge ad essere sempre più attento e presente per voi. Grazie.

Ora la guarderò, partendo dalla prima stagione. All'inizio l'argomento non mi attraeva, ma vediamo di tuffarcisi. Grazie.

All'inizio può sembrare pesante e pretestuosa ma credo sia davvero una serie di livello assoluto, da annoverare tra le migliori di sempre.

Non ho Hulu (ma esiste in Italia?) ma mi segno la serie nel caso sbarcasse su netflix o su prime. L'incipt mi attizza, è anche poi quel tipo di narrativa che leggo o vado alla ricerca.

p.s. dimenticavo, se poi ci sta Ivonne, che te lo dico a fare... tutti si sono innamorati di lei in Chuck

Ah ah, beh la Strahovsky è un discreto incentivo direi!
E qui oltre ad essere bella come sempre è di una bravura abbacinante.
Hulu è un servizio di streaming stile Netflix ma in Italia non dovrebbe esserci ancora.
Se non erro la serie è trasmessa su Tim Vision in Italia, non ricordo.

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Ottima recensione @serialfiller! Mi sa che abbiamo gli stessi gusti in quanto a serie TV😝

Ottimo direi!

Prendo nota per la prossima serie da vedere! Grazie dell'accurata (ed accorata) analisi!

Su questo posso mettere la mano sul fuoco che la serie ti piacerà. Troppo ben fatta per non appassionare e sorprendere.

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