American Crime Story: The Assassination of Gianni Versace

in #ita6 years ago (edited)

Se mi chiedeste chi è l'uomo che negli ultimi 5 anni ha dimostrato di essere il più in forma, eclettico e incisivo nel mondo della serialità tutta non avrei dubbi nel rispondervi con un nome preciso: Ryan Murphy.

Produttore, regista, sceneggiatore e chi più ne ha più ne metta, Murphy è decisamente diventato l'uomo più influente del settore nell'era post Breaking Bad.

Chi ha seguito l'ultimo Ryan Murphy stenterà a credere che ci sia lui dietro il musical teen a tinte drama chiamato Glee che nel 2009 fece appassionare milioni di adolescenti. Breve parentesi quella prima di approdare su FX con il discusso ma fulminante American Horror Story, serie antologica premiatissima e chiacchieratissima che ha visto mettere in scena gli incubi peggiori della nostra era tra clown, psicopatici, manicomi e case infestate.  

Murphy ha poi firmato quel capolavoro di Feud l'anno scorso e quest'anno è approdato su Fox con 9-1-1, una serie in stile Shonda Rhymes ma firmata Murphy sul mondo del pronto intervento e affini.

Un artista che più poliedrico non si può insomma.

Ma è con American Crime Story: OJ Simpson Trial che Ryan ha ricevuto la sua consacrazione definitiva.

Un'altra serie antologica, questa volta a tinte crime, che si proponeva di raccontaci eventi criminali chiave della storia americana sotto una luce diversa, sotto la lente di ingradimento del regista. Ed ecco che il crimine diveniva un pretesto per parlare d'altro, per parlare dell'America tutta, delle sue contraddizioni, del popolo americano, fino a scavare dentro l'animo umano nel profondo.

La prima stagione di American Crime Story è stata un successo di pubblico e critica. Ascolti incredibili su FX e incetta di premi durante tutta la stagione. Un trionfo.

Per questi motivi la seconda stagione di American Crime Story aveva suscitato un hype incondizionato da parte di tutti. Sarebbe riuscito Murphy a raccontarci il crimine, l'omicidio di Gianni Versace il 15 Luglio 1997 a Miami, senza essere didascalico? Sarebbe riuscito ad andare dritto al cuore della storia senza perdere di vista i personaggi secondari?

Non solo ci è riuscito ma lo ha fatto in maniera stupefacente.

I protagonisti e il racconto

Partiamo subito col dire che American Crime Story: The Assassination of Gianni Versace non è stata il successo che ci poteva aspettare, non sempre è stata accolta con entusiasmo e qualche dubbio lo ha lasciato. Questo non vuol dire che è stata una catastrofe, anzi! Questa stagione non ha fatto altro che confermarci la genialità di Ryan Murphy. Ha saputo costruire in maniera diversa un racconto diverso rispetto a quello che includeva OJ Simpson, e lo ha fatto scegliendo una strada impervia, rischiosa e che nessuno si sarebbe aspettato avesse potuto prendere.

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Potremmo definire The Assassination Of Gianni Versace la storia dell'omicidio dello stilista Italiano con i Versace sullo sfondo a fare da comprimari all'assassino di Gianni Versace. E' infatti Andrew Cunaanan il vero protagonista del racconto. All'inizio sembrava una scelta folle e azzardata e invece, a mio avviso, è stata necessaria e brillante.

Andrew Cunaanan uccise ben 4 persone prima di assassinare Versace dinanzi il cancello della sua villa a Miami Beach.

La polizia sapeva, conosceva il killer ma lo ha sottovalutato, lo ha messo tra i faldoni a bassa priorità perchè Cunaanan aveva commesso un crimine più odioso degli omicidi: era un omosessuale. Per di più era un omosessuale che aveva ucciso uomini con i quali si intratteneva nel 75% dei casi. Questa mappatura di eventi faceva di quegli omicidi degli omicidi di basso interesse. Come dirà Ronnie nell'ultima puntata alla polizia sono stati loro ad uccidere Versace e non Cunaanan perchè Andrew è diventato "importante" solo dopo aver ucciso una star. Gli altri omicidi non avevano fatto scattare l'allarme perchè avevano colpito la "feccia" della società, il mondo omosessuale cosi inviso ad FBI e polizia locale. E cosi quell'omicidio è solo il pretesto per raccontare i drammi, i silenzi, le paure di chi in quegli anni professava apertamente o meno la propria omosessualità.

E i Versace come si incastrano in questo racconto?

Lo dicevo prima, loro sono un contorno alla storia. Gianni (Edgar Ramirez) appare poco e viene in un certo senso divinizzato. Un uomo con i tratti di un Dio. Fonte di ispirazione e ammirazione per tutti. Un self made man che ha vissuto una vita difficile, ha seguito un percorso non canonico fin dall'infanzia per inseguire il suo sogno e dare sfogo al suo talento. Uomo unico che ha portato la propria azienda a diventare un colosso su scala mondiale, fino ad essere la prima casa di moda ad essere quotata in borsa. Un uomo divino dicevamo ma al tempo stesso fragile e la cui esistenza era gia sta messa a dura prova da una malattia poi superata. E proprio quel toccare da vicino la morte che lo ha fatto sentire immortale, immortalità divelta da quei colpi di pistola al rientro dall'edicola in una normale e banale mattina d'estate in quel di Miami. Non poteva sapere Versace che proprio la sua vita, proprio il suo talento avevano portato il giovane Andrew a diventare uno spietato assassino alla ricerca di altrettanta fama e prestigio.

Donatella Versace (Penelope Cruz) è ancor più marginale, la vediamo poco e la sentiamo vicina solo in alcune sequenze delle puntate finali dove ci viene mostrata l'intimità tenera e persuasiva tra lei e il suo gigante fratello. Vittima o carnefice di quel sistema? Una domanda aperta che ci ha lasciato Murphy. Una donna tentata dall'aprirsi agli eccessi e alla libertà di suo fratello ma che più pragmaticamente ha deciso di tagliar fuori quel mondo dalla sua azienda, dalla sua vita dopo la dipartita del fratello. 

E cosi è il compagno di vita di Versace, il bell'Antonio (Ricky Martin) ad ergersi come la figura più drammatica all'interno del nucleo Versace. Un uomo affascinante, innamorato e disinibito che è sempre rimasto nell'ombra, e nell'ombra ha saputo donare a Gianni una vita felice e piena d'amore. Ma anche Antonio come Andrew ha pagato per tutti l'onta della sua omosessualità. In tal senso è dolorosa e disgustosa la scena che ritrae il vescovo di Milano, durante la funzione funebre al Duomo di Milano in memoria di Gianni, rifiutarsi di omaggiare Antonio e porgergli l'altra guancia in quel momento di dolore. Una singola sequenza magnifica nella sua potenza. Una scena, un'unica scena per raccontarci tutta l'ipocrisia della Chiesa e della società tutta su quel delicato tema che è l'omosessualità. Non è un caso che quel gesto, unito alla consapevolezza di essere rimasto senza nulla dopo la morte dell'amato e di non avere alcuna voce in capitolo su eredità e famiglia, che porta Antonio ad un gesto disperato ed inevitabile: il suicidio, o almeno il tentato suicidio.

Molto molto discutibile la scelta del cast, non tanto per la qualità degli interpreti ma per il fatto che i 3 attori protagonisti sopracitati fossero tutti di origine ispanica e non italiani. La resa visiva e dialogica ne ha risentito molto. Le scene girate in lingua italiana sono sembrate artefatte, cosi come il generale accento poco credibile dei 3 attori. Punto debole, anzi debolissimo della storia che Murphy avrebbe potuto e dovuto curare meglio.

 
[Immagine di pubblico dominio](https://commons.wikimedia.org/wiki/File%3AAndrew_Cunanan_FBI_Wanted_Poster.jpg)

Non è un caso che a livello attoriale la parte del leone l'abbia recitata il giovane Darren Chriss nella figura di Andrew Cunaanan. L'attore ha sfoggiato una gamma emozionale vastissima, creando un personaggio ambiguo, carico di contraddizioni e mentalmente instabile ma al tempo stesso ha donato ad Andrew un carisma ed una personalità quasi magnetici, un personaggio folle, completamente folle e ingiustificabile ma che Chriss ha saputo avvolgere di un'aura empatica incredibile. Non di poco conto la scelta di approfondire l'infanzia e l'adolescenza del giovane Cunaanan, un periodo in cui vediamo la vera e propria genesi del serial killer e la trasformazione di Andrew da giovane sognatore e brillante studente, quasi ingenuo e puro a uomo dotato di un'agghiacciante fantasia e una follia sconcertante. Un personaggio da brividi il suo. Ottimo il comparto attoriale che ha vestito i panni dei genitori di Andrew, conferendo a quest'ultimo una drammaticità enorme.

OJ Simpson VS Gianni Versace

Come diceva Caparezza: Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un'artista.

Aveva ragione e la seconda stagione di American Crime Story lo testimonia. Replicare il successo della prima era un'impresa titanica. Murphy non c'è riuscito in pieno ma ha avuto la saggezza di imboccare una strada diversa, riuscendo a non emulare se stesso ma ad evolversi. La scelta di narrare la vicenda dell'assassinio di Gianni Versace è stata un chiaro manifesto di intenti in tal senso.

Potevamo capirlo da subito, c'erano tutti gli indizi che la direzione sarebbe stata antitetica.

Nella prima stagione avevamo un killer presunto, un killer scagionato dalla giustizia ma non dalla storia. Qui invece troviamo un killer accertato che la storia (narrata da Murphy) prova a scagionare, a capire, mai ad assolvere ma prova a comprendere le radici dei suoi gesti scriteriati.

Con OJ Simpson abbiamo avuto a che fare con un processo mediatico, il processo per antonomasia. Con Andrew Cunaanan abbiamo assistito ad un serial killer mai veramente inseguito fino all'uccisione di una star internazionale.

Nella prima stagione il personaggio famoso era il (presunto) carnefice, nella seconda Versace è la vittima.

Nella prima stagione la legge, la giustizia e gli avvocati avevano un ruolo centrale, nella seconda questi temi scompaiono, non assistiamo mai ad un arringa, mai ad un processo, mai ad un indagine. E' tutto deciso, tutto chiaro.

Attorno ad OJ Simpson ci viene mostrata tutta la potenza della macchina mediatica, del circo mediatico intorno alla sua figura e al processo del secolo. Nella seconda assistiamo alla progressiva depotenziazione di Cunaanan, alla sua parabola discendente che lo porta ad essere SOLO proprio come il titolo dell'ultimo bellissimo episodio.

Nella prima stagione aveva funzionato alla perfezione il casting. Non un attore fuori posto. Qui invece le scelte sono state, come detto in precedenza, molto discutibili al netto di Darren Chriss.

Ci sono stati, però, anche dei temi in comune e non temi di poco conto.

Sullo sfondo di ambo le stagioni abbiamo assistito all'ipocrisia del sogno americano, all'incompetenza delle forze dell'ordine, ai verdetti popolari biechi e retrogadi. In entrambi i casi, insomma, Murphy ha voluto denunciare pesantemente la società Americana in tutte le sue componenti.

Nella prima stagione abbiamo visto quanto la polizia sia stata inadeguata nel corso delle indagini, quanto sia stata cieca di fronte a quanto accaduto. La giustizia si è persa in giochi politici e mediatici, decretando una sconfitta pesantissima di tutto il sistema. 

Immagine priva di diritti di copyright: https://pixabay.com/it/miami-florida-polizia-rosa-2046044/

Laddove nella prima stagione ci si era concentrati su un'America quanto mai razzista, nella seconda si è approdati ad una vista sull'America più omofoba. Negli anni '90 dunque il paese più potente al mondo appariva come un coacervo di risentimenti sociali, di vedute ultraconservative e di persone guidate dall'odio verso qualcuno più che dal rispetto verso le diversità.

Con OJ Simpson l'arma razziale fu decisiva per lo scagionamento dell'imputato più famoso d'America. Con Andrew Cunaanan l'omessessualità è stata invece un'arma a doppio taglio per polizia e soprattutto per vittime e carnefice di questa storia. L'odio verso la diversità è stato centrale in tutte e due le stagioni.

Entrambi i protagonisti, pur con epiloghi diversi, restano soli. La loro è una solitudine vera, lancinante.

OJ Simpson, pur da uomo libero, viene abbandonato da tutti. Anche le persone a lui più care e che di lui amavano carisma e personalità finiranno per abbandonarlo, e OJ Simpson resterà vittima di se stesso, privandosi della propria libertà anni dopo commettendo altri reati che lo porteranno in carcere definitivamente. Andrew Cunaanan dal canto suo resterà solo con i suoi deliri, pentendosi troppo tardi delle sue azioni, realizzando solo alla fine che la sua vita da sempre votata alla gloria era finita per essere stata sprecata.

2 stagioni diversissime ma con temi fondanti uniti da un sottile filo rosso che rende l'intero progetto American Crime Story un corpo unico, sfaccettato e multiforme. Un progetto riuscitissimo e da non perdere.

Considerazioni Finali

American Crime Story: The Assassination of Gianni Versace è stato più divisivo rispetto a quanto avvenne con la prima stagione della serie, non per questo esso è stato peggiore. Trovo che , anzi, proprio il fatto che siano state 2 stagioni cosi stilisticamente, narrativamente e visivamente diverse, accresce la portata della seconda stagione. Sarebbe stato facile provare a emulare se stessi e seguire la stessa strada percorsa con il processo OJ Simpson. Costruire una narrazione cosi diversa e riuscire a raggiungere il medesimo risultato è, invece, qualcosa che riesce di rado e riesce solo a veri campioni. Ryan Murphy ha dimostrato di esserlo e con lui tutto il reparto creativo dietro la sua persona.

Lanciare un progetto dedicato a Versace per poi scoprire che di Versace si parlava poco e nulla ha straniato molte persone. Scoprire che questa scelta è stata geniale ha permesso a tutti di capire quanto l'idea dietro questo progetto fosse stata vincente.

The Assassination of Gianni Versace non ha raccontato solo una storia, ma ci ha posto domande e dato risposte. Ci ha fatto riflettere, insomma, su di noi, sulla società, sull'esistenza tutta.

Partire da un concept noto, mostrare l'omicidio, la vittima e l'assassino già al primo episodio è stato rischioso. Riuscire a vincere questa scommessa è stato incredibile!

E come se non bastasse Ryan Murphy si "brucia" subito le carte principali. Nel primo episodio, infatti, assistiamo all'omicidio e alla fuga. Tutto lì. Sembrava già finita. E invece Murphy ci ha stupito e da li ha iniziato a raccontarci il mondo gay, l'America e i suoi pregiudizi, l'America e le sue contraddizioni, il mondo per come era nel 1997. Lo ha fatto utilizzando toni e colori accesi, raccontando una vita colorata ma devastata come quella di Andrew e raccontando pericoli, paure, difficoltà di tutta la comunità LGBT attraverso la figura di Andrew Cunaanan, dei suoi amori, dei suoi sogni. Una vivisezione di Andrew per vivisezionare la realtà di quegli anni, il rancore verso quella fetta di popolazione vista come malattia e non come semplice e preziosa diversità.

Attraverso la figura di Modesto Cunaanan (padre di Andrew) ci viene raccontato il tonfo del sogno Americano. Un sogno per pochi eletti, un'illusione per tanti, una vera condanna per altri. Modesto è arrivato in U.S.A. dalle sue Filippine gonfio del proprio ego e trasudante ambizione. Dopo un primo impatto eccellente, dopo aver toccato soldi e successo, ben presto quell'America, terra di opportunità, diventerà una prigione senza uscita. Ed è in quella fase che Andrew perde la sua innocenza è li che avviene il distacco, sempre più delirante e malsano, dalla realtà. Un padre in fuga, un ricercato che ha inculcato nel figlio l'apparenza e il successo come unici valori e che per farlo ha mentito, ha ingannato tutti e da sempre. Il sistema valoriale di Andrew implode e quello che resta è un ragazzo che sogna di essere qualcuno ma senza averne la convinzione, senza averne la percezione di quanto sia importante il sacrificio, il progetto per realizzare qualcosa.

Il sogno è diventato illusione, l'illusione è diventata disperazione, la disperazione si è tramutata in malata immaginazione, quest'ultima è mutata in delirante follia che ha portato un ragazzo in gamba e puro nella sua ingenua giovinezza a diventare uno spietato e pericoloso serial killer che ha seminato il panico in America nel 1997.

La vaporizzazione dell'American Dream. 

Oltre a raccontare la vicenda che da il titolo alla stagione, oltre a raccontare le vicissitudini di quegli anni, oltre a raccontare la retrogada visione della polizia, Murphy è riuscito a raccontare il fallimento del sogno americano, il fallimento dell'individuo in quanto tale in una società alla deriva.

Lo ha fatto attraverso il coming out di un uomo in divisa con la figura di Jeff.

Lo ha raccontato attraverso la bontà di David Madson, una parabola beffarda per un giovane schivo e intelligente che ha visto terminare la sua vita per salvarne (o almeno per provare a farlo) altre.

Abbiamo toccato con mano il trattamento disumano riservato a chi perde il compagno di una vita guardando gli occhi perduti di Antonio D'Amico.

Abbiamo vissuto lo smarrimento di Donatella Versace, a cui Gianni ha affidato la sua eredità morale e artistica (This dress is not my legacy, You are).

Abbiamo odiato Modesto e la sua immoralità, insieme a lui abbiamo imparato ad "odiare" quel che resta dell'illusione dell'American Dream.

La vedova Miglin ci ha portato dentro l'ipocrisia necessaria di un marito omosessuale, un uomo buono e onesto che nascondendosi dalla sua verità ha trovato la morte per mano del serial killer stagionale.

Siamo stati tutti un pò più legati alla vita quando Gianni ha sconfitto la malattia, salvo poi ritrovarci smarriti dopo una morte inattesa.

Ma, come detto ampiamente, è stato Andrew il fulcro di tutta l'azione. E sul finale è uno dei suoi pochi amici o conoscenti a riassumere l'essenza stessa del personaggio e di tutta la stagione. Andrew non è in fuga, Andrew vuole che voi lo vediate. Lui per tutta la vita ha sognato di essere visto.

Ed è' stata questa la via di Cunaanan, tutta la sua età matura post - Modesto è stata contrassegnata da montagne di bugie e di inganni al solo e unico fine di essere amato e ricordato. Da Jeff prima, da David poi, da Lizzie dopo e da tutti i suoi amanti infine, con un'ossessione morbosa verso Gianni Versace, idolo e ispiratore dei deliri del giovane Cunaanan. Ma quella non era la retta via, non era il modo giusto di ottenere quei risultati e solo dopo aver lasciato una scia di sangue impressionante che Andrew realizza di aver sprecato quell'occasione unica che è la vita.

Occasione che Murphy non ha assolutamente sprecato, mettendo in scena un capolavoro unico, un bis eccezionale che speriamo possa ripetersi negli anni a venire. American Crime Story è stata già rinnovata per altre 2 stagioni. La terza si occuperà delle conseguenze e le vicende che hanno orbitato intorno all'uragano Katrina, mentre la quarta dovrebbe portare alla luce un racconto della torbida relazione fra Monica Legwinsky e il presidente Bill Clinton.

Un genio, quello di Murphy, che non accenna a spegnersi con noi spettatori attoniti e sconvolti da tanta brillantezza, da cotanta luce.

Non resta che attendere la prossima esaltante e bruciante Storia Criminale made in U.S.A., con la consapevolezza e la certezza che non resteremo delusi.

 Après moi, le déluge

Dopo di noi il diluvio, citando Andrew Cunaanan. E allora attendiamo il diluvio, attendiamo la prossima storia sull'uragano Katrina e le sue conseguenze.




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