La vendetta non disseta [theneverendingcontest]

in #ita5 years ago

Quell'anno l'estate a Madrid non era solo calda e soleggiata: era una delle estati più torride che si fossero mai viste negli ultimi decenni, con picchi oltre i 44° di giorno e ben poco sollievo durante la notte. L'amministrazione aveva disposto una razionalizzazione nel consumo di acqua per contenere gli sprechi e di energia elettrica per evitare sovraccarichi di tensione per l'eccessivo uso di aria condizionata e ventilatori.



Immagine CC0 creative commons



Fabio arrivò all'aeroporto Barajas alle due di pomeriggio e anche lui si mise in fila in attesa del bus per il centro. Tutti sudavano per il gran caldo che evaporava anche dall'asfalto della strada e ognuno cercava di placare il disagio asciugandosi il sudore con un fazzoletto o sperando di avere un po' di fresco spostando l'aria con un ventaglio.
Per fortuna il tragitto passò rapido, Fabio lasciò il suo bagaglio all'albergo dove aveva prenotato e con un taxi si fece portare all'Ospedale Universitario La Paz. Appena aveva sentito che il suo vecchio amico d'infanzia, Julio, era rimasto ferito in una sparatoria, aveva chiesto due settimane di ferie ed era partito preoccupato per Madrid. Ma non era pronto per quello che stava per vedere: Julio era in coma già da tre giorni, pallido, intubato per farlo respirare.
Si presentò con un ottimo spagnolo alla giovane ragazza che era lì seduta.
-Buongiorno, sono Fabio, un vecchio amico. Sa dirmi come sta? Cosa dicono i medici?-
-Piacere, Pilar. La ferita all'addome era grave, ha perso molto sangue e il cuore ha smesso di battere per più di qualche minuto. L'hanno operato e non si è più svegliato. Mi scusi, non sono molto di compagnia. Se le fa piacere stare qui un pò, io vado a prendere un caffè-. Prese la sua borsetta e senza neanche aspettare la risposta uscì dalla stanza.
-Ehi, Julio, cosa mi combini?- Fabio si rivolse all'amico in tono scherzoso, ricordando i loro giochi di bambini, le estati passate a studiare lo spagnolo, la giovinezza a inseguire le ragazze. Julio abitava sullo stesso pianerottolo di nonno Ernesto che lui e la famiglia andavano a trovare ogni estate e spesso anche a Natale. Giocavano sempre a “guardie e ladri” giurando che da grandi sarebbero diventati “sceriffi” e non scherzavano: entrambi studiarono all'Accademia Militare ed entrarono in polizia.
Quando Pilar tornò offrendogli un caffè, Fabio ringraziò per il pensiero gentile, bevve tutto d'un fiato e salutò, promettendo di tornare presto.


L'afa appiccicosa lo colpì come un pugno uscendo dalla porta dell'ospedale ma decise lo stesso di andare a piedi fino alla Centrale di polizia dove Julio lavorava. C'era già stato diverse volte e conosceva molti dei suoi colleghi. Incontrò subito Javier Ruiz, uno dei suoi più stretti collaboratori, che non appena lo vide gli andò incontro stringendogli la mano.
-Voglio sapere tutto Javier, cos'è successo? Era lui l'obiettivo?- chiese Fabio senza girarci troppo intorno.
-Stava uscendo dal Cafè Gato Rojo, che si trova davanti al Polideportivo San Fermin, con uno degli istruttori del centro, Alonso Gutierrez. Non so cosa stessero facendo, di sicuro Julio indagava su qualcosa. Erano le tre di pomeriggio, un uomo è sbucato dal nulla con una pistola in mano, in pieno giorno. Ha sparato all'allenatore, che è morto mentre l'ambulanza lo portava all'ospedale, a Julio e a una ragazza che usciva dalla palestra e vista la scena urlava come una pazza. Per fortuna l'ha colpita di striscio e poi è scappato. La ragazza e l'istruttore sembrano puliti, comunque puoi immaginare, stiamo controllato qualsiasi cosa, tutta la palestra, il bar, i dintorni … Dalla descrizione della ragazza ne abbiamo ricavato l'identikit, ma evidentemente la signorina era sotto shock e nessuno riconosce minimamente quell'uomo. Ha sparato con una glock semiautomatica comune. Non abbiamo nessun altro indizio-.
-Quindi si presume che l'obiettivo fosse proprio Julio-.
-Esatto. C'è una squadra che sta valutando tutti i casi a cui stava lavorando-.
-Voglio andare lì. C'è qualche vostro informatore da quelle parti?- chiese Fabio.
-Sai che non posso dirti niente sugli informatori … - rispose Javier passandogli un biglietto con un nome scritto sopra. -Stai attento-.


In un'altra parte della città, un uomo stava disteso sul sofà nella penombra della sua casa cercando un po' di pace. Le pale del ventilatore a soffitto giravano lentamente. Il caldo era insopportabile. Era rimasto solo, solo come un cane. Andò in cucina per bere dell'acqua, ma i rubinetti erano chiusi. Gli sembrò di impazzire. Sentiva la gola arsa, la risata di Sofia che riempiva la stanza, il suo profumo nell'aria. Perchè se n'era andata? Perchè quel verme aveva abusato di lei rompendola in mille pezzi? Perchè non aveva condiviso con lui il suo dolore? Niente aveva più senso per lui.



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Dopo due giorni senza nessuna novità sulle indagini, Fabio tornò in ospedale a trovare Julio. Questa volta c'era un uomo con lui, che sottovoce gli diceva delle cose. Lo guardò bene di profilo, gli ricordava qualcuno.
-Ma certo! Carlos Perez, Carlitos! Sono Fabio, ti ricordi? Giocavamo insieme da piccoli, i tre moschettieri, i cavalieri di re Artù ... Come stai?-.
-Fabio! Ne è passato di tempo …- rispose l'uomo imbarazzato -Sono venuto a salutare Julio, ma adesso devo andare-.
Quando lo guardò dritto in faccia Fabio ebbe un sussulto: l'identikit fatto dalla ragazza ferita aveva gli stessi inconfondibili occhi azzurri.
-Tu … - balbettò senza sapere cosa dire -abiti ancora qui in zona? - si inventò li per li, per fermarlo.
-In periferia- rispose vago abbassando il capo -E' stato un piacere rivederti- gli disse uscendo.
Fabio rimase di sasso per qualche secondo, poi lo rincorse fino all'atrio.
-Carlos, aspetta, Carlos- lo chiamò -Carlitos … cos'è successo? Sei stato tu, vero?-
-Lascia perdere Fabio- sussurò tirando fuori la pistola, come a dire che avrebbe sparato ancora.
-Non posso, Carlos. Dimmi la verità- insistette Fabio vedendo gli occhi di quel suo vecchio amico umidi di lacrime.
Carlos cedette: -Tre settimane fa Alonso Gutierrez, uscendo dalla palestra, ha picchiato e violentato mia moglie Sofia. Lei non era più lei: non è più uscita di casa, era terrorizzata, aveva incubi tutte le notti, non voleva parlare con nessuno, stava ore nella doccia per lavare via quello schifo che sentiva. E una sera, tornando a casa dal lavoro, l'ho trovata esanime sul divano. Si è tolta la vita con le pillole che prendeva per cercare di dormire. Non è riuscita a reggere al senso di vergogna che provava, non sopportava l'idea che quel ricordo l'avrebbe perseguitata per sempre … Accecato dall'odio ho rubato la pistola ad un amico e sono andato da quel verme, al Polideportivo-.
-E Julio?-
-Erano li insieme. Julio mi ha riconosciuto e ha cercato di fermarmi, ma io non potevo fermarmi. Avevo solo sete, sete di vendetta. Cosi ho sparato anche a lui, e anche alla ragazza, ma non volevo, credimi, sono venuto qui per chiedergli perdono- concluse Carlos portandosi la pistola alla testa.
-No Carlos, non farlo … -
-Sono morto quando Sofia si è uccisa. La mia vita senza di lei è come attraversare il deserto senza acqua. Ora voglio solo raggiungerla- e il proiettile partì secco, passando nella sua testa, da tempia a tempia.



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In partecipazione a:
theneverendingcontest n° 18 S3-P4-I1 – Contest di @spi-storychain

Sort:  

Drammatico e avvincente! minithriller!

grazie @sbarandelli! dopo tante saghe familiari ci voleva un pò di criminal!

E che "criminal". Bello e intenso. Mi è piaciuto.....bang! Saluti kork75.

Adoro i criminal!! Proverò a scrivere una storia!! Grazie @kork75

Wow! Letto tutto d'un fiato!

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Grazie @pawpawpaw! è il nipote del commissario Sartori ... sai quello della storia della "tua" alfa romeo grigia, nei "tuoi" anni '50!! eh eh

Grandi!!!!!!!

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