Karma di famigliasteemCreated with Sketch.

in #ita6 years ago

Questo racconto è stato scritto per partecipare a Theneverendingcontest n° 28 S3-P6-I1 di @spi-storychain sulla base delle indicazioni del vincitore precedente @kork75

Tema: Partita a carte
Ambientazione: Polo Nord

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Karma di famiglia

Quando negli anni ’60 il nonno di Giuliana e Andrea si era imbarcato verso le Americhe alla ricerca di ventura, era certo che la fortuna gli avrebbe arriso. Era un uomo non troppo intelligente e praticamente analfabeta, ma giovane e scaltro, dotato di quell’accortezza tipica del contadino di montagna e dell’audacia di un’età in cui hai più da perdere restando che rischiando ad andare. Lasciava una moglie incinta ed un figlioletto di pochi anni, ed anche per quelle creature voleva arrivare dall’altra parte del mondo, a spaccarsi la schiena in un mondo ignoto, verso una lingua ignota, una cultura ignota ed esseri umani che certo non differivano da quelli che lui aveva conosciuto fino ad allora.

Quando, dopo aver riattraversato il globo, finalmente tornò fra i suoi monti, erano passati quasi tre anni ed i familiari stentarono a riconoscerlo. Era incredibilmente dimagrito rispetto alla partenza, al limite dell’emaciato, con le braccia dai muscoli tesi per la fatica e le mani ruvide di chi conosce il lavoro duro. I vestiti con cui tornava erano gli stessi coi quali era partito, solo più logori e sporchi, ridotti praticamente a degli stracci. “Martuzza mia,” disse Andrea alla moglie ‘a ‘Merica l’avimu cca!” fu la triste sentenza [Trad. Mia cara Marta, l’America ce l’abbiamo qui]. Sebbene poveri, infatti, coltivare la terra ed allevare gli animali non aveva mai fatto mancare nulla alla famiglia di Andrea, se non il mero denaro, un bene che in Italia a partire dal dopoguerra sembrava essere diventato indispensabile per campare una famiglia.

Rifocillatosi con pane appena sfornato, pollo prontamente spennato e vino gioiosamente spillato, papà Andrea conobbe la nuova figlioletta, Martina, che aveva compiuto poco più di due anni e la notte stessa si mise all’opera per far seguire ai primi due pargoli “il figlio della ‘Merica”. Nei giorni, nei mesi e negli anni seguenti, papà Andrea raccontò spesso vari episodi dei suoi tre anni di stenti e fatica, trascorsi cercando di racimolare ogni spicciolo, ad eccezione di quelli che, ogni sera, si giocava a carte con gli altri migranti italiani. Le carte sono infìde, e per non perdere troppo Andrea nascondeva i dollari da riportare in Italia nella suola delle scarpe logore, e si giocava “solo”quelli con cui avrebbe dovuto cenare o comprarsi le mutande, rimanendo spesso a digiuno o col didietro marrone. Ma Andrea era testardo e quel “vizietto” pensava “non nuoceva che ad una piccola parte dei sudati guadagni”, allontanando di mese in mese il suo ritorno a casa. Per risparmiare sul biglietto che dal Venezuela lo avrebbe riportato in Sicilia, Andrea decise di imbarcarsi a spalare carbone nelle fornaci di un mercantile che avrebbe fatto rifornimento a Nuova York ed in Canada, quindi avrebbe portato vettovaglie in Groenlandia, nella lontana città di Nuuk, ed infine avrebbe accarezzato dolcemente le coste dell’Inghilterra, della Francia e della Spagna, fino ad attraversare lo stretto di Gibilterra e transitare dal porto di Palermo prima di fermarsi a Roma.

Fra tutte le storie che Andrea amava raccontare vantandosene con vicini e parenti, c’era senza dubbio quella di quando la fortuna lo aveva baciato in Groenlandia. Pur essendo giugno, infatti, il clima rigido di quella remota regione ed una violenta tempesta costrinsero il mercantile a sostare due giorni più del previsto nel porto della città di Nuuk. Il giovane uomo non era certo dotato di un animo particolarmente curioso né esploratore, e non aveva alcuna voglia di scendere dalla nave, come invece molti dei marinai avevano fatto, per cercare riparo in una città gelida e gelata dove non avrebbe trovato niente del calore che desiderava. Restò quindi sul mercantile, a motori quasi spenti, a godersi un po’ di tregua dalla fatiche della sala macchine. Altri italiani, come lui, avevano deciso di non scendere a terra, e nella notte luminosa del Polo, un po’ per noia, un po’ per gioco, avevano organizzato un torneo di tressette.

Come fu e come non fu, si ritrovarono alla fine solo in due, Andrea e Filippo, un giovane sardo anche lui padre di figli che a mala pena conosceva e che era salito a bordo a Nuova York, dopo aver racimolato quello che sperava potesse cambiare la vita ai suoi bambini. La partita era agguerrita ed avvincente, i due erano dotati di ottima memoria per le carte, un’impassibile faccia da poker ed il desiderio di mettere le mani sul malloppo, non ricco ma certamente saporito. In questi casi è la fortuna, spesso, ad avere l’ultima parola, che fu un tre di denari che vinse un asso e con l’ultima presa si guadagnò il punto della vittoria. I compatrioti si congratulavano con Andrea, ma Filippo era scuro in viso e tramava vendetta, perché si vantava borioso di non aver mai perso in vita sua. Chiese la rivincita e scommise tutto quello che possedeva, chiedendo in cambio solo la posta che Andrea aveva appena vinto (era una questione di principio!). Per un attimo Andrea rimase stordito da quell’assurda fortuna: se accettava, al peggio non avrebbe perso che quel poco che si erano giocati, ma se avesse vinto, avrebbe fatto un bel colpo, perché mentre lui era finito a spaccarsi la schiena in Venezuela per due lire, Filippo aveva avuto il gran culo di capitare a Nuova York, dove i soldi valevano un sacco. Prima di partire dall’Italia, la ‘Merica era tutta uguale, nord, sud, bastava andare da un parente o da un amico che ti facesse da base. Nessuno sapeva che ci voleva fortuna anche ad approdare sulla costa giusta, questo lo si sarebbe capito solo molti anni dopo.

Un istante, solo per un istante, Andrea pensò alla possibilità di rifiutare quella rivincita folle, perché sapeva che Filippo era un povero Cristo come lui che aveva fatto anni di sacrifici per dare un futuro migliore ai propri figli e che aveva i dollars cuciti nelle mutande. Un istante, solo per un istante, Andrea si fece lo scrupolo che il povero sardo potesse tornarsene a casa povero e pazzo, peggio di quando era partito. Ma quando per la sua titubanza venne preso ad insulti da cagasotto dal sardo testacalda, accettò la sfida.

“In effetti”, pensava la nipote Giuliana al funerale del padre Giusto, il figlio della ‘Merica, il più piccolo dei figli di Andrea e Marta, “quell’apparente colpo di fortuna fu l’inizio della nostra tragedia familiare.” Non aveva mai conosciuto nonno Andrea, ma nonna Marta ne parlava sempre vantandosi stupidamente della storia della partita a carte al Polo Nord, grazie alla quale Andrea aveva comprato casa in paese lasciando le campagne, aveva aperto una piccola attività commerciale ed aveva fatto studiare i propri figli. “Tuttavia”, pensava Giuliana stringendosi affranta al fratello Andrea, che si chiamava come il nonno “quelli erano soldi sporchi, che il nonno mai avrebbe dovuto accettare, mandando in rovina un’altra famiglia.” Nonno Andrea, anni dopo, era venuto a sapere per caso che Filippo, che dopo la partita a carte in cui si era giocato ed aveva perso ogni cosa singhiozzava come un agnello condotto al macello, non aveva retto la tensione e la vergogna, e si era gettato in mare poco prima che il mercantile approdasse a Roma. Nel frattempo, il figlio maggiore di Andrea era morto improvvisamente di aneurisma cerebrale. Anche Andrea, poco tempo dopo, se n’era andato prematuramente, lasciando la propria attività al più giovane dei suoi ragazzi, Giusto, il figlio della ‘Merica. Giusto e la sorella Martina erano molto legati fra loro e lo divennero ancora di più dopo il duplice, dolorosissimo lutto che avevano dovuto affrontare in pochi anni. Ma il fato sembrava volersi accanire ancora di più, e si portò via con un infarto anche la quarantenne Martina, strappandola ai suoi giovani figli. “E adesso”, pensava Giuliana singhiozzando, si è portato via anche papà, dopo averlo privato dell’attività del nonno per fallimento. Maledetti soldi. E maledetto nonno Andrea, e la tua ingordigia. Il karma non perdona.” Sentenziò fra se e se la ragazza mentre dava fra le lacrime l’ultimo saluto al padre. “Il karma non perdona.”

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Molto molto bello questo racconto ♥️

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