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in #ita6 years ago (edited)

Questo racconto è stato scritto per partecipare a Theneverendingcontest n° 22 S2-P5-I1 di @spi-storychain sulla base delle indicazioni del vincitore precedente @kork75

Tema: Antica Roma
Ambientazione: Il mare

Premessa: Questo racconto è un capitolo X (ics, non decimo) che si ricollega alla storia “Atlantide”, redatta per lo stesso contest due settimane fa. Non è consecutivo, ma è sicuramente successivo. Non so da quanti capitoli sarà preceduto e/o seguito, perché non ho ancora strutturato per intero la storia di cui anche il capitolo “Atlantide” fa parte.

Graffiti

Graffiti.jpg

Erano già trascorsi molti mesi da quando Iris e Fedro erano scomparsi fra le acque del mar Ionio. Ogni segnale proveniente dal piccolo batiscafo inabissatosi al largo dell’isola di Cefalonia era misteriosamente ed improvvisamente cessato quella calda mattina di luglio del 2149. Dopo un breve periodo di ricerche, le autorità avevano interrotto le spedizioni di salvataggio fra le grotte di Sireiro, dichiarando i due biologi come le ennesime vittime di rischiose spedizioni di speleologia marina finite male.
Dafne, però, non si era arresa. Lei c’era, lei aveva visto il momento in cui aveva perso le tracce dei suoi colleghi ed amici, e studiava incessantemente ciò che gli strumenti avevano registrato durante quegli istanti. Non era solo il legame personale e professionale che la univa ai due studiosi, c’era qualcosa che suonava nella sua testa come un campanello d’allarme e che le impediva di mollare gli amici, che in cuor suo era fermamente convinta fossero vivi. Lei, che era specialista in biotecnologie e da anni si occupava della gestione della strumentazione ra.na.r da terra e nell’interpretazione e ricostruzione dei dati restituiti dai computer durante ogni genere di spedizione sottomarina, era sicura di aver udito alcune parole di Fedro prima di perdere il contatto e non aveva dubbi che “città di Atlantide” fosse fra queste. La cosa a cui più di tutte desiderava dare risposta erano le anomalie nelle rilevazioni audio-video che il ra.na.r aveva registrato quando le comunicazioni si erano fatte più disturbate e difficili. I computer ra.na.r possedevano meccanismi di triangolazione e ricostruzione dei dati tramite nuove tecnologie che determinavano un’accurata ricostruzione delle immagini in maniera simile a quanto avviene nelle ecografie quadridimensionali anche in condizioni di luminosità sottomarina scarsa o nulla. Quando la voce di Fedro era diventata poco comprensibile, il monitor aveva rimandato per poche frazioni di secondo immagini che mostravano costruzioni artificiali armonizzate fra le rocce delle grotte marine, somiglianti ad abitazioni. Dafne le aveva intraviste, ma credeva si trattasse di una sovrapposizione di immagini dovuta alla distanza che disturbava gli strumenti di rilevazione ra.na.r. Col tempo, però, aveva ricollegato quelle fugaci immagini di un mondo sottomarino artificiale alle parole “città di Atlantide”, giungendo ad una conclusione ben diversa.
Nei mesi successivi all’interruzione delle ricerche da parte delle autorità aveva deciso di rianalizzare da sola tutti i dati registrati quel giorno studiando minuziosamente ogni frazione dei dati del ra.na.r. Ne erano risultate numerose incongruenze ed anomalie, fra le quali la più inspiegabile era stata registrata dal localizzatore, che aveva registrato per alcune frazioni di secondo un improvviso ed abnorme allontanamento del batiscafo verso tutte le direzioni prima, quindi verso gli abissi ed infine, per un istante, verso il cielo, per poi svanire del tutto a causa, secondo il computer, di un eccesso di distanza fra gli strumenti, che come due calamite smettevano di attrarsi e dialogare oltre i 14000 metri, ovvero ben oltre le profondità della Fossa delle Marianne. Questo poteva significare solo che o la strumentazione si era rotta o era stata spenta, oppure che si era allontanata all’improvviso e rapidissimamente, ben oltre la velocità della luce, fino a non avere più segnale sufficiente per inviare i dati di triangolazione.
Questi dati erano stati rapidamente liquidati dalle autorità come un errore dei computer di Dafne, probabilmente alteratisi per la distanza o eventuali urti fra le rocce delle grotte di Sireion dove Iris e Fedro erano scomparsi. Non era della stessa opinione, invece, Elettra, la giovane nipote di Dafne che come la zia amava il mare e le immersioni ma aveva intrapreso la strada dell’archeologia marina, convogliando le sue due passioni in un’unica professione. Aveva appena 25 anni, ma la sua carriera sembrava promettente, fin quando l’adorata zia era scomparsa e lei aveva abbandonato il museo sottomarino del Mar Nero per tornare a Cefalonia, dove aveva partecipato attivamente alle ricerche insieme ai sommozzatori.
Dichiarati i due biologi dispersi, Elettra era stata avvicinata da Dafne, che nel frattempo aveva iniziato ad analizzare i dati e le aveva illustrato i semplici fatti, per quanto assurdi potessero apparire. Da allora Elettra si era ripetutamente immersa nelle grotte di Sireiro, alla ricerca di qualunque indizio potesse essere utile a trovare i due dispersi o il luogo nel quale si trovavano durante l’ultima comunicazione con Fedro. Aveva dovuto chiedere numerosi favori per riuscire ad ottenere un piccolo batiscafo che le consentisse di arrivare a 1700 m di profondità nelle grotte, il punte dove zia Iris era scomparsa, ma pur continuando a setacciare la zona non aveva trovato nulla. Era arrivata fino a circa 4000 m senza avere alcuna difficoltà, aveva perlustrato il fondo delle grotte ed aveva constatato che formavano cunicoli e gallerie comunque troppo piccoli perché il piccolo sommergibile potesse infilarvisi. Tutto questo senza che i computer o il ra.na.r avessero mostrato anomalie. Né lei né Dafne riuscivano a capire cosa fosse successo. O dove Iris e Fedro fossero finiti.

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Fu durante una di queste esplorazioni che improvvisamente Elettra si accorse di alcune incisioni sulla soglia di una delle grotte di Sireiro, che era sicura di non aver mai visto prima, nonostante fosse più volte passata da quel punto. Richiamò l’attenzione di Dafne chiedendole di registrare accuratamente quei segni, in modo da poterli analizzare meglio in seguito. Manovrando un piccolo robot esploratore si avvicinò per osservare l’area più da vicino e liberarla dalle alghe. Scoprì una sorta di graffiti che sembravano un arcobaleno, un cerchio con una conchiglia, una sirena sotto un arco, un geroglifico egizio che indicava la stella Sirio, un cappello su un piedistallo. Elettra non ebbe dubbi: era un messaggio della zia! Emozionata, risalì in superficie ed iniziò a fare congetture con Dafne. Non riusciva a capire cosa quei simboli volessero dire. L’arcobaleno rappresentava certamente Iris, mentre il triangolo con la stella era Sirio, lo aveva insegnato lei stessa alla zia quando aveva approfondito i geroglifici all’università. Ma non aveva idea di cosa fosse il resto. Quella notte non riuscì a dormire. Si alzò stanca ma eccitata e si preparò ad una nuova immersione, dalla quale tornò esterrefatta: i simboli erano scomparsi! Era certa di trovarsi davanti alla grotta giusta, gli strumenti e Dafne lo confermavano, ma non c’era più traccia dei graffiti del giorno prima. Quando risalì in superficie, già provata dalla delusione, venne accolta da un’altra brutta notizia che traspariva dal viso di Dafne. <<Ha chiamato il tuo capo, Elettra. Dice che se non rientri entro domani sera al museo sottomarino puoi fartene uno tuo nelle grotte Sireiro in cui lavorare. Dice di aver esaurito la pazienza e che se non torni a lavoro non lavorerai mai più in nessun altro museo. Credo proprio che non scherzasse: devi tornare alla tua vita.>>. <<Ma Dafne! Qui è successo qualcosa! Lo hai visto anche tu! Quello era un messaggio di zia Iris, ne sono certa! Vuole dirci qualcosa, ma noi non la capiamo! Lei, forse loro, sono vivi e sperano in noi!>>. <<Lo so bambina, ma adesso devi pensare alla tua vita. Io non smetto di sperare, come te, ma per adesso dobbiamo interrompere. D’altro canto è inverno, i giorni di tempesta sono tanti e spesso non potremo immergerci a cercare ancora. Ritorna a Varna, qui ricominciamo a primavera. Sono certa che Fedro e Dafne se la caveranno fino ad allora.>>.
Non era ancora sera quando Elettra si imbarcò sull’ultimo airshuttle per Varna, dove giunse in una ventina di minuti. Kiril, il suo capo, la stava aspettando al museo sottomarino, verso il quale la giovane archeologa si diresse immediatamente. Era un uomo di grande cultura e talento, dotato di carisma e fascino tali da essere riuscito facilmente a raggiungere la carica di direttore del museo sottomarino di Varna a soli 47 anni. Quasi 150 anni prima erano state ritrovate lungo le coste della Bulgaria, negli abissi del Mar Nero, 60 imbarcazioni romane, bizantine, ottomane risalenti ad oltre 2500 anni prima ed in perfetto stato di conservazione. Dopo alcuni tentativi infruttuosi di riportarle in superficie, era stato deciso di proteggerle mantenendole dove si trovavano. Erano passati quasi altri 100 anni prima che le tecnologie consentissero la costruzione di un museo sottomarino nel meraviglioso sito archeologico, dove si snodavano quasi 10 km2 di edifici e gallerie in vetro. La struttura ultramoderna richiamava milioni di visitatori ogni anno, permettendo loro di passeggiare negli abissi del mar Nero ammirando le navi dall’esterno e, per trentasette di esse, già studiate e scansionate, anche la visita all’interno attraverso la realtà virtuale. Il museo si concludeva con una vasta area interattiva dedicata all’esposizione di reperti e suppellettili provenienti dalle navi.
Tre squadre di archeologi stavano lavorando alle navi numero 38, 39 e 40, ed Elettra era uno dei più giovani membri di queste squadre.
Kiril la accolse con un sorriso ed un abbraccio. <<Hai fatto la scelta giusta,>> le disse, <<tua zia vorrebbe lo stesso. So che sono parole dure, ma non la troverai mai più.>>. A Elettra non piacque affatto lo strano tono di certezza con cui il Direttore aveva pronunciato l'ultima frase. Nutriva profondo rispetto per Kiril, ma al contempo ne era intimorita e diffidava di lui. In sua presenza percepiva una strana sensazione di disagio e quando lo guardava negli occhi verdeazzurri scorgeva qualcosa di poco umano in lui. Non rispose nulla alle sue parole, ma prendendo i fascicoli di aggiornamento sul lavoro effettuato in quei mesi dai compagni di squadra che Kiril le porgeva chiese <<Novità?>>. <<L’esame delle tre navi bizantine numero 38, 39 e 40 verrà terminato a breve e potrete iniziare con la 41, 42 e 43, tutte di origine romana. Sono conservate splendidamente, degli esemplari unici, farete un bel lavoro.>>. <<Bene Kiril, grazie. Se è tutto, torno a casa e ci vediamo domani mattina.>> Salutò Elettra prima di tornare a casa.
Le settimane successive altre tre splendide navi vennero aggiunte alla collezione visitabile dal pubblico del museo, ed Elettra e la sua squadra iniziarono a lavorare sulla nave numero 43. Il suo lavoro consisteva nel catalogare, datare, ricostruire la storia di alcune suppellettili ritrovate sul relitto, che era effettivamente in eccellente stato di conservazione e poteva raccontare moltissimo dell’antica Roma da cui proveniva. La nave era probabilmente partita da Roma nel V secolo a.C., aveva caricato la stiva di merci italiche e greche, probabilmente per scambiarle con quelle del lontano oriente. Poi era stata sorpresa da una tempesta sul mar Nero ed era affondata ancora piena del suo prezioso carico.
Oggetto dopo oggetto, Elettra scopriva pezzettini della storia di quell’antico vascello, finchè la sua attenzione venne catturata da una scatolina in legno intarsiato. Era stata nascosta dentro un’anfora piena di farina, con la quale si era impastata formando un involucro protettivo che ne aveva però bloccato l’apertura. Elettra lavorò quasi due giorni alla delicata pulitura della scatola, apprezzandone le finiture in madreperla, oro, perle e lapislazzuli che pian piano tornavano alla luce. Quella scatola, con quei suoi colori dai finimenti preziosi, sembrava voler racchiudere e custodire il mare stesso. Quando infine riuscì ad aprirla, si rese conto che non una goccia di acqua era penetrata al suo interno, rivelando una piccola miniatura di straordinaria bellezza sul lato nascosto del coperchio che rappresentava una sirena. Una preziosa stoffa color porpora, riservata a quel tempo ai sacerdoti ed alle divinità, rivestiva un oggetto adagiato sul fondo. Delicatamente Elettra, profondamente emozionata dal pensiero che quella piccola custodia di legno fosse rimasta sott’acqua oltre 2500 anni, desiderando quasi che potesse parlare per raccontarle la sua storia, svolse l’oggetto dal prezioso involucro porpora, consapevole che si trattava di qualcosa cui probabilmente venivano attribuiti poteri divini. Trovò un bracciale in osso nel quale era incastonata una conchiglia e per poco non cadde dalla sedia su cui stava esaminando il reperto. Quell’oggetto era incredibilmente somigliante al vecchio bracciale da cui la zia non si separava mai, ritenendolo il suo portafortuna regalatole dal mare. Improvvisamente Elettra si rese conto che uno dei simboli sulla soglia della grotta di Sireiro era proprio un cerchio con una conchiglia, che poteva essere la rappresentazione grafica di quello stesso bracciale! La testa di Elettra iniziava a vorticare furiosamente, mentre le idee si affastellavano attorno a quel mistero, alla ricerca di una spiegazione congrua che potesse accordare il simbolo, il bracciale della zia e quell’antico reperto.

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I rozzi disegni sono dell'autrice.

Il futuristico museo sottomarino nel mar Nero è liberamente ispirato a questa notizia

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Un bellissimo racconto tra "futuro" e " passato" con tanti dettagli e particolari che lo rendono realistico e avvincente. Complimenti Saluti kork75

Ti ringrazio per il commento!

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