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in #ita5 years ago

Questo racconto è stato scritto per partecipare a Theneverendingcontest n° 44 S4-P9-I1 di @spi-storychain sulla base delle indicazioni del vincitore precedente @kork75

Tema: L’invidia
Ambientazione: Aula del parlamento

Gita in Parlamento

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Marco si svegliò molto presto quella mattina. Era davvero eccitato per ciò che stava per succedere e in un lampo fu nel letto dei genitori, che riposavano ancora. Con gli occhi semi-chiusi il papà lo aiutò a lavarsi e vestirsi, mentre sbadigliando la mamma preparava la colazione per tutta la famiglia, sveglia e dormiente. Poi prese l’auto e condusse Marco al punto di raccolta, mentre il papà restava a casa per far alzare gli altri figli ed accompagnarli a scuola. Il bambino, nel frattempo, sorridendo e saltellando dalla contentezza, incitava ad ogni istante gli stanchi genitori coi suoi “presto, presto! Forza ma’, dai pa’”.
Durante il tragitto non aveva smesso un attimo di parlare, mettendo allegria con la sua vocina e le sue domande a cui dava pure risposta, ripetendo ciò che gli era stato insegnato a scuola. <<Secondo te lo vedrò? Eh, mamma? Secondo te mi parlerà? Raccontami ancora la storia di quando avete scelto il mio nome!>>. Sapendo che era l’unico modo per tenerlo buono due minuti, per la millesima volta la mamma incominciò: <<Quando io e il papà eravamo giovani non era come adesso. Vivevamo in una epoca strana e difficile. Ad esempio prendi Roma: la nostra bellissima città era sommersa dai rifiuti, i mezzi pubblici erano la vergogna d’Europa, muoversi in auto era un vero incubo che rubava la gran parte del nostro tempo, la delinquenza era qualcosa che incontravi tutti i giorni per strada. C’erano stati molti anni bui, quasi trent’anni di crisi politica ed economica. L’Europa si considerava un fallimento, in Parlamento i Governi si susseguivano l’uno dopo l’altro, ma a qualunque bandiera appartenessero pensavano solo all’egoismo delle proprie poltrone e tenevano a bada gli italiani da un lato impoverendone le tasche e lo spirito, dall’altro dando sempre nuovi nemici su cui concentrare il proprio odio e la propria frustrazione: prima i comunisti, poi gli islamici, poi gli immigrati, e così via. Fu proprio dopo i più sanguinosi delitti dei primi anni trenta, qualche anno prima che io e papà ci sposassimo, che un uomo prese in mano la situazione della nostra nazione rivoluzionando le vite nostre e delle generazioni future. Era uno dei pochi politici che non aveva mai cercato soldi né potere, ma che credeva fermamente in quegli antichi valori che ormai non esistevano nemmeno più. Non si candidava mai di sua spontanea volontà, erano gli altri a candidarlo, acclamandolo a gran voce per la sua perizia e la sua saggezza, oltre che per la sua profonda umanità e cultura. Era stato nominato ministro dell’economia per il settimo anno di seguito e grazie alla sua politica lungimirante l’Italia stava tirando un sospiro di sollievo e la gente riprendeva a lavorare. La crisi di governo che seguì i delitti del ’32 portò ad una insurrezione popolare che chiedeva a gran voce la nomina del ministro dell’economia a capo del Governo. L’ex ministro era molto amato e conosciuto ed il Parlamento non si poté opporre alla volontà del popolo. Lui non aveva mai cercato questo ruolo, ma il senso di dovere e di responsabilità verso la sua Nazione fece sì che accettasse questo onere. In pochi anni, poi, l’Italia ha cambiato volto, fino a diventare quella che è oggi. Nel frattempo sei nato tu, ed in onore di quell’uomo, che tutt’oggi guida la nostra Nazione, abbiamo deciso di dare a te il suo stesso nome>>.
Nel frattempo Marco, gongolando mentre ascoltava la sua storia preferita, era arrivato a destinazione, e la mamma lo accompagnò al punto di ritrovo dove i compagnetti di classe e le maestre li attendevano per recarsi tutti insieme a visitare il Parlamento.

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Marco si svegliò molto presto quella mattina. Era davvero stanco per le poche ore di sonno, ma emozionato per ciò che stava per succedere e dopo aver svegliato la moglie con un bacio si lavò e si vestì mentre lei gli preparava la colazione. Fece una carezza lieve sfiorando con le labbra i figli ancora a letto e scese in strada che la città si risvegliava appena. Amava trascorrere fra i suoi pensieri quel tempo necessario a raggiungere a piedi il Parlamento, facendo fra sé e sé il punto della situazione. Sapeva che la scorta lo accompagnava in maniera discreta ma efficiente, rendendo sicuro il suo percorso così da potersi concedere il lusso di vagare per un po’ con la mente. <<Buongiorno, Presidente! Anche oggi il primo ad arrivare e l’ultimo ad andar via, vero?!>> Lo salutò con affetto sincero l’usciere. <<Buongiorno Gino. Come sta sua figlia?>> si informò il Presidente.
Giunto nella propria stanza mise in ordine le carte, riguardò i conti, revisionò alcune proposte e rispose alla posta più urgente, quindi si recò in aula. Sapeva che lo attendevano varie scolaresche in visita al Parlamento per imparare sul campo il lavoro che si svolgeva in aula, era stato lui stesso ad incentivare attività curriculari e non di questo tipo: un buon cittadino deve conoscere come lavora uno Stato per potervi prendere parte in modo pienamente consapevole.
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La grande aula del Parlamento era stracolma di ragazzini che, felici della gita, schiamazzavano allegramente circolando nelle zone riservate al pubblico. I parlamentari che prendevano posto nei propri scranni li guardavano, alcuni sorridendo, altri mandando cenni di saluto, altri ancora lanciando occhiate torve a loro e agli insegnati che non riuscivano a tenerli a bada. Quando il Presidente entrò Marco era affacciato alla postazione migliore. Per un istante gli sembrò che il volto serio del Presidente si volgesse a guardare proprio lui e gli sorridesse, e credendo questo il bambino si illuminò di gioia. Guardava quell’uomo alto, elegante, che aveva reso tutti così felici, e ammirandolo da lontano pensava che un po’ lo invidiava per ciò che era riuscito a diventare.
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Mentre il Presidente entrava in aula, sentì il vociare dei bambini smorzarsi fino a cessare, e come ogni volta, nonostante il passare degli anni, gli tornò il batticuore per l’emozione e la responsabilità di mostrare a quei pulcini quello che era il lavoro lì in Parlamento. Amava molto quelle giornate, consapevole com’era di quanto fossero formative per i cittadini di domani e le considerava rigeneranti. Tuttavia, complici i duri mesi di lavoro dell’ultimo periodo, quella mattina si sentiva particolarmente stanco e cercò nei volti dei ragazzi la forza per affrontare la giornata. Sollevò lo sguardo e incrociò il visino di un bambino di 8 o 9 anni che lo fissava intensamente, aggrappato alla balaustra con la faccia incastrata fra le mani. Gli sorrise, grato di vedere una persona così giovane ma dallo sguardo tanto attento ed entusiasta. La sua mente andò veloce a quando anche lui era solo un bambino di nome Marco, alla spensieratezza di allora, e per un attimo invidiò quel ragazzino felice e spensierato, con tutta la propria vita d’avanti a sé per essere chiunque avesse voluto.
Poi si avviò verso la propria postazione e si preparò, come ogni mattina, ad iniziare i lavori all’ordine del giorno per rendere il futuro di tutti quei bambini lì con loro ancora più felice.

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