Evasione verso casasteemCreated with Sketch.

in #ita5 years ago

Questo racconto è stato scritto per partecipare a Theneverendingcontest n° 46 S1-P10-I1 di @spi-storychain sulla base delle indicazioni del vincitore precedente @kork75

Tema: Fuga
Ambientazione: Trincea Prima Guerra Mondiale

Evasione verso casa

96- Lettera.jpg
CC4.0 Foto di Andry venez

7 agosto 1917

Carissima Anita,

Rileggo ogni tua lettera ogni volta che una pausa mi strappa alla brutalità della guerra. Ogni frase, ogni parola scritta dalla tua mano dolce e gentile è per me uno spiraglio di gioia che per un istante mi riporta con la mente e con il cuore al calore di casa nostra, lontano dagli orrori cui assisto da mesi. So quanto ti costa trovare il tempo di sederti a scrivere per me come trascorrono le vostre giornate, ma ti prego: non smettere. Non è vero, come hai scritto nella tua ultima, che sentirti narrare delle vostre piccole avventure, dei progressi e delle scoperte dei tuoi bambini, dei pettegolezzi con le vicine, mi rattrista: anzi! Vivo per quegli istanti in cui riesco a leggere le tue missive, così che io possa fuggire lontano da questa orribile trincea, da questo fango e da questa angoscia senza fine che spero i miei nipotini non abbiano mai a patire. Per oggi non posso scriverti di più; tu, piuttosto, riempi molte pagine: te ne prego! Che possano tenermi compagnia quando il frastuono delle granate e delle mitraglie tormenta di più il mio cuore.

Con tutto l’amore di cui ancora dispongo,
tuo fratello Armido.

25 agosto 1917
Amatissimo fratello,
Ti chiedo perdono se nella mia ultima ho dubitato che potessero farti piacere le mie lunghe descrizioni sulla nostra misera vita familiare. Mi è balenato in mente il pensiero che leggere delle nostre sciocche privazioni, che sono nulla al confronto di quello che patisci tu al fronte, o delle piccole gioie del quotidiano, che sono a te negate, potesse farti del male, demoralizzarti e, Dio non voglia, gettarti in preda allo sconforto. Sapere che invece le mie parole ti sono di grande conforto rinnova in me la determinazione con cui vado in cerca di carta, penna e calamaio, oltre che tempo, per dedicarmi interamente alle lettere per te.
Noi stiamo tutti bene e preghiamo ogni giorno il buon Dio per il ritorno di tutti voi, coraggiosi soldati, alle nostre case desolate. Come ti avevo già scritto, la vita in città è divenuta inquieta al punto da preferire che ci spostassimo nella tenuta di campagna di mio marito, che Dio lo abbia in gloria. I bambini sono ancora troppo piccoli per comprendere la mostruosità di ciò che sta accadendo e vivono ogni cosa come una nuova avventura, una meravigliosa scoperta. Hanno preso come una grande festa la mietitura di questa estate, e ogni giorno trascorrono alcune ore in giardino coi figli del mezzadro, aiutandoli, a loro modo, a raccogliere frutta dagli alberi o a farne marmellata. La piccola Teresa, che ha appena compiuto 2 anni, ha visto ieri per la prima volta una gallina deporre le uova ed iniziare la cova ed è venuta tutta felice a raccontarmelo con la sua voce cristallina e il suo modo speciale di percepire il mondo. “Ovo mamma! Ovo Coccò!” urlava emozionata e felice tirandomi entusiasta verso il pollaio, perché anche io potessi vedere quel miracolo. E’ così allegra ed entusiasta della vita che non vedo l’ora che tu trascorra del tempo con lei, al tuo rientro: sono certa che saprà infonderti quella gioia di vivere di cui adesso, purtroppo, lamenti la mancanza. Per Luigi e Anselmo, invece, le gioie del gioco e della scoperta sono più moderate e riflessive. Sentono molto la mancanza del padre, che alla loro età è una delle figure più importanti. Se tu fossi qui, mio amato fratello, potresti essere quella guida di cui hanno tanto bisogno, una figura maschile dolce ma ferma in grado, non dico sostituire, ma almeno vicariare al grande vuoto che è rimasto nella nostra famiglia da quando il colera si è portato via tuo cognato, suo padre e nostra madre ormai quasi due anni fa. Avrei anche io tanto bisogno del tuo conforto, appesantita come mi sento da questa vita difficile, dalla tua mancanza, dalla guerra, dalla vedovanza e da mia suocera che alterna periodi di mal di capo e letto, dove vuole essere servita come un lattante finanche nei suoi più elementari bisogni fisiologici, a periodi, forse ancor più opprimenti, di iperattività durante i quali stravolge le nostre vite e gli equilibri dei bambini e della poca servitù rimasta, comandando tutti a bacchetta e con sgarbo, pretendendo di avere sempre ragione in virtù del suo dolore per la morte del figlio. Non c’è essere umano, nella nostra epoca moderna e disgraziata, che non stia piangendo un proprio caro perito in battaglia, un marito, un figlio, un fratello, le cui spoglie non rivedrà mai più. Ella, però, ritiene il suo il dolore più grande. Ella, che ha potuto accudire il figlio fino all’ultimo respiro, che ne ha potuto lavare e seppellire il corpo come nemmeno io, all’epoca incinta di Teresa, ho potuto fare. Ma adesso basta tediarti con queste tristi lamentele di sciocca sorella viziata. Mi auguro tu possa presto venire in licenza a trovarci e che frattanto tu abbia modo di scrivere ancora qualche parola alla tua lontana sorella che ti ama tanto e attende il tuo ritorno.
Con immenso amore da parte di tutti noi,
Anita.

18 settembre 1917
Sorella amatissima,
ancora una volta le tue parole mi accompagnano e mi riempiono di gioia, facendomi fuggire da questo maledetto campo di battaglia: le mie evasioni verso casa, le chiamo. La piccola Teresa deve essere davvero una bimba deliziosamente sveglia e non vedo l’ora di trascorrere qualche giorno insieme a tutti voi, forse addirittura a Natale, in licenza. Qui si vocifera di una grossa battaglia approntata a breve sull’Isonzo per dare una svolta a questo disastroso conflitto, dove i compagni muoiono come mosche e non possiamo nemmeno seppellire i loro corpi senza che il fuoco nemico ci bersagli senza pietà appena fuori dalle trincee. Non posso dirti altro, se non che spero di ricongiungermi a tutti voi prima che la prossima primavera faccia germogliare i mandorli che ti piacciono tanto. Abbraccia forte da parte mia Luigi e Anselmo: capisco quanto possa essere dura per loro, ma sono figli di un uomo di valore il cui nome, sono certo, riusciranno a portare avanti a testa alta. Non so se davvero potrei essere una guida per loro: non sono più l’Armido che conoscevi e sento come un velo appiccicoso e pesante addosso, che puzza di morte e tristezza e che temo non mi abbandonerà mai più. L’orrore a cui assisto ogni giorno, i morti, i feriti, le rappresaglie, la fame, il freddo, la paura, i compagni falciati via come spighe ancora verdi mi si imprimono negli occhi e nel cuore, facendomi trascorrere a volte la notte insonne, mentre le immagini raccapriccianti di quanto ho visto mi scorrono davanti agli occhi ancora e ancora, facendomi impazzire. A volte sento di essere a un passo dal perdere il senno, ed è allora che tiro fuori le tue lettere, alle quali quell’ultimo brandello di umanità che ancora sopravvive in me si aggrappa con tutto il suo essere per rimanere umano e non abbrutirsi al livello delle bestie o impazzire dal dolore. Ti chiedo perdono se talvolta ti angustio con questi tristi pensieri, scrivendo ciò che forse non dovrei, ma sento che se non lo facessi il cuore potrebbe esplodermi. Scrivimi presto, dolce Anita: quando leggo le tue parole sembra quasi che la tua voce arrivi fin qui, cullandomi dolcemente mentre fuggo in un’altra dimensione.
Con ogni sentimento ancora possibile di cui sono capace,
tuo fratello Armido.

5 Ottobre 1917
Carissimo Armido,
le tue parole mi straziano l’anima e mi lacerano per l’impotenza di non poterti arrecare conforto e sollievo per tutto l’orrore che stai vivendo.
Desidero tuttavia fare ciò che posso con le parole, per poterti tenere compagnia nei tuoi momenti più bui e allontanarti dall’ombra oscura della follia.
E’ tempo di vendemmia e tutti noi ci siamo dati da fare per dare una mano. Con la chiamata alle armi di ogni uomo, sono rimaste solo le donne qui a lavorare, e i vecchi o i bambini la cui utilità ti lascio immaginare. Anselmo, che a 15 anni ormai è quasi un adulto, sta imparando la gestione delle terre del padre e non ha preso direttamente parte al lavoro nelle vigne ma ha svolto, col mio aiuto, il lavoro “da scrivania” per il calcolo del raccolto e delle paghe. Luigi e Teresa, invece, hanno potuto vivere come un magnifico gioco la vendemmia: avresti dovuto vedere come era svelto e agile Luigi a tagliare i grappoli, mentre le risate della piccola Teresa che scorrazzava per le vigne e che pigiava le uve coi piedini nudi hanno contagiato anche la più malinconica delle madri afflitte, ovvero mia suocera, che per una volta si è concessa il lusso di partecipare senza lagne alla normale vita di famiglia. L’anno venturo sarà ancora più bello, caro fratello mio, perché sono certa che alla raccolta potrai partecipare anche tu, di rientro dalla guerra ormai cessata e potrai dispensare a tutti noi i tuoi preziosi consigli. Quanto ci manchi! La settimana scorsa, mentre parlavo di te coi miei figli, la piccola Teresa mi ha chiesto se poteva dare il tuo nome a un piccolo gattino che aveva trovato nelle vigne e da cui non si è più voluta separare. Mi ha fatto capire che così, accarezzando il gatto che si chiama come te, le nostre carezze arriveranno anche a te, e tu potrai sentirti a casa. Se ti sentirai accarezzare, quindi, sappi che siamo noi, che tramite il gattino Armido ti inviamo il nostro affetto. Credo che Teresa, per quanto non lo dia a vedere, stia risentendo anche lei a suo modo della sofferenza di questi anni di guerra, e che stia crescendo troppo in fretta per essere una bambina di soli due anni.
Ti abbracciamo e ti accarezziamo tutti.
Tua sorella Anita.

23 ottobre 1917
Carissima sorella, carissimi nipoti,
questa è la mia ultima lettera, perché domani morirò. Lo so, ormai ne sono certo: lo sento nelle ossa stanche che mi trascino dietro ogni giorno. La grande battaglia è pronta, qui a Kobarid, ma è un disastro in termini di logica e di tattica. L’ho capito persino io, che sono un semplice soldato, anche se il morale è alto e le truppe vengono incitate dai comandanti che invece nutrono grandi speranze e già la chiamano “La vittoria di Caporetto”. Ad ogni modo, sento che domani morirò. Non piangete per me, sarà una liberazione fuggire da questi scellerati orrori una volta per sempre. Non dormo da giorni, quando dormo il mio sonno è tormentato da incubi di morte e durante la veglia le immagini dei miei compagni mutilati o smembrati mi tormentano. Le vostre lettere non sono ormai che una piccola fiammella che mi separa dalla follia. Voglio che sappiate quanto vi amo e quanto mi avete sostenuto in tutti questi mesi lontano da casa. Grazie per le carezze al gatto Armido, sono arrivate tutte e ve le ho rimandate come fusa per ciascuno di voi. Anselmo, Luigi, Teresa, e tu, mia cara Anita: addio miei cari. Vi ho amato più della mia stessa vita e per voi ho combattuto fino ad oggi.
Con tutto il mio affetto,
Vostro affezionato zio e devoto fratello
Armido.

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Veramente belle e intense queste lettere. Complimenti😉Saluti kork75

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Grazie @kork75! Ho scoperto che in quel periodo la mole di posta era immensa, miliardi e miliardi di lettere in ogni Nazione per combattere la tristezza e la solitudine delle trincee e tenere compagnia ai propri cari lontani e a rischio di vita. Ho immaginato per questo una corrispondenza domestica. Ti ringrazio per lo spunto, mi ha spinto ad approfondire non scolasticamente un argomento apparentemente scontato.

Grazie a te per queste belle lettere, che hai scritto. Lettere commoventi e realistiche che hanno reso appieno l' angoscia di quei anni. Saluti kork75.

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